L'indipendenza di Timor
Est e l'ipocrisia dell'Australia.
Di Jacky Pinko Dinkum. Giugno 2002.
Il venti maggio
si è consumato un evento storico in questa parte del globo: è
nata la Repubblica Democratica di Timor Est. Dopo quattrocento anni di dominazione
portoghese, venticinque anni di feroce occupazione indonesiana e una breve amministrazione
delle Nazioni Unite, finalmente la parte orientale dell'isola di Timor ha conquistato
la propria indipendenza.
Se qualcuno avesse predetto questo evento solo dieci anni fa, sarebbe stato
scambiato per un pazzo visionario. La situazione di Timor Est pareva allora
senza vie di uscita e il suo popolo ormai destinato ad una lenta e inesorabile
fine, sotto la pressione violenta della potenza indonesiana, alleata degli Stati
Uniti e dell'Australia.
Sebbene dal punto di vista del diritto internazionale la situazione non fosse
troppo dissimile da quella venutasi a creare in Kuwait con l'invasione irachena,
e sebbene le Nazioni Unite e altri organismi internazionali abbiano a più
riprese adottato risoluzioni di condanna dell'invasione indonesiana, nessuno
aveva mai concretamente mosso un dito per aiutare il popolo di Timor Est: troppo
importanti erano gli interessi strategici ed economici nell'area, per potersi
permettere di agire concretamente contro l'Indonesia.
Ma la lotta del popolo timorese non è mai cessata anche nei momenti di
repressione più dura. Ha assunto le forme della lotta armata, della resistenza
passiva, del boicottaggio, della non collaborazione, della diplomazia. E non
è mai cessata l'attività di appoggio, di informazione, di pressione
e di solidarietà di centinaia di gruppi, movimenti e associazioni di
tutto il mondo, che a dispetto delle apparenze hanno continuato a credere possibile
la ricerca di una soluzione per Timor Est e ad appoggiare la lotta del suo popolo.
E hanno avuto ragione.
Tutto questo è noto. Voglio però qui particolarmente soffermarmi
sul ruolo che, in questa storia recente dell'isola di Timor, ha avuto il suo
potente e cinico dirimpettaio: l'Australia. E provare ad arrischiare qualche
previsione sul ruolo che avrà nell'immediato futuro.
Il Primo Ministro della federazione australiana, il liberale John Howard - occhi
piccoli e paffuti dietro gli occhiali rotondi e accento da cowboy - ha avuto
la sfrontatezza di affermare che l'indipendenza di Timor Est è il suo
più grosso successo in politica estera. A quanto pare la partecipazione
australiana alla forza di pace INTERFET delle Nazioni Unite, che ha interrotto
la mattanza iniziata all'indomani del referendum dell'agosto 1999, rappresenta
un colpo di spugna sul passato e una sorta di lasciapassare per il futuro.
Sarà allora bene dare un'occhiata alla politica australiana in questa
zona ed alle vere motivazioni della partecipazione a INTERFET(1).
Un po' di storia
Tralasciamo il fatto che il governo australiano trattò col Portogallo
l'acquisto dell'isola di Timor, all'inizio del secolo scorso (il novecento!),
per farne un luogo di villeggiature per i suoi coloni, e andiamo al dicembre
1941, quando un battaglione di fanteria australiano sbarcò a Timor per
contrastare l'avanzata giapponese. Nel febbraio 1942 sbarcarono anche i giapponesi
e la popolazione di Timor aiutò attivamente gli australiani, offrendo
appoggio logistico, rifugi e combattenti. Quando poi nel gennaio 1943, dopo
la sconfitta di Guadalcanal, l'Australia ebbe la certezza che il Giappone non
avrebbe più potuto invaderla, si ritirò da Timor, lasciando campo
aperto alla rappresaglia giapponese e ai successivi bombardamenti alleati. Il
tutto costò la vita a circa settantamila timoresi, oltre il 10% della
popolazione. Nei discorsi ufficiali e nelle commemorazioni i leader hanno sempre
affermato di avere un debito con Timor per il tributo di sangue pagato da quelle
popolazioni per essersi alleate con l'Australia. Ma come sono stati ripagati
i timoresi per la loro fedeltà?
All'inizio degli anni '70 venne scoperto un vasto giacimento di idrocarburi
(petrolio e gas) nel mare di Timor e nel 1972 l'Australia firmò un accordo
con l'Indonesia che gli assicurava il controllo dell'85% della zona. Questo
il prezzo che pagò l'Indonesia per la propria impunità nell'area.
Quando l'Indonesia invase brutalmente Timor Est, alla fine del 1975, l'Australia
appoggiò attivamente l'annessione sul piano politico e diplomatico, perché
non vedeva di buon occhio un Timor indipendente. Il Governo di Canberra arrivò
ad impedire l'incontro di un rappresentante ONU con esponenti della resistenza
timorese, fornì al governo di Giacarta mezzi idonei alla lotta antiguerriglia
e, in un tragico crescendo, nel 1978 riconobbe (unico Paese di matrice occidentale)
l'annessione di Timor Orientale come provincia indonesiana.
E, non c'è da stupirsi, nel dicembre 1989 l'Australia concluse con soddisfazione
nuovi negoziati per la spartizione dei giacimenti di idrocarburi del mare di
Timor.
Ecco dunque come l'Australia ripagò i timoresi per la loro fedeltà.
La linea dell'Australia non è mai cambiata in questi anni: né
le frequenti notizie di stragi e repressioni, né il premio Nobel per
la pace assegnato ai due leader timoresi José Ramos Horta e Monsignor
Ximenes Belo, hanno convinto Canberra a rivedere le proprie posizioni. In realtà
l'Australia ha cominciato a cambiare la sua politica con l'avvio della crisi
indonesiana che ha portato, a metà del 1998, alla caduta del regime di
Suharto. L'Australia, comunque, non ha avuto alcun ruolo nella promozione del
referendum dell'agosto 1999, si è limitata ad appoggiarlo, sperando in
una soluzione pacifica del contenzioso, mostrando quindi scarsa lungimiranza
e mediocre conoscenza del quadro politico, perché non predisse il bagno
di sangue che fece seguito alla vittoria degli indipendentisti. E approfittò
di quel bagno di sangue per far giungere il suo esercito a Dili nelle mentite
spoglie della forza ONU.
Tracciata a grandi linee la storia della politica australiana nell'area si comprende
come i meriti dell'indipendenza di Timor Est non possano essere attribuiti all'Australia
ma alla combinazione di tre fattori: la resistenza timorese che non è
mai venuta meno in 25 anni, anche a fronte di una repressione durissima; la
destabilizzazione del regime indonesiano dopo la caduta di Suharto e il vasto
sostegno internazionale per la causa di Timor Est da parte di centinaia di movimenti
di solidarietà.
La Dottrina Howard
In realtà la partecipazione australiana ad INTERFET è stato il
punto di avvio della "Dottrina Howard" in materia di difesa. Una dottrina
che suonerà familiare agli italiani: con il cambiamento di obiettivi
strategici e l'ammodernamento del proprio arsenale militare, l'Australia si
è posta in questi anni l'obiettivo di dirigere i suoi sforzi alla salvaguardia
degli interessi strategici nel pacifico, anche al di là dei propri confini
Si è assegnata il ruolo di "deputy" (vice) degli USA nelle
operazioni di peace-keeping in quest'area e l'impresa di Timor Est ha rappresentato
una valida prova generale.
Dopo un ventennio nel corso del quale l'Australia ha cercato di portare avanti
una politica dalla doppia faccia: integrazione verso l'oriente e fedeltà
all'occidente, la dottrina Howard in materia di difesa cambia radicalmente questa
politica per porsi più decisamente come rappresentante degli interessi
occidentali (e, segnatamente, della potenza dominante, gli Stati Uniti) e fautrice
di un sistema politico ed economico da porre come modello nell'area.
Questa dottrina ha ovviamente conseguenze interne molto forti, a cominciare
dal bilancio della difesa, in continuo aumento. Ma avrà conseguenze pratiche
anche su tutte le isole del pacifico e sulla stessa Timor Est.
Il nuovo trattato
sullo sfruttamento dei giacimenti
Il venti maggio John Howard era naturalmente a Dili a prendersi la sua parte
di gloria nelle celebrazioni per l'indipendenza. Sfoderato il sorriso delle
grandi occasioni, ha propinato la buona novella dell'Australia paladino della
lotta per l'indipendenza. Ma alle conferenze stampa affollate anche di giornalisti
indipendenti è stato attaccato da un fuoco di domande sulle trattative
in corso per lo sfruttamento dei giacimenti di idrocarburi nel Mare di Timor,
domande che il Primo ministro, secondo il suo stile, ha lasciato senza risposta
(ma il sorriso si era trasformato in smorfia di disappunto). E in città
è stato contestato da gruppi di manifestanti.
Perché tutto questo?
Perché mentre l'Australia sbandierava il suo sostegno a Timor Est, cercava
nuovamente di rubarle i giacimenti. Nello scorso mese di luglio i governi dei
due Paesi hanno stabilito i termini per la firma di un nuovo trattato che dovrà
sostituire quello precedente con l'Indonesia. Il confine marittimo fra Timor
Est e Australia forma però oggetto di disputa e quindi di preoccupazione
per la nuova amministrazione timorese. Intanto un memorandum d'intesa assegna
a Timor Est il 90% delle "royalties" della zona comune di sviluppo
petrolifero (Joint Petroleum Development Area), lasciando all'Australia il restante
10%. Prima della firma del memorandum, il governo australiano aveva cercato
di imporre condizioni molto più sfavorevoli per la piccola isola (50%
delle royalties), minacciando di ridurre i propri stanziamenti per l'aiuto allo
sviluppo. L'Australia ha poi dovuto fare marcia indietro su pressione dell'Amministrazione
Provvisoria delle Nazioni Unite, che ha posto il paese di fronte ai legittimi
diritti di Timor Est secondo le leggi marittime internazionali.
Un addendum dell'accordo propone di assegnare a Timor Est solo il 18% delle
royalties derivanti dallo sfruttamento dei giacimenti di Greater Sunrise, una
zona di confine fra i due Paesi. Esperti del settore sostengono però
che una attenta demarcazione finirebbe per assegnare a Timor Est quasi tutti
i giacimenti.
Perciò i leader timoresi e le organizzazioni non governative sostengono
che un trattato firmato sulla base di questi accordi transitori farebbe perdere
al nuovo Stato fondi enormi. Secondo alcuni studi una esatta demarcazione dei
confini marittimi in accordo con le leggi internazionali potrebbe assegnare
a Timor Est tutti o quasi i giacimenti della zona.
Così il governo federale ha esercitato enormi pressioni su quello timorese
affinché si giungesse ad una conclusione delle trattative prima della
cerimonia dell'indipendenza e questo atteggiamento ha portato alle dure contestazioni
contro Howard a Dili.
Tra l'altro, prevenendo le mosse del governo timorese, l'Australia si è
ritirata dalla Corte Internazionale di Giustizia, che ha fra i proprio compiti
anche quello di risolvere le dispute in merito alla definizione del confini
marittimi. Su questa decisione australiana il ministro del governo provvisorio
timorese, Mari Alkatiri, ha così commentato: "il ritiro dell'Australia
dalla Corte Internazionale di Giustizia è un atto di scortesia nei confronti
di Timor Est, un segnale di mancanza di fiducia nel nostro Governo". Ancora
più tagliente, Max Lane, direttore di "Action in Solidarity with
Asia and Pacific", ha detto che "il governo australiano, ancora una
volta, ha mostrato il proprio totale disprezzo per leggi e convenzioni internazionali,
analogamente a quanto fa con i rifugiati. E' un altro esempio della politica
prepotente dell'Australia nei confronti dei piccoli Paesi della regione, ed
ha lo scopo principale di promuovere le grandi multinazionali con sede in Australia,
affinché possano aumentare i propri profitti senza restrizioni."
Lane ha colto nel segno, perché dietro al governo australiano si muove
il gigante americano "Phillips Petroleoum", che ha enormi interessi
nell'area e che ha anche accusato il nuovo governo timorese per il varo di un
sistema fiscale meno favorevole alle imprese.
La questione resta aperta, ma è evidente che al di la della facciata
l'Australia continuerà a fare pressioni sul piccolo Paese per ottenere
condizioni più favorevoli alla proprie imprese nello sfruttamento dei
giacimenti.
Preoccupazioni
e prospettive per Timor Est dall'osservatorio australiano
A causa di questo tipo di approccio si aprono molte domande sul futuro di Timor
Est. L'amministrazione portoghese lasciò l'isola, dopo 400 anni di dominazione,
senza nulla. L'Indonesia, in 25 anni di occupazione, ha realizzato solo le infrastrutture
che le sono servite per la repressione militare, ma ha distrutto e impoverito
il Paese, eliminando fisicamente oltre un terzo della popolazione.
Timor Est si affaccia all'indipendenza in una situazione di estrema povertà
diffusa. Il rischio è che il Paese venga forzato ad adottare il modello
neo liberista, al di la delle intenzioni dei suoi leader. Gli "esperti"
del Fondo Monetario Internazionale e della Banca Mondiale sono già, minacciosamente,
all'opera, e conosciamo le loro ricette. I donatori, compresa ovviamente l'Australia,
pongono le loro condizioni: non vogliono dare i soldi direttamente al governo
ma propongono la supervisione di un organismo internazionale di controllo. Poiché
le Nazioni Unite non sono disponibile a svolgere tale compito, sembra che il
controllo sarà effettuato dalla Banca Mondiale. E il cerchio si chiude:
ciò significa una pesante remora sul futuro dell'isola, che sarà
costretta ad adottare politiche liberiste che sono una grave minaccia per una
popolazione già impoverita.
I commentatori australiani hanno mostrato in questi giorni poco interesse per
questi aspetti che determineranno il futuro dei timoresi, e invece forte preoccupazione
per le decisioni che prenderanno i leader nel nuovo stato. L'Australia ha sempre
visto l'indipendenza di Timor come una minaccia alla stabilità della
regione e in realtà questo aspetto assume maggior rilevanza delle necessità
e delle aspettative del popolo timorese.
La preoccupazione principale resta l'Indonesia. Il presidente Megawati ha dato
un saggio di potenza e prepotenza facendosi precedere, nel viaggio a Dili per
la cerimonia d'indipendenza, da 7 navi da guerra che hanno gettato l'ancora
al largo del porto di Dili, senza alcuna autorizzazione. A fronte di avvenimenti
tanto minacciosi i commentatori australiani si chiedono che posizioni assumerà
l'Indonesia, e auspicano che l'Australia, come Paese donatore, mantenga un ruolo
di controllo e moderazione della politica di Timor Est. Ed è esattamente
quello che ha intenzione di fare, tenuto conto che i fondi australiani saranno
tesi soprattutto alla formazione di reparti di polizia istruiti a mantenere
l'ordine interno.
Nuove deportazioni
Intanto sul versante interno un altro capitolo della vergognosa politica sui
rifugiati si sta aprendo, proprio in connessione con la neo consolidata indipendenza
di Timor Est.
Vivono in Australia circa 1500 timoresi cui è stato riconosciuto asilo
politico. Per la maggior parte si tratta di persone che scapparono dopo il massacro
di Dili del 1991, quando l'esercito indonesiano aprì il fuoco su manifestanti
inermi.
Il governo australiano chiede che lascino al più presto il Paese, poiché
ormai non corrono più rischi a rientrare a Timor. Dopo oltre dieci anni
di presenza qui, a questi rifugiati non viene neanche data una possibilità
di scegliere. Chi sta terminando studi, chi ha messo su famiglia, chi va incontro
a una situazione economica instabile: tutti devono lasciare il Paese. Ciò
che hanno dato alla società australiana in questi anni non conta.
Ma la solidarietà
non si ferma
Nonostante il quadro poco brillante fin qui fornito, non tutto quel che accade
"Downunder" è da gettare. Da molti anni è attiva in
Australia una campagna di solidarietà che molto ha fatto per Timor Est.
La campagna era inizialmente denominata ASIET - Action in Solidarity with Indonesia
and East Timor, ed è stata successivamente ribattezzata ASAP - Action
in Solidarity with Asia and Pacific, per aver esteso il suo raggio d'azione
(2).
In questi giorni tumultuosi la campagna si pone nuovi e importanti compiti.
In primo luogo quello di verificare e stigmatizzare i comportamenti scorretti
del governo australiano che favorisce le grandi imprese a scapito dei diritti
del popolo timorese.
In secondo luogo quello di monitorare il comportamento dei leader timoresi.
Quelli che una volta erano compagni di strada, tante volte invitati a dibattiti
e incontri e tante volte sostenuti con atti di solidarietà concreta,
sono oggi i governanti di Timor Est. Devono dirigere un piccolo Paese stretto
fra due giganti e sono già avviati sulla strada del compromesso.
Le prime ore dell'indipendenza non sono piaciute agli attivisti di ASAP che
da tanti anni lavorano per Timor Est: alle celebrazioni ufficiali erano presenti
i capi di stato dell'Indonesia, dell'Australia e di altri Paesi che sono responsabili
delle atrocità commesse, mentre steccati e recinzioni tenevano lontani
timoresi che hanno rischiato la vita e hanno sofferto per raggiungere questo
obiettivo.
I discorsi accomodanti e distensivi di Xanana Gusmao (3), sebbene comprensibili,
sono suonati stonati alle orecchie di chi conosce la storia di questo popolo.
E ancor di più è risultata stonata la dichiarazione che Timor
Est sostiene l'integrità territoriale indonesiana. Il che rappresenta
un colpo alle aspirazioni di indipendenza di altre parti oppresse dell'arcipelago,
come l'Aceh e il West Papua.
Insomma, con l'indipendenza di Timor Est non finiscono le sofferenze del popolo
timorese e non cessa la necessità di continuare a lavorare in solidarietà
con esso. La campagna ASAP, riparte da qui, cosciente della molta strada ancora
da percorrere.
1. A proposito
di INTERFET, non sarà casuale che all'indomani della celebrazione dell'indipendenza
di Timor Est il Generale Cosgrove, capo della forza di pace, già qui
celebrato come "l'eroe di Timor Est", sia stato nominato capo delle
Forze Armate. La sua esperienza tornerà presumibilmente utile in futuri
corpi di spedizione!
2. Per un approfondimento si può consultare il sito http://www.asia-pacific-action.org
3. Leader della resistenza timorese, ora Presidente della nuova Repubblica.