Omosessualità e
trasformazione sociale.
Riflessioni a seguito del dibattito tenutosi
alla Festa di Liberazione a Milano. Di Lorenzo Bernini del GLO. Ottobre 1999.
Lo scorso 4 luglio
alla festa di Liberazione il G.L.O. (Gruppo di Lavoro sull'Omosessualità)
di Milano in collaborazione con la commissione cultura di Milano ha organizzato
un dibattito, molto partecipato, dal titolo "Omosessualità e trasformazione
sociale". Un centinaio di persone, tra cui esponenti di varie realtà
gay e lesbiche di Milano, hanno ascoltato gli appassionati interventi di Nichi
Vendola (che tra l'altro è l'unico parlamentare italiano omosessuale
dichiarato) e Titti de Simone (presidentessa di Arcilesbica, e membro del Comitato
politico nazionale).
Il dibattito è stato intenso ed appassionato, ed ha toccato temi diversi,
tra cui il rischio di normalizzazione che gay e lesbiche corrono se appiattiscono
le loro lotte alla rivendicazione del diritto al matrimonio senza mirare a un
progetto complessivo di trasformazione economica e sociale. Quanto segue è
tratto dall'intervento introduttivo dell'iniziativa a cura del G.L.O. di Milano.
Finalità del G.L.O. sono la sensibilizzazione di simpatizzanti, militanti
e dirigenti di Rifondazione Comunista (cioè della fetta di società
civile che riusciamo a raggiungere attraverso il nostro partito) alle questioni
relative all'omosessualità, e la promozione delle lotte per i diritti
civili delle persone omosessuali in collaborazione con altre realtà lesbiche
e gay; ma finalità del G.L.O. è anche tentare un'elaborazione
teorica che unisca le istanze di liberazione dei movimenti omosessuali a un
progetto piè ampio di trasformazione sociale attraverso un confronto,
e se necessario uno scontro, con la tradizione teorica libertaria comunista
e non comunista.
All'interno di questa prospettiva si colloca il dibattito di questa sera: lo
abbiamo intitolato "omosessualità e trasformazione sociale",
ma avremmo potuto sostituire questo titolo con una domanda: noi, omosessuali
antagonisti, che cosa vogliamo fare della nostra identità di lesbiche
e gay?
Oppure avremmo potuto sostituire questo titolo con una citazione di Michel Foucault,
che in una intervista del 1981 disse: "Rifiuto di far risalire la questione
dell'omosessualità alle domande; "chi sono?", "Qual è
il mio desiderio segreto?". Sarebbe meglio chiedersi; "quali rapporti
si possono stabilire, inventare, moltiplicare e modulare attraverso l'omosessualità?".
In altre parole: dalla nostra esperienza di esclusione e di emarginazione politica
e sociale, quale lezione possiamo trarre? Che cosa vogliamo farcene?
Ne "Le origini del totalitarismo" Hannah Arendt, descrivendo la condizione
degli ebrei nei salotti parigini di fine secolo, scrive: "Finchè
esisteranno classi e popoli diffamati, le qualità del parvenu e del paria
continueranno ad essere prodotte con incredibile monotonia da ogni nuova generazione".
Cioè: per Hannah Arendt l'esperienza dell'esclusione apre alle minoranze
morali due possibilità di esistenza: quella del paria e quella del parvenu.
Parvenu è chi dedica la propria vita alla scalata sociale: chi cerca
di dimenticare e di far dimenticare la propria condizione minoritaria -ad esempio
la propria omosessualità- e di avere successo in società. Parvenu
sono sicuramente i gay e le lesbiche velati, che si nascondono, che non sanno
raccogliere la sfida della propria diversità e si adeguano alla realtà
cos" com'è: unico loro scopo è essere ammessi in società
e vivere tranquilli.
Ma parvenu sono anche coloro il cui successo è dovuto alla propria diversità,
al proprio fascino stravagante. Adeguarsi agli standard maggioritari significa
anche saper compiacere un pubblico, essere e non essere "diversi' a seconda
di ciò che viene richiesto. Ne sono un esempio i nostri stilisti, o i
vari Renato Zero o Zeffirelli: maestri nell'esibire e nel nascondere omosessualità
nelle parole, nell'abbigliamento e nell'atteggiamento nel modo piè utile
per compiacere un pubblico eterosessuale. Questi parvenu provocano, ma non portano
alcun cambiamento, perchè la loro provocazione è addomesticata
e come l'omosessualità velata sa stare al suo posto. L'effetto di queste
esibizioni di omosessualità, o almeno di qualcosa che come omosessualità
viene riconosciuto, è evidente nell'intervista rilasciata da La Russa
di Alleanza Nazionale a Repubblica in occasione della recente polemica sui maestri
Gay; La Russa ha dichiarato: "Ho molti amici gay; sono spesso i migliori
nella moda, nell'arte: ma quando si tratta di offrire un modello ai nostri bambini
non ho dubbi: meglio gli eterosessuali."
Il parvenu quindi, anche quando non nasconde ma anzi esibisce omosessualità,
vuole solo assimilarsi, "arrivare", e non sa fare politica.
Invece paria è chi assume la sfida della propria identità di escluso,
e a partire da questa esclusione attacca gli standard che lo escludono. Il paria
non vuole assimilarsi alla società perchè si sente orgogliosamente
diverso. Questo orgoglio può tradursi in due atteggiamenti differenti.
Il primo consiste nello stringere legami solo con i propri simili, nel costruirsi
mondi privati che orgogliosamente si contrappongono al mondo pubblico. E' l'atteggiamento
che solitamente gli omosessuali si sentono imputare attraverso l'accusa di autoghettizzazione:
non occuparsi del mondo comune se non per accusarlo e ritirarsi in vita privata
coi propri simili.
Il secondo atteggiamento possibile al paria è quello piè propriamente
politico: sfruttare la propria esclusione come possibilità di comprensione
del mondo e di trasformazione sociale. Il paria consapevole non vuole assimilarsi
a una società che lo esclude, ma vuole modificare gli standard di inclusione
della società. A partire dalla propria condizione minoritaria sviluppa
sensibilità per l'ingiustizia subita da tutte le minoranze, e unisce
la propria lotta a quella degli altri: non solo contro la maggioranza, ma con
la meggioranza, per costruire un mondo piè accogliente per tutti -omosessuali,
eterosessuali, transessuali e transgender, donne e uomini, diseredati, malati
psichiatrici, handicappati, tossicodipendenti...
Per Arendt solo il paria è capace di fare politica, il parvenu no. La
condizione omosessuale rivela però la possibilità di un parvenuismo
anche politico: esistono tattiche politiche che rischiano comunque di risolversi
in una assimilazione e non in una trasformazione sociale: sono le tattiche della
lobby.
Come dire: se i valori sociali magioritari tollerano n categorie di persone,
il parvenu politico vuole che ne tollerino n+1 e non punta a cambiare il sistema
di valori complessivo. Come ci insegna Michel Foucault il rischio che in tal
modo si corre è quello della normalizzazione, dell'addomesticamento,
della perdita di antagonismo. Un esempio lampante è la nascita, nel corso
di questo ultimo anno, di organizzazioni di omosessuali di destra. Un esempio
meno lampante, e che forse susciterà maggiori resistenze, è la
battaglia per ottenere il matrimonio lesbico e gay.
Il disegno di legge presentato dall'onorevole Soda vuole allargare alle coppie
omosessuali le leggi previste per le coppie eterosessuali -a eccezione di quelle
relative all'adozione. Sicuramente è una battaglia che dobbiamo fare,
in nome del principio giuridico e politico dell'uguaglianza, e anche tenendo
conto del momento storico che viviamo in Italia; tuttavia dovremmo chederci
se non si tratti comunque di un'operazione di assimilazione, se non si rischi
di caricare sempre e comunque la coppia di quelle finalità e quei significati
che ci hanno da sempre insegnato costituire la coppia. Il matrimonio e la famiglia
non sono forse l'incarnazione di quel regime patriarcale da cui derivano le
discriminazioni delle donne eterosessuali , delle donne lesbiche e degli uomini
gay? E' possibile assumere i valori del matrimonio -la fedeltà, la finalità
riproduttiva o adottiva, la finalità economica di assistenza che permette
di alleggerire il welfare state- trasformandolo da istituzione di oppressione
a istituzione di libertà?
Pensiamo a quanto la nostra famiglia ci ha ostacolati in quanto omosessuali
o in quanto donne, pensiamo a quanto una società e una legge che promuovono
la coppia ostacolino i singoli in senso pratico e psicologico (pensiamo alle
discussioni che abbiamo affrontato riguardo alla legge Turco sulle giovani coppie).
Esistono negli Stati Uniti delle comunità ebraiche in cui i rabbini permettono
il matrimonio tra persone dello stesso sesso, purchè gli sposi adottino
un figlio. Può sembrare un esempio di liberazione, e invece è
un esempio di normalizzazione; questi rabbini benedicono una coppia omosessuale
purchè esse assolva alle stesse funzioni di quella eterosessuale: la
trasmissione della fede e della cultura ebraica alle generazioni successive.
Stiamo attenti che le nostre lotte di emancipazione non mirino a renderci semplicemente
prosecutori e proseliti dei valori che fino ad oggi ci hanno esclusi, e che
domani potrebbero includerci escludendo altri. Potremmo trovarci un giorno felicemente
sposati e con figli, in carriera, e magari razzisti, xenofobi, incattiviti contro
l'extracomunitario che vuole lavarci il vetro della macchina, contro il tossico
che chiede l'elemosina o contro il viado che scandallizza i nostri bambini.
La trasformazione sociale non si riduce all'uguaglianza, ma va oltre. Il disegno
di legge Soda chiede il matrimonio per gli omosessuali: sicuramente è
una battaglia da fare ("Noi vogliamo tutto!" dicevano un tempo le
femministe); ma al tempo stesso non dobbiamo rinunciare ad elaborare ed esperire
forme alternative di coppia o di vita relazionale che garantiscano diritti ai
singoli senza normalizzarli. Tempo fa parlavamo di progetti di unione civile,
e con questo termine volevamo indicare qualcosa di diverso dal matrimonio. E'
una stada che dovremmo continuare a percorrere, non solo perchè l'unione
civile è un obiettivo intermedio per poi conquistare il matrimonio, ma
perchè è l'occasione per elaborare qualcosa di nuovo accessibile
a noi omosessuali ma anche agli eterosessuali che non si riconoscono nel regime
matimoniale, per elaborare modelli di vita e di convivenza alternativi alla
famiglia tradizionale.