Omosessualità, famiglie,
stili di vita alternativi.
Il principio dell'uguaglianza giuridica di
tutti i cittadini dovrebbe essere uno dei valori fondanti della convivenza civile,
se in uno Stato questo principio non è rispettato, tutti i suoi cittadini
sono in pericolo. Di Lorenzo Bernini, del GLO di Milano. Febbraio 2000.
Il principio dell'uguaglianza
giuridica di tutti i cittadini dovrebbe essere uno dei valori fondanti della
convivenza civile, ed è giustamente sancito dall'articolo 3 della costituzione
italiana ("Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono uguali
davanti alla legge senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione,
di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali. È compito della
Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando
di fatto la libertà e l'uguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno
sviluppo della persona umana e l'effettiva partecipazione di tutti i lavoratori
all'organizzazione politica, economica e sociale del Paese"). Se in uno
Stato questo principio non è rispettato, tutti i suoi cittadini sono
in pericolo, anche quelli che rispetto ad altri godono di privilegi, perché
di fatto ognuno è leso nella propria libertà di essere diverso
da ciò che al momento è. Dopo il crollo del muro di Berlino un
pensiero che voglia ancora dirsi comunista non può non riflettere su
ciò che è stato il socialismo reale, e non può non assumere
il principio della cittadinanza integrale all'interno della tematica della rivoluzione
sociale: se vogliamo intendere il comunismo del futuro come comunismo democratico,
non possiamo che accogliere l'uguaglianza giuridica tra i principi fondanti
della nostra pratica politica di comunisti.
In nome di un'uguaglianza giuridica che ancora non c'è il movimento lesbico
e gay italiano negli ultimi anni ha scelto di finalizzare le proprie battaglie
alla richiesta di una legge antidiscriminatoria, che protegga lesbiche e gay
da offese e soprusi nelle scuole e nei luoghi di lavoro, e di una legge sulle
Unioni Civili che garantisca alle coppie omosessuali alcuni dei diritti di cui
godono le coppie eterosessuali unite dal matrimonio. Una scelta necessaria,
ispirata a un principio universale, volta non solo alla rivendicazione di diritti
per le coppie omosessuali, ma anche all'allargamento dei diritti delle coppie
di fatto (non "di matrimonio") eterosessuali. Una richiesta che purtroppo
per il momento non è stata ascoltata: se in Francia la maggioranza di
centro sinistra ha istituito i PACS (Patti di Solidarietà Sociale, che
equivalgono alle unioni civili), in Italia la sinistra maggioranza di centro
non ha neppure tentato di discutere un disegno di legge sulle unioni civili,
e ha abortito la legge discriminatoria che pure aveva "promesso" alle
associazioni omosessuali. In compenso la giunta destro-ciellina della Regione
Lombardia ha partorito una bruttissima legge sulla famiglia che considera il
concepito soggetto giuridico e che, finanziando la famiglia tradizionale, di
fatto penalizza i singoli e le coppie che al matrimonio non vogliono o non possono
accedere. E intanto il Vaticano mette in discussione il diritto di lesbiche
e gay di manifestare il loro orgoglio per le vie di Roma.
Il cammino per l'effettiva affermazione dell'uguaglianza giuridica dei cittadini
omosessuali in Italia è quindi tutt'altro che compiuto, e le lotte delle
associazioni omosessuali a tale scopo non devono smettere di essere rafforzate
e riattualizzate.
Tuttavia la stesse
associazioni dovrebbero anche interrogarsi su tutti i significati di queste
lotte, e sui pericoli che ogni acquisizione di "uguaglianza" comporta
sul piano dell'affermazione delle "differenze". A nostro avviso lesbiche
e gay possono attribuire un senso alla propria discriminazione, interpretandola
anche come possibilità di trasformazione sociale e non solo come richiesta
di normalizzazione: troppo spesso l'esigenza dei singoli di sentirsi "normali"
impedisce di mettere in discussione l'esigenza della società di normare
i comportamenti normalizzando gli individui, plasmandone le esigenze e i desideri.
Neppure gli eterosessuali vivono nel migliore dei mondi possibili: e nel momento
in cui gli omosessuali chiedono uguali diritti, non devono rinunciare a contestare
i pericoli di questo mondo. Perché uno Stato che considera la famiglia
sua agenzia privilegiata di erogazione di educazione e di assistenza (e che
considera le donne agenti di tale erogazione) rischia di dimenticare i diritti
dei singoli: dare soldi alle famiglie in difficoltà, prevedere quote
nell'assegnazione delle case popolari per le famiglie può essere un passo
verso l'affermazione del principio di sussidiarietà dello Stato e verso
lo smantellamento progressivo dello stato sociale: "che sia la famiglia
ad occuparsi dei malati, dei bambini, degli anziani, e chi ha fatto la scelta
scellerata di restare single si arrangi (e usufruisca delle vestigia di uno
stato sociale che diventa elemosina per i disperati)!"
Poter accedere all'istituzione matrimoniale (e non solo a una sua versione più
"snella" come le unioni civili o i PACS) sarebbe sicuramente una conquista
per lesbiche e gay, ma comporterebbe anche il rischio di una perdita di "fantasia"
o di "creatività" relazionale: spesso o quasi sempre le associazioni
omosessuali dichiarano di non volere sovvertire la famiglia tradizionale: speriamo
che dicendo questo aspirino almeno a cambiarla. Perché il matrimonio
finora ha significato non solo garanzia di diritti di coppia (purtroppo a discapito
di quelli dei single) ma anche oppressione dell'uomo sulla donna e dei genitori
sui figli. Mentre rivendicano il proprio diritto d'accesso al matrimonio, a
nostro avviso le coppie omosessuali non devono smettere di rivendicare la propria
specificità di coppie "diverse", che nel non poter e nel non
voler riprodurre al proprio interno una polarizzazione dei ruoli maschile e
femminile, scelgono di non riprodurre neppure le dinamiche relazionali di dominio
e oppressione che a tali ruoli culturalmente si accompagnano. Mentre rivendicano
il proprio diritto alla maternità e alla paternità, lesbiche e
gay non possono dimenticare l'oppressione che le proprie famiglie d'origine
hanno esercitato sullo sviluppo della propria personalità e della propria
sessualità, e devono anzi affermare con forza di voler interpretare il
proprio desiderio di fare figli in modo più libero e rispettoso dei diritti
dei bambini. E in particolare i gay, ricordando le relazioni che intercorrono
tra omofobia e oppressione di genere, devono interrogarsi sul senso del desiderio
di avere figli "biologicamente" propri: la paternità deve per
forza passare attraverso il proprio sperma e il proprio sangue? E attraverso
il corpo-incubatrice di una donna? Alla coppia gay inglese che ha "partorito"
una coppia di gemelli affittando l'utero di una donna americana, noi chiediamo
se non sarebbe stata una scelta d'amore più forte adottare due orfani
e magari offrire denaro a un'associazione per le ragazze madri piuttosto che
pagare una donna consenziente ma evidentemente bisognosa per sopportare il peso
di una gravidanza gemellare di figli non suoi.
"Noi vogliamo tutto", dicevano un tempo le femministe. E oggi lesbiche
e gay fanno bene a volere tutto. Ma siamo sicuri che l'accesso al matrimonio,
all'adozione e alla procreazione assistita sia "tutto"? "Tutto"
è anche non rinunciare a inventare relazioni nuove, diverse da quelle
etrosessuali, e inventare nuovi modi per declinare la propria maternità
e paternità; è anche sperimentare nuovi nuclei familiari, nuovi
modelli di convivenza e cercare espressioni più consapevoli e libere
della propria affettività. È anche, ad esempio, affermare che
la coppia non è l'unica soluzione positiva di una vita, e che si può
essere anche felicemente single; che l'amore non ha espressione solo nella coppia
tradizionalmente intesa, ma che possono esistere relazioni diverse ma ugualmente
intense; che ad esempio l'amicizia tra donne e uomini contiene potenzialità
di libertà che troppo spesso una società organizzata per coppie
tende a misconoscere.
Non dobbiamo dimenticare la storia recente: sicuramente la "moda"
della ricerca di stili di vita alternativi degli anni '70 ha registrato eccessi
e fallimenti, ma ha anche rinnovato la vita delle persone e ha migliorato la
vita delle donne. Come le distopie del socialismo reale non devono trattenerci
dal desiderio utopico (nel senso che ancora non ha luogo) di un mondo migliore
e dalla critica del mondo attuale, così i fallimenti di una "fantasia"
che al potere non è andata mai non devono impedirci di fantasticare di
nuovo, fantasticare magari non di prendere il potere, ma perlomeno di resistere
al potere che c'è, a partire da noi stessi, dalle nostre relazioni, dalle
nostre vite. A partire anche dalle relazioni e dalle vite di lesbiche e gay.