Rifugiati in Australia: continua la repressione, cresce il movimento.
La cinica politica del Governo Federale diretto dal primo ministro Howard, caratterizzata da un crescendo di brutale repressione e la crescita del movimento di protesta. Di Jacky Pinko Dinkum. Maggio 2002.


L'ultimo mese è stato segnato da molti avvenimenti che hanno ancora una volta messo in risalto i due aspetti della questione Australiana sui richiedenti asilo: la cinica politica del Governo Federale diretto dal primo ministro John Howard, caratterizzata da un crescendo di brutale repressione da un lato, e la crescita di un movimento di protesta dall'altro.

Ultimi avvenimenti
La domenica delle Palme (24 marzo) è stata caratterizzata da manifestazioni in tutte le principali città australiane, con una partecipazione che ha sorpreso gli stessi organizzatori. 10.000 manifestanti a Sydney, 4.000 ad Adelaide, 1.000 a Brisbane e oltre 35.000 a Melbourne, che si conferma la realtà urbana più sensibile e informata. Le manifestazioni sono state organizzate da cartelli compositi: organizzazioni per i diritti civili, coordinamenti dei rifugiati, sindacati, gruppi politici e varie confessioni religiose hanno trovato una comune piattaforma nella lotta contro la politica governativa sui rifugiati. Tutte le manifestazioni si sono concluse senza incidenti e con la sensazione che stia finalmente nascendo un movimento di solidarietà più esteso e solido. Slogan irridenti e ironici chiedevano di liberare i rifugiati e incarcerare il Ministro dell'Immigrazione e tutti gli interventi hanno ribadito le chiare richieste del movimento: no alla detenzione obbligatoria, no alla "soluzione Pacifico" (1) si al rilascio di visti di residenza con ampi diritti di cittadinanza.
A Brisbane è intervenuto il gesuita Frank Brennan, sostenendo che il governo Howard "ha costruito una politica sui rifugiati totalmente oscena, che smuove le coscienze degli australiani"; ad Adelaide Yasmin Ahmed, del Gruppo Avvocati per Woomera (2) ha detto che "il Governo ha demonizzato i richiedenti asilo, basandosi su una serie interminabile di menzogne, miseramente crollate di fronte alla realtà". Jacob Grech, attivista del movimento pacifista, è intervenuto a Melbourne accusando il Governo di contribuire esso stesso a creare il problema dei rifugiati, essendo l'Australia coinvolta nel blocco economico contro l'Iraq. A Melbourne è intervenuto anche il Segretario della Camera del Lavoro, in rappresentanza dei sindacati, per ribadire le precise richieste del movimento. Molti rifugiati hanno raccontato la loro dolorosa esperienza nei centri di detenzione.
La posizione del governo sulle manifestazioni del 24 marzo, di netta chiusura, è stata affidata ad uno scarno comunicato del Ministro per l'Immigrazione, Philip Ruddock, che ha dichiarato che i manifestanti sono stati "fuorviati" ed ha invitato a sostenere la politica ufficiale.

Il Venerdì Santo (29 aprile) è stato segnato da avvenimenti drammatici e per certi versi inaspettati. Una folla di circa 1000 dimostranti si è radunata a formare una catena umana attorno alla recinzione del famigerato centro di detenzione di Woomera, nel deserto del Sud Australia. La manifestazione era stata organizzata dall'Alleanza Socialista, che da molti mesi guida le attività di solidarietà in favore dei detenuti di questo centro di detenzione.
Nel crescendo della protesta un gruppo di manifestanti ha preso d'assalto la recinzione, abbattendone un tratto, e ha sopraffatto il corpo di polizia privata a guardia del complesso. L'assalto si è concluso con la fuga di 50 detenuti, attivamente aiutati dai dimostranti. E' quindi intervenuta la polizia in assetto di guerra e vi sono stati violenti scontri, che hanno portato all'intercettazione di 38 dei detenuti fuggitivi (gli altri 12 sono tuttora alla macchia) ed all'arresto di 23 manifestanti, ora accusati di reati che vanno dal concorso in evasione alla resistenza a pubblico ufficiale.
Durissima la reazione del Ministro dell'Immigrazione: "evadendo dal centro di detenzione", ha dichiarato, "i rifugiati hanno commesso un reato del quale risponderanno in tribunale!". E il Primo Ministro non ha mancato di sostenere che: "l'azione di protesta garantirà maggiore appoggio popolare alla politica intransigente del governo. Nessuna protesta ci intimiderà circa l'uso dei centri di detenzione tipo Woomera o circa qualsiasi altro aspetto della nostra linea sull'immigrazione".
La polizia è ancora alla ricerca dei detenuti evasi e cerca di dimostrare la complicità di noti militanti socialisti nel favorirne la clandestinità.

Venerdì 19 aprile è scoppiata una rivolta nel centro di detenzione di Curtin, situato nello Stato del Western Australia, nei pressi di Perth. Trecento detenuti hanno preso d'assalto i carcerieri con armi rudimentali. Ne sono seguiti scontri con feriti non gravi da entrambe le parti. Alcune strutture sono state date alle fiamme e i detenuti si sono asserragliati a lungo in un edificio.
Le cause della rivolta non sono ancora state chiarite. Le autorità hanno fatto intendere che il tutto sarebbe stato fomentato da un gruppo di profughi appena trasferito da Woomera. Ma l'avvocatessa Peny Birch, dell'associazione che difende i diritti dei rifugiati, ha smentito tali dichiarazioni, riferendo che le origini della rivolta sarebbero da cercare nelle dure condizioni di vita del campo e che, prima della rivolta, alcuni testimoni oculari avrebbero visto le guardie, in tenuta antisommossa, aggredire e picchiare detenuti senza motivo.

Un altro versante che sta diventando motivo di preoccupazione per i movimenti di solidarietà è quello delle espulsioni. Le autorità di immigrazione hanno inasprito i controlli sugli stranieri, provenienti da aree considerate a "rischio", in possesso di regolare visto di ingresso. Inoltre si sta procedendo a espulsioni di richiedenti asilo o di rifugiati riconosciuti, per i quali la situazione nei territori di origine è mutata (come nel caso dell'Afghanistan).
Lo scorso 20 marzo agenti del Dipartimento dell'Immigrazione hanno fatto irruzione nell'abitazione di 5 studenti pakistani, in possesso di regolare visto di studio. Accusati di aver violato la disciplina dei visti di studio in materia di lavoro, i cinque ragazzi sono stati costretti a scegliere tra l'imbarco immediato, a loro spese, sul primo volo utile per il Pakistan o l'arresto immediato. Nessuno di essi ha potuto consultare un avvocato. I cinque avevano lavorato, nel corso del 2001, per un numero complessivo di ore superiore a quelle consentite (3). Con questo caso, sale a 13 il numero degli studenti espulsi dal Paese negli ultimi mesi. Ryk Molon, di Resistance (4), ha accusato il governo di aver utilizzato in maniera retroattiva una legislazione restrittiva, approvata solo successivamente all'epoca in cui si sarebbero verificati i presunti abusi. Molon ha anche denunciato la circostanza che i ragazzi stranieri cui viene rilasciato il visto di studio non sono a conoscenza delle condizioni più restrittive e che, comunque, l'aumento del costo della vita e delle rette universitarie li costringe inevitabilmente ad aumentare le ore di lavoro, per mantenersi. Secondo l'Unione degli Studenti Universitari del Territorio del Nord, se si procedesse a controlli adeguati, più del 90% degli studenti stranieri dovrebbero essere espulsi per violazione della normativa sui visti. Ma di fatto i controlli vengono utilizzati solo nei confronti di studenti provenienti da certe aree, mentre nessuno penserebbe di espellere uno statunitense o un inglese. L'espulsione rappresenta un vero dramma per giovani sono costretti a interrompere gli studi dopo essersi sottoposti ad enormi sacrifici economici per riuscire a studiare in Australia.

Sul fronte delle deportazioni c'è da segnalare la storia, riportata dal settimanale socialista Green Left Weekly, di Jacques "K", un richiedente asilo proveniente dal Congo (ex Zaire), sbarcato su una nave di clandestini lo scorso 2 ottobre. La sua domanda di asilo è stata rifiutata due volte dal Tribunale dei Rifugiati, ed è stato espulso con effetto immediato e imbarcato nottetempo in un volo diretto in Congo, con scalo a Johannesburg. Grazie al sostegno della Rural Australian for Refugees (5), il caso è stato assunto dall'organizzazione Diritti Umani in Sud Africa, che ha ottenuto, nel breve lasso di tempo dello scalo aereo a Johannesburg, un ordine della corte che permette a Jacques K di fare domanda di asilo politico in Sud Africa e ne impedisce la deportazione tanto in Congo, dove rischierebbe la vita, che in Australia, dove sarebbe immediatamente arrestato. L'ordine della corte sudafricana rappresenta motivo di imbarazzo per le autorità e sottolinea la natura punitiva della politica australiana. Il caso del rifugiato congolese mette in luce la grave situazione di tanti altri richiedenti asilo che vengono espulsi e immediatamente rispediti in Paesi dove rischiano la persecuzione o la morte.

Commenti
Molti commentatori si sono soffermati in particolare sugli avvenimenti che hanno portato alla fuga di detenuti dal centro di Woomera.
La destra non ha mancato di approfittarne per dar man forte alla politica del governo federale: la fuga dei detenuti sarebbe stata la dimostrazione della loro pericolosità sociale e inaffidabilità. Si è anche cercato di dimostrare che la fuga non ha fatto seguito al precipitare degli avvenimenti ma che si trattava di una manovra concordata e organizzata nel dettaglio dai manifestanti. Lo dimostrerebbe la prolungata latitanza di 12 detenuti, che a parere degli osservatori non avrebbe potuto verificarsi se non con piani di fuga preordinati e una rete di rifugi sicuri.
Il Partito Laburista, pur non addentrandosi in simili considerazioni, ha avuto una dura reazione. Lo stesso leader del partito, Simon Crean, preoccupato di una possibile confusione dell'opinione pubblica, ha commentato: "L'iniziativa dei dimostranti è controproducente. Capisco il senso di sdegno, ma non posso approvare questo tipo di protesta. Dobbiamo piuttosto fare un'opera di pressione per indurre il governo a mutare strategia".
Diverse le analisi degli esponenti dell'Alleanza Socialista e degli organizzatori della protesta. Tom O'Lincoln di Melbourne Refugee Action Collective ha escluso che la fuga dei detenuti fosse organizzata: "i manifestanti volevano solo realizzare un'azione dimostrativa di alto valore simbolico, cerando di abbattere un pezzo di recinzione, la recinzione che isola i rifugiati dal resto del mondo. Non pensavano che i detenuti si sarebbero dati alla fuga. L'iniziativa è stata presa dai rifugiati. A questo punto i dimostranti hanno scelto di offrire la loro solidarietà". Aggiunge la Green Left Weekly nell'editoriale del 10 aprile: "tra i manifestanti vi era disorientamento, opinioni contrastanti su cosa fare una volta aperta la breccia. Ma il sentimento predominante su tutti era la volontà di prendere la parte dei detenuti ed assisterli, qualunque fosse la loro decisione".
Dunque: nessun piano, nessuna responsabilità nell'evasione, ma coerente solidarietà con i rifugiati che fuggivano dall'inferno di Woomera.
In linea più generale la sinistra radicale ritiene che la crescita della protesta e di un movimento più esteso di disobbedienti sia molto positivo. Le azioni dimostrative di disobbedienza civile sono di grande impatto emotivo ed hanno generato maggiore coscienza del problema e una forte simpatia nei confronti dei rifugiati di una parte estesa dell'opinione pubblica. Tanto che persino un giornale moderato come il Sydney Morning Herald, nell'edizione del 2 aprile, ha dovuto ammettere: "si deve riconoscere ai manifestanti che si sono radunati a Woomera la sincerità dei propositi. Fra i tanti atti di disobbedienza civile, quello di cui siamo stati testimoni a Woomera non è del genere che può essere archiviato con leggerezza".

Nuove accuse al Governo Federale
Ma oltre alle manifestazioni vi sono stati altre denuncie in questo mese, che hanno messo maggiormente a nudo la politica federale sull'immigrazione.
Wayne Lynch, ex infermiera del centro di detenzione di Woomera e Naleya Everson, un'avvocatessa che ha seguito casi in vari centri di detenzione, sono intervenute in incontri pubblici per portare la loro testimonianza sulle umiliazioni e le varie forme di oppressione che i rifugiati sono costretti a subire durante la lunga detenzione. Secondo la Lynch molti rifugiati, a seguito del trattamento ricevuto, cadono vittime della depressione, fino a commettere atti di autolesionismo o a tentare il suicidio. Quando si verificano queste condizioni i detenuti vengono denudati, messi in celle di isolamento e non possono ricevere visite. La Everitt ha denunciato vari casi scandalosi di detenzione di minorenni e ciò le è costato il bando da tutti i centri di detenzione da parte dell'Australasian Correctional Management, la compagnia che gestisce i centri detentivi.

Alla fine di marzo ha fatto scalpore il caso di una ventiquattrenne detenuta presso il centro di Villawood, nei pressi di Sydney. Alla donna, sofferente di una grave forma di depressione post-parto, è stato negato per settimane il permesso di ricovero, benché richiesto dagli stessi medici del centro. Alla fine è stato necessario il trasporto d'urgenza in ospedale, dove viene piantonata 24 ore su 24 come una criminale. Il permesso di uscita è stato però negato al figlio di 10 mesi, che perciò è stato fisicamente separato dalla madre e resta rinchiuso a Villawood. Inutile l'appello di un'assistente sociale che si era dichiarata disponibile ad ospitare in casa propria madre e figlio: la norma che impone la detenzione ai richiedenti asilo non ammette eccezioni.

Un'altra tegola è caduta in testa al governo federale a metà aprile, quando è stata resa nota la relazione di una commissione d'inchiesta del governo statale del South Australia sulle condizioni dei minori nel centro di Woomera. Una tegola tanto più pesante in quanto questa volta la fonte è ufficiale. È stata la stessa Ministra della Giustizia del governo statale, Stephanie Key, a rendere pubblico il contenuto della relazione, ancor prima che venisse ufficialmente presentata a Canberra. Secondo la ministra, le condizioni in cui versano i bambini a Woomera, in pieno deserto, in alcuni casi rinchiusi da oltre un anno, sono intollerabili e contravvengono alla Convenzione Internazionale sui Diritti dei Minori, di cui l'Australia è firmataria e che tra l'altro prescrive la detenzione come misura estrema e comunque per il più breve tempo possibile. Secondo il rapporto i bambini di Woomera non hanno accesso ad una corretta alimentazione e ad adeguata istruzione. Già traumatizzati dalle drammatiche vicende che li hanno portati in Australia, divengono, nel carcere, testimoni di continui incidenti, violenze, tentativi di suicidio, atti di automutilazione da parte di detenuti adulti.
Il premier del South Australia, Mike Rann, ha minacciato di togliere il proprio supporto al governo federale se non migliorerà radicalmente la vita nei campi. Ma per adesso la sola risposta di Canberra è stata l'espressione di disappunto del Ministro Federale per la Giustizia, Chris Ellison, che ha giudicato inopportuno che il contenuto della relazione fosse stato reso pubblico prima che il governo federale ne prendesse visione.

Un altro scandalo è scoppiato il 24 aprile, quando la rete televisiva ABC, nel corso di una trasmissione dedicata al tema, ha mandato in onda un filmato che mostra avvenimenti accaduti nel centro di detenzione di Curtin lo scorso mese di giugno. Detenuti afgani disperati che protestavano e si ferivano contro i muri delle minuscole celle, venivano afferrati dalle guardie carcerarie e trascinati brutalmente per le caviglie lungo i corridoi.
L'impatto è stato notevole e autorevoli specialisti del New South Wales Royal College of Psichiatry hanno chiesto l'immediata apertura di una inchiesta e asserito che la situazione di salute mentale nei centri di detenzione è drammatica e potrebbe portare a tragiche conseguenze.

E intanto continua l'inchiesta sullo scandalo del "bambini in mare", che dal mese scorso assilla il governo federale, accusato di aver fornito alla stampa immagini e notizie false sui rifugiati, per bassi scopi elettorali (6). La commissione di inchiesta istituita dal Senato continua a raccogliere dati e testimonianze, tra cui quella di Jenny Mc Kenry, responsabile delle pubbliche relazioni per il Ministero della Difesa. La McKenry ha dichiarato di essere stata in possesso di copia delle foto diffuse alla stampa, di aver constatato che le notizie diffuse alla stampa erano sbagliate e di averne data immediata comunicazione ai massimi dirigenti del dicastero, senza peraltro ottenere risposta.
Intanto il principale accusato, l'ex Ministro federale della Difesa, Peter Reith, ha rifiutato di testimoniare davanti alla commissione, che sta ora studiando la possibilità di convocarlo con un mandato di comparizione obbligatoria.

L'ultimo mese è stato insomma denso di avvenimenti che hanno fortemente incrinato l'immagine del governo australiano, al punto che il Ministro dell'Immigrazione Ruddock è stato messo sotto accusa a Londra da esponenti della Commonwealh Lawyers'Association, di cui fanno parte importanti giuristi e aristocratici inglesi, mentre L'Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati (UNHCR), ha preso una ferma posizione di condanna e formato un comitato con il compito di verificare la situazione nei centri di detenzione australiani.

Il Partito Laburista
La questione rifugiati trova spazio sui media ormai quotidianamente e la posizione del governo appare indifendibile a qualsiasi serio osservatore. Tuttavia il maggior partito d'opposizione, continua caparbiamente sulla strada che lo ha portato alla recente sconfitta elettorale (7), difendendo e sostenendo la politica federale sull'immigrazione.
Il 21 marzo il parlamento federale ha approvato, con l'appoggio entusiasta dei laburisti, nuove norme sui rifugiati che renderanno la vita dei richiedenti asilo ancora più difficile, ponendo nuovi ostacoli burocratici, conferendo maggiore discrezionalità al Ministro dell'Immigrazione e facilitando le procedure di espulsione.
Il Leader del Partito Laburista, Simon Crean, ha ripetutamente confermato che la linea del partito su questa tematica non muterà, perché si tratta della difesa dei confini nazionali e dell'integrità territoriale. L'unico aspetto nel quale Crean si differenzia è circa il trattamento dei rifugiati: Crean invita ad una linea "più compassionevole e umana" nei loro confronti. In pratica secondo il Leader laburista si tratta solo di evitare maltrattamenti e torture, senza però mettere in discussione la questione della detenzione.
Il deputato laburista Ivan Molloy ha ampiamente esposto questa posizione sul quotidiano nazionale The Australian, giustificandola con la necessità di mantenere l'integrità territoriale. I rifugiati (che Molloy definisce "gli illegali"), violando questa integrità, metterebbero a rischio la natura democratica ed egualitaria del Paese.
Dietro queste posizioni si nasconde in realtà un cinismo politico che attraversa tutta la storia del partito laburista australiano. Non a caso la famigerata White Australia Policy (8) venne introdotta da un governo laburista. Asserire che pochi disperati in fuga da regimi dittatoriali mettano a rischio l'integrità territoriale australiana e la sua democrazia è una follia demenziale. Nasconde in realtà la volontà di selezionare accuratamente chi mette piede in Australia, volendo favorire chi costerà di meno al Paese in termini di assistenza e chi potrà garantire di più in termini di produttività.

Il movimento cresce
Ma per fortuna molte cose positive stanno accadendo. Il movimento si sta organizzando e sta crescendo. Non si tratta solo più di un movimento pro-rifugiati, ma anche e soprattutto di un movimento contro la discriminazione e l'ingiustizia messa in atto dal governo razzista. Nascono gruppi di solidarietà e movimenti in tutte le università, Si discute nelle chiese, associazioni aderiscono, gruppi di quartiere organizzano attività. Le manifestazioni nei pressi dei centri di detenzione si sono infittite. Così anche le petizioni, i comunicati, le raccolte di fondi per sostenere le spese legali dei richiedenti asilo.
La conferenza nazionale delle donne laburiste ha approvato a larga maggioranza una mozione con la quale sconfessa la posizione ufficiale del partito e chiede che venga rivista completamente, affinché i rifugiati non vengano più imprigionati. Una mozione pesante, che neanche la presenza alla conferenza del Leader laburista ha potuto evitare, e che non mancherà di avere ripercussioni importanti nell'immediato futuro, quando si dovrà discutere la strategia politica del partito.

Il Movimento cresce, ed è un movimento che vuole un'Australia solidale, capace di accogliere i rifugiati non per un cinico calcolo economico ma spinta da vincoli di solidarietà e necessità di promozione della giustizia.
Ed è un movimento che, mantenendosi fondamentalmente nonviolento, in alcune sue componenti e in maniera crescente, è disposto a commettere atti di disobbedienza civile, convinto del fatto che i veri crimini vengano commessi dalle Autorità e non dagli attivisti che hanno scardinato la recinzione di un centro di detenzione dove si tengono prigionieri dei bambini.

Si discute intensamente su come procedere, per far crescere il movimento e su quali strategie sono necessarie perché ottenga risultati positivi. E' in corso un importante confronto su quali tattiche e strategie adottare per costringere il governo a cambiare rotta. E' una discussione che deve avvenire senza settarismi e senza chiudersi in logiche di schieramento.
E' importante che la campagna sui rifugiati mantenga la massima apertura, consentendo approcci a più livelli: manifestazioni, dibattiti, conferenze stampa, atti di disobbedienza civile ed ogni altra iniziativa utile, sempre con l'obiettivo di costruire un movimento di massa, perché il governo abbandonerà questa politica solo di fronte ad un movimento numericamente forte e politicamente determinato a raggiungere i suoi obiettivi. Qualsiasi tentativo di restringere questo campo di azione, impedire la libera organizzazione di iniziative, etichettare politicamente il movimento o stilare una graduatoria della validità delle azioni, ponendo quelle più militanti in cima, avrebbe come risultato l'allontanamento di una parte di coloro che si sono uniti alla protesta solo di recente.
Contemporaneamente bisogna continuare l'opera capillare di informazione, per mettere sempre più alle strette il governo e far conoscere all'opinione pubblica la realtà che si nasconde dietro i comunicati governativi.
Molte nuove iniziative sono già programmate. La prossima importante tappa è la manifestazione del primo maggio. In uno dei pochi Paesi in cui questa ricorrenza non viene celebrata, il movimento per i rifugiati ha progettato manifestazioni in tutte le grandi città con l'obiettivo dichiarato di bloccare l'accesso agli uffici centrali del Dipartimento dell'Immigrazione. Quando lo scorso anno si tentò una azione analoga per fermare le borse, in nome della lotta contro le multinazionali, i sindacati si opposero sostenendo che in questo modo si impediva ai lavoratori il loro diritto di recarsi al lavoro. Quest'anno invece molti importanti sindacati nazionali hanno deciso di aderire alla protesta. Un segnale incoraggiante per chi in Australia vuole difendere i diritti dei rifugiati che fuggono da persecuzioni e drammi, per ritrovarsi perseguiti e ingabbiati in questo Paese.

NOTE

1. Vedi REDS n. 54 di aprile 2002
2. Centro di detenzione nel deserto del Sud Australia, noto per le frequenti rivolte e le brutali repressioni.
3. Il visto di studio consente al possessore di lavorare solo per un numero limitato di ore settimanali.
4. Organizzazione dei giovani socialisti
5. si tratta di un'organizzazione di recente fondazione, sorta con l'intenzione di coordinare e promuovere le attività a favore dei rifugiati, di tutti i piccoli gruppi e singoli attivisti che vivono nell'Australia rurale, generalmente in località talmente isolate che difficilmente hanno possibilità di rendere visibile la proprio azione.
6. Vedi REDS n. di aprile 2002.
7. E' interessante e sbalorditivo notare che i laburisti sono ormai alla guida di tutti i governi a livello statale ma hanno subito una cocente sconfitta nelle elezioni federali.
8. In vigore dal 1901 al 1973, vietava l'ingresso in Australia ad immigrati non europei o di discendenza europea, con un forte incentivo a quelli di discendenza anglosassone. A seguito dell'approvazione dell'Immigration Act del 1901 la popolazione asiatica, specie cinese, da lungo tempo insediata in Australia, venne duramente perseguitata e costretta in larga maggioranza a lasciare il Paese.