Rifugiati: una politica
basata sulle menzogne.
Di Sarah Stephen, Da Green Left Weekly
n. 482 del 27.02.02, traduzione di J. P. Dinkum.
Per difendere la
legge che prevede la detenzione obbligatoria per i richiedenti asilo, sia i
laburisti che i conservatori hanno dovuto convincere gli australiani che il
trattamento riservato a chi arriva in Australia senza autorizzazione è
necessario e giustificato.
Per riuscire a mettere l'opinione pubblica contro il gruppo relativamente piccolo
di richiedenti asilo che affronta il rischio della pericolosa navigazione verso
le coste australiane è stata utilizzata la menzogna in maniera sistematica.
Le bugie del governo sono tante: che migliaia di altri stanno aspettando per
saltare anche loro su una barca e raggiungere le nostre coste, che i rifugiati
portano malattie sconosciute in Australia, che sono ricchi, che sono meno disperati
e meritevoli di quelli che si lasciano alle spalle nei campi profughi.
Altre bugie riguardano il sistema detentivo: che ognuno viene trattato con rispetto,
che a tutti i richiedenti "genuini" viene riconosciuto lo status di
rifugiato, che viene garantito il diritto all'assistenza legale, che nessuno
viene espulso se rischia la tortura o la morte nel Paese di origine. Ancora
altre menzogne riguardano l'accesso ad assistenza medica adeguata per i malati
e l'accesso all'educazione per bambini e ragazzi detenuti.
In fondo la menzogna dei bambini gettati a mare dai rifugiati è meno
grave di altre. È importante soprattutto perché è venuta
alla luce, facendo emergere la campagna di disinformazione sistematica messa
in atto dal Governo.
Il regime di detenzione obbligatoria è stato introdotto nella legislazione
federale nel 1992 ed è divenuto operativo nel 1994, quando via mare arrivavano
meno di 500 rifugiati all'anno, principalmente cambogiani e cinesi. Per giustificare
la nuova legislazione il governo affermò che senza di essa l'Australia
avrebbe dovuto fronteggiare una invasione di richiedenti asilo.
Il senatore laburista Jim McKiernan affermò nel 1992 che: "in caso
di cambiamento di questa procedura l'Australia sarebbe stata inondata, imbarcazioni
piene di gente in grado di pagarsi il tragitto sarebbero approdate sulle nostre
spiagge".
Nel 1995 lo stesso senatore affermò che se la legge sull'immigrazione
fosse stata diversa l'unico modo di ostacolare l'invasione sarebbe stato di
fermare le imbarcazioni in arrivo e costringerle a tornare indietro.
Tutti i ministri del passato, tanto laburisti che conservatori, sono stati molto
determinati ed articolati nell'evocare la minaccia dell'invasione.
E in effetti l'Australia affronta un'invasione. Ma non quella dei rifugiati.
E' quella dei cinque milioni di turisti che arrivano ogni anno nei nostri aeroporti!
Nessuno però esprime preoccupazione per questa particolare inondazione,
anche se i numeri parlano di una popolazione di turisti equivalente ad oltre
un quarto dell'intera popolazione australiana.
Molti turisti restano in Australia ben oltre la scadenza dei loro visti, a volte
anche per anni, ma non c'è una campagna sistematica per identificare
e imprigionare autostoppisti inglesi o giornalisti canadesi che si sono innamorati
di questo Paese. Tendiamo piuttosto a esprimere simpatia: comprendiamo la loro
voglia di fermarsi in un Paese bello come il nostro. E questo perché
siamo stati condizionati ad identificarci con bianchi, anglosassoni che parlano
la nostra lingua e perciò sono "proprio come noi".
Nel 1998 l'istituto australiano di statistica stimò che i "boat
people" rappresentano meno dello 0,01% di tutti gli arrivi. Sebbene vi
sia stato un incremento di richiedenti asilo giunti via nave, questo dato nel
2001 non ha superato comunque lo 0,08% del totale degli ingressi
Nel 1992 Gerry Hand, ministro dell'immigrazione nel governo diretto dal laburista
Keating, disse che la detenzione dei richiedenti asilo era necessaria per inviare
un chiaro monito all'estero: "il governo è determinato a chiarire
che non si può immigrare in Australia semplicemente sbarcandovi e aspettandosi
di essere accolti nella sua comunità".
Tuttavia, sebbene con qualche fluttuazione, il numero di richiedenti asilo sbarcati
sulle coste australiane è cresciuto ogni anno, da quando il regime di
detenzione obbligatoria è stato introdotto. Questo dato da solo dovrebbe
bastare a dimostrare che la detenzione, di per se, non ha rappresentato un valido
deterrente.
Nel 2000 / 2001 il numero di arrivi via nave è stato di 4.141 persone,
circa 20 volte il livello del 1989. Il 79% di questi richiedenti arrivava da
due soli Paesi: Afghanistan e Iraq.
La politica australiana ha un effetto minimo sulla decisione di fuggire da regimi
sanguinari per cercare rifugio altrove. La disperazione di coloro che arrivano
in Australia è tale che il governo australiano, per sperare di scoraggiarli,
dovrebbe applicare un regime di repressione almeno uguale a quello da cui fuggono.
Più di 2000 vietnamiti arrivarono sulle spiagge australiane in 56 imbarcazioni
approdate fra l'aprile 1975 e l'agosto 1981. Il governo conservatore dell'epoca
non si preoccupò molto di verificare la loro "buona fede":
scappavano da un regime contro il quale l'Australia aveva combattuto. Furono
sistemati in campi di accoglienza, insieme a immigranti che avevano già
ricevuto regolari permessi di soggiorno per motivi umanitari. Le loro domande
di asilo vennero valutate prontamente e tutti ottennero in breve tempo la residenza.
Oggi sono una parte integrante della nostra comunità.
Quando il numero di vietnamiti che affrontavano il rischio del viaggio via mare
verso l'Australia cominciò a salire, altri Paesi cominciarono ad accettare
maggiori quote di vietnamiti provenienti dai campi profughi in Malesia, Hong
Kong e Tailandia. Questo diffuse fra i rifugiati la speranza che tutti avrebbero
presto ricevuto accoglienza e la certezza che non sarebbero stati rispediti
in Vietnam, e gli sbarchi cessarono.
Il governo afferma che i rifugiati che giungono via mare "saltano il turno"
e scavalcano altri che attendono nei campi profughi. Ma per chi vive in Iraq
e Afghanistan non ci sono alternative, perché l'Australia non intrattiene
relazioni diplomatiche con questi Paesi. E non esiste alcuna procedura per l'accettazione
di rifugiati provenienti da questi Paesi. Sono pochi i Paesi firmatari della
convenzione sui rifugiati del 1951 nell'area compresa fra il Medio Oriente e
l'Australia, e così chi scappa è costretto a viaggiare da un Paese
all'altro in cerca di protezione.
Sono tre anni che l'Australia non ammette rifugiati proposti dall'Alto Commissariato
per i Rifugiati (UNHCR) di Giacarta, e i rifugiati non possono comunque fermarsi
perché l'Indonesia non è fra i firmatari della convenzione.
Leggi e convenzioni internazionali non fanno menzione della necessità,
reclamata dall'Australia, che i rifugiati presentino domanda di asilo nel primo
Paese in cui arrivano. Questa è in realtà una condizione aggiunta
da alcuni Paesi occidentali, un pretesto che consente di fermare molti richiedenti
asilo nei Paesi del terzo mondo.
Qualcuno, perciò, decide di rinunciare ad una inutile attesa e prova
l'avventura via mare. Fra coloro che sono annegati recentemente quando l'imbarcazione
su cui viaggiavano è affondata nei pressi delle coste indonesiane vi
erano anche persone il cui status di rifugiati era stato già riconosciuto
dall'UNHCR a Giacarta. L'Australia ha consentito l'ingresso solo a due fra i
tanti cui era stato riconosciuto lo status di rifugiato. Altri avevano già
parenti in Australia: parenti cui è stato garantito l'asilo ma ai quali
non è consentito ricongiungersi con mogli e figli.
In teoria il regime di detenzione obbligatoria si dovrebbe applicare sia a coloro
che entrano nel Paese senza autorizzazione, sia a coloro che si trattengono
oltre la scadenza del visto di ingresso. Tuttavia chi ha già ricevuto
un visto ha la facoltà di chiedere lo status di rifugiato e mentre la
sua domanda viene analizzata, riceve un visto temporaneo che gli consente di
restare nel Paese fino a che non avrà una risposta. In questo caso non
sia applica alcuna forma di detenzione. La ratio di questo diverso comportamento
sarebbe si tratta di persone la cui identità, posizione sanitaria e caratteriale
sono state già verificate. Se queste sono le condizioni necessarie per
poter circolare liberamente allora perché coloro che giungono via mare
non vengono trattenuti solo per lo stretto tempo necessario anziché tenerli
in detenzione per l'intero iter di trattazione delle loro domande?