Contro la liberazione sessuale,
per un libero uso dei piaceri.
Un'interpretazione del pensiero dell'ultimo
Michel Foucault. Da una relazione presentata al recente seminario sull'erotismo
lesbico a Milano. Di Lorenzo Bernini, del Gruppo di Liberazione Omosessuale
di Milano. Dicembre 2000.
Chiedo scusa se non parlerò a braccio
e invece leggerò il mio intervento. Il fatto è che sono emozionato
a essere qui ed ora a parlare davanti a questo pubblico che siete voi. E siccome
il concetto di e-mozione contiene in sé la nozione di movimento,
un po' sono molto contento di essere qui, in questo luogo che alcune donne hanno
creato, e un po' vorrei invece essere altrove. E un po' vorrei essere nel pubblico,
un osservatore che mi ascolta, anziché dover parlare proprio io.
Sono emozionato perché non sono abituato a fare quello che sto per fare
ora: non sono un insegnante, non sono un conferenziere. Non sono abituato a
occupare il ruolo di chi spiega qualcosa a qualcuno, di chi detiene un sapere
e deve comunicarlo. E' stato proprio Foucault a evidenziare come la produzione
di sapere intrattenga sempre rapporti con il potere: ad esempio chi parla da
un pulpito o da una cattedra è sempre legittimato a farlo da qualche
autorità, e generalmente ha l'autorità di far tacere i
suoi auditori per farsi ascoltare: le sue parole sono più pregnanti del
sussurrare del pubblico perché si presuppone che contengano qualcosa
che in una situazione data, quella in cui lui parla ed altri ascoltano, è
considerata una verità.
Questo ruolo che mi imbarazza è quindi un ruolo di potere. E una delle
ragioni del mio imbarazzo è che, come afferma Foucault, le relazioni
di potere non sono relazioni semplici in cui semplicemente qualcuno vieta o
comanda ad esempio vieta di parlare e comanda di ascoltare e qualcun
altro obbedisce ad esempio tacendo e ascoltando le verità del relatore.
Il potere determina entrambi i suoi poli, cioè attraversa tanto chi lo
subisce quanto chi lo esercita. Così mentre io esercito il potere in
questo mio tentativo di spiegarvi il pensiero di Foucault, al tempo stesso subisco
il potere del vostro giudizio, e invoco e la vostra clemenza per la mia emozione!
Nel novembre 1976, durante una conferenza all'università di Bahia, Foucault
risponde con queste parole alla domanda di una studentessa: "Mi sembra
[...] che le relazioni di potere non debbano essere considerate in modo schematico,
come se ci fossero, da un lato, quelli che hanno il potere e, dall'altro, quelli
che non l'hanno." E fa un esempio: "Per il fatto di essere studentessa,
lei è già inserita in una determinata situazione di potere; anch'io,
in quanto professore, sono in una situazione di potere; sono in una situazione
di potere perché sono un uomo e non una donna, ma anche lei, in quanto
donna, è in una situazione di potere. La situazione non è la stessa,
ma ci siamo tutti in questa situazione. Di chiunque sappia qualcosa possiamo
dire 'lei esercita potere'. È una critica stupida, se si limita a questo.
È invece importante conoscere come funzionano le maglie del potere in
un gruppo, in una classe o in una società, localizzare ciascun individuo
nella rete del potere, sapere come esercita il potere, come lo conserva e come
lo trasferisce."
Queste parole di Foucault mi permettono di sottolineare un altro aspetto della
situazione di potere che voi avete creato invitandomi qui a parlare per ascoltarmi,
e io accettando il vostro invito: il fatto che voi siete donne e lesbiche e
io uomo, uomo gay - e quindi dal mio punto di vista meno compromesso con il
potere maschile - ma comunque uomo. Nell'analisi che dedica al potere, che è
un'analisi assai accurata e mai banale, Foucault insiste sul fatto che del potere
non si può mai fare a meno: siamo sempre in situazioni di potere, e non
è ipotizzabile una società senza potere, perché di potere
sono fatti gli stessi legami sociali. Il potere è "azione che si
esercita su azioni": cioè esercitare potere significa determinare
e influenzare le scelte degli altri, il che costituisce appunto i legami sociali.
Quindi il potere non è in sé un male, e tuttavia contiene sempre
dei pericoli, perché può trasformarsi in dominio. La differenza
tra potere e dominio è una differenza di gradi di libertà. Se
esercitare potere significa influenzare gli altri, questi "altri"
su cui il potere si esercita sono liberi: sono influenzabili proprio perché
sono liberi. Se non ci fosse libertà non ci sarebbe potere: io non potrei
spingerti ad agire o a pensare secondo la mia volontà se tu fossi obbligato,
necessitato a comportarti in un certo modo. Quando il potere si fa pericoloso,
esso tende a diventare dominio: tende cioè a limitare la libertà
degli altri fino a farla scomparire, fino a trasformarli da soggetti liberi
ad automi. Ad esempio, secondo Foucault, una condizione vicina allo stato di
dominio è quella della donna nella famiglia del XVIII e del XIX secolo.
Nella famiglia tradizionale non si può dire che la moglie non possa fare
nulla contro il potere del marito: lo può tradire, ad esempio, o negarsi
sessualmente, o sottrargli denaro. Ma la sua condizione è vicina al dominio
perché tutte queste cose sono, tutto sommato, soltanto delle astuzie,
che non possono mai ribaltare la situazione.
Il pensiero di Foucault è un pensiero di difesa radicale e forsennata
della libertà: è un invito alla resistenza: Foucault invita noi
tutti a resistere al potere, a quel potere che non è di per sé
un male e di cui non si può mai fare a meno, affinché non diventi
dominio, e affinché anzi si aprano nuovi spazi di libertà. Perché
se l'esercizio del potere si accompagna sempre all'esercizio della libertà,
allora al potere possiamo sempre opporre resistenza; e le relazioni di potere
in cui sempre e per forza siamo inseriti possono sempre essere modificate e
rovesciate. È questo che Foucault intende quando afferma che riconoscere
che siamo sempre situati in situazioni di potere non significa che siamo sempre
in trappola. Cito: "Non possiamo metterci al di fuori della situazione,
e in nessun posto possiamo essere liberi da ogni rapporto di potere. Ma possiamo
sempre trasformare la situazione. Non ho mai voluto dire che siamo sempre in
trappola, ma, al contrario, che siamo sempre liberi. Insomma, che esiste sempre
la possibilità di trasformare le cose."
Ecco allora la domanda: il mio essere qui, e questa mia emozione che un po'
mi porta a desiderare di essere altrove, che cosa sta a significare se non che
proprio qui adesso è in atto il rovesciamento di una situazione di potere
consolidata? Voi, amiche lesbiche, ci siete riuscite. Come risposta a millenni
di potere maschile e maschilista, questa sera avete creato un luogo in cui il
maschio è ospite, e voi siete padrone di casa. Avendo inventato la pratica
del separatismo femminile, e avendo poi deciso di aprire per una sera un luogo
di separatismo come questo anche agli uomini, rovesciate il potere maschilista
stravolgendolo. Avendo scelto di accogliere qui dei maschi, e invitandoli al
dialogo - scelta per nulla scontata, scelta libera a cui non eravate certo obbligate
- rovesciate il maschilismo e assieme mostrate che il potere può anche
non aspirare al dominio, che il potere può essere esercitato non solo
come oppressione, ma anche come apertura, come accoglienza e ospitalità.
Ed è come un ospite grato ed emozionato, maschio che cerca di esporre
il pensiero di un altro maschio in un luogo di donne, che vorrei parlarvi questa
sera.
Su Michel Foucault molto è stato detto
e molto è stato scritto. Michel Foucault è stato molte cose: filosofo
teoretico e filosofo morale, storico dei costumi e dei sistemi di pensiero,
epistemologo delle scienze umane. Ma nell'interpretazione che ne daremo questa
sera, Foucault apparirà essenzialmente come pensatore politico. E non
tanto per il suo essere militante, per il suo impegno d'intellettuale sempre
pronto a prendere partito nelle questioni più scottanti dell'attualità,
quanto per la valenza etico-pratica del suo pensiero. Leggere un testo di Foucault
è un'esperienza: è qualcosa che induce al cambiamento, che scardina
modi consolidati di pensare e getta sul mondo una nuova luce. Potremmo nominare
il pensiero di Foucault "meditazione", per distinguerlo dal pensiero
più classico della filosofia moderna che è invece "dimostrazione".
La dimostrazione è un tipo di discorso che non coinvolge il soggetto
che la pronuncia o che la ascolta: il soggetto si pone al di fuori delle cose
che dice e che aspirano al massimo rigore scientifico. La meditazione è
invece un tipo di discorso che nel suo farsi trasforma il soggetto che lo pronuncia
e che lo ascolta, che chiama in causa il soggetto in prima persona: dopo aver
meditato non si è più gli stessi, ci si ritrova diversi, magari
spaesati. E il pensiero di Foucault produce proprio un effetto di spaesamento:
paradossalmente è un pensiero pratico che talvolta paralizza l'azione.
Si legge Foucault e non si sa più che cosa fare: non si può più
agire come prima. Questo vale in particolare per le meditazioni sulla sessualità,
che costituiscono l'ultima produzione di Foucault: i tre volumetti della Storia
della sessualità che si intitolano La volontà di sapere,
L'uso dei piaceri e La cura di sé. Leggere questi tre volumetti,
meditarli, significa mettersi in discussione "profondamente", e rinunciare
a schemi consolidati di autorappresentazione per imparare a pensarsi in modo
diverso. In particolare significa rinunciare a pensarsi dotati di un'entità
misteriosa e profonda che si chiama sessualità che il potere della società
reprimerebbe e che noi avremmo il compito di liberare. Significa rinunciare
al progetto di una liberazione sessuale.
Il pensiero politico di Foucault è una risposta a quella che viene correntemente
chiamata la crisi del pensiero metafisico occidentale. Si tratta di una
crisi che coinvolge il sistema di valori, le abitudini e gli stili di vita,
il sentimento di appartenenza alla comunità: una specie di scossa tellurica
che rade al suolo ogni certezza e lascia privi di punti di riferimento. Nella
contemporaneità tale crisi emerge da un lato come perdita del sentimento
religioso, e dall'altro come fallimento di quel grande progetto razionale di
emancipazione dell'umanità che è il marxismo. Le cose, nell'URSS
e nei paesi dell'Est, avrebbero potuto andare diversamente? Forse: sicuramente
lo stalinismo non era tutto compreso nel pensiero marxiano. E tuttavia non si
può non registrare che anche il programma marxiano, nella sua volontà
di realizzare una volta per tutte e per l'umanità intera il progresso
dell'umanità, nel suo basarsi su una verità che il proletariato
avrebbe il compito di riconoscere e attuare, non contenga in sé delle
tendenze totalitarie. Il fatto è che qualsiasi programma aspiri alla
certezza di una verità è programma che chiude spazi di
libertà: la verità obbliga, e obbligando non lascia liberi.
Siamo in crisi, dunque. Almeno così dicono i filosofi voi vi sentite
in crisi? Facciamo finta di sì. Siamo rimasti senza punti di riferimento
etici: abbiamo perso la fiducia nell'esistenza di un'unica verità, di
un'unica ragione che possa mettere tutti d'accordo. Non possiamo più
immaginare la storia come corso unitario orientato verso il progresso, come
progressiva realizzazione di un'unica umanità: l'antropologia ci mostra
l'esistenza di culture e di storie diverse dalla nostra, gli studi storici ci
mostrano l'esistenza di sistemi di valori e di credenze diversi dal nostro persino
nella nostra cultura, nella nostra storia. E così, in campo morale come
in campo conoscitivo, cade il mito dell'esistenza di una verità assoluta,
unica, indubitabile ed eterna.
L'atteggiamento di Foucault rispetto a questa crisi della ragione non è
affatto un sentimento nostalgico: Foucault non cerca parametri per fondare una
nuova verità, una nuova razionalità che metta tutti d'accordo,
e accetta di formulare un pensiero che non abbia valore assoluto ma che sia
parziale. Un pensiero che è analisi delle formazioni del potere nel tempo
presente e che è invito a resistere a tali forme di potere in difesa
della libertà. Foucault non riduce la verità al potere, però
afferma che la verità, la produzione di sapere in una data epoca storica,
è sempre legata alle formazioni di potere della stessa epoca. Sapere
e potere si coimplicano: hanno bisogno uno dell'altro e si producono vicendevolmente.
E Foucault sceglie di partecipare ai giochi del potere e del sapere della nostra
attualità ponendosi dalla parte di chi al potere e al dominio oppone
la libertà.
Al potere che si esercita nel nostro presente,
e che ha radici nei secoli XVI-XVII, Foucault dà nomi differenti: potere
disciplinare, bio-potere, potere pastorale.
La nozione di "Potere disciplinare" sottolinea il fatto che il potere
non si limita a vietare, a impedire, a reprimere, a dire "no". Ne
La volontà di sapere Foucault ribadisce quanto già sosteneva in
Sorvegliare e punire: l'idea di un potere semplicemente repressivo è
- cito - "stranamente limitativa. Innanzitutto perché sarebbe un
potere povero nelle sue risorse, economo nei suoi procedimenti, monotono nelle
tattiche che usa, incapace d'invenzione e in un certo modo condannato a ripetersi
sempre. In secondo luogo perché è un potere che non avrebbe altro
che la potenza del 'no'; incapace di produrre alcunché, atto solo a porre
limiti, sarebbe essenzialmente anti-energia; il paradosso della sua efficacia
sarebbe di non potere nulla, se non far sì che ciò che sottomette
non possa a sua volta far niente, se non quel che gli si permette di fare. E
infine perché è un potere il cui modello sarebbe essenzialmente
giuridico, centrato sul solo enunciato della legge e sul solo funzionamento
del divieto. Tutti i modi di dominio, di sottomissione, di assoggettamento si
ridurrebbero in fin dei conti all'effetto di obbedienza."
Il potere non si limita a reprimere o a obbligare all'obbedienza: se generalmente
ce lo rappresentiamo così è perché in questo modo è
più tollerabile, perché in questo modo ci appare come qualcosa
di esterno, da cui è più facile liberarsi. Ma in realtà
il potere è creativo e produttivo: disciplina i nostri corpi, i nostri
movimenti, le nostre abitudini, costruisce modelli per le nostre relazioni sociali
- anche quelle sentimentali e sessuali. Decide delle norme che sono parametri
di giudizio per le nostre azioni, e ci sorveglia continuamente fin nei nostri
più piccoli atti, fin nei nostri più "profondi" moti
dell'animo. Il potere disciplinare non ha un unico centro, ma si esercita attraverso
agenzie sparse su tutto il tessuto sociale: la famiglia, ad esempio, e la scuola,
la chiesa, la polizia, l'amministrazione, persino i servizi sanitari. Il potere,
insomma, non solo reprime, ma educa, ci addestra come animali ammaestrati: plasma
i nostri comportamenti, e addirittura la nostra "interiorità".
E alleandosi con i saperi della biologia e della medicina, il potere prende
in carico direttamente la vita - è per questo che è "bio-potere"
-: basti pensare alle politiche d'igiene e di controllo delle nascite degli
stati ottocenteschi e novecenteschi, e basti poi pensare a quella follia totalitaria
che è stata il nazionalsocialismo, con il suo appello alla purezza della
razza. Il potere moderno si prende carico della popolazione e non solo del territorio;
ma nell'amministrare le masse non trascura gli individui. Lo stato moderno ha
fatto propria una tecnologia di potere che ha appreso dalla chiesa cristiana,
che Foucault chiama "potere pastorale". Come il pastore cristiano,
il potere moderno amministra la toitalità dei cittadini prendendosi cura
dei singoli cittadini, accudendoli amorevolmente, educandoli accuratamente.
E per fare questo, deve conoscerli: per questo li ascolta ad uno ad uno, inducendoli
a parlare, confessandoli. È appunto la confessione, quella modalità
di discorso a cui secondo Foucault continuamente siamo chiamati anche oggi che
- come vedremo tra poco - costituisce il nucleo del potere nella sua forma pastorale.
Il potere passa attraverso la parola, e attraverso la parola determina anche il nostro rapporto con noi stessi, edifica la nostra interiorità, nel senso che ci induce ad autorappresentarci come dotati di un "dentro", di un nucleo di desideri, di pulsioni e di istinti con cui dobbiamo fare i conti. Questo è uno di quei passaggi del pensiero di Foucault in cui si fa più evidente il carattere di meditazione, perché accettare tale pensiero significa accettare di modificare il nostro rapporto con noi stessi. Al centro del potere moderno, quel potere che produce e non solo vieta, quel potere che amministra la vita e che si esercita sulla popolazione esercitandosi sui singoli individui, Foucault pone un "dispositivo", un dispositivo di potere, a cui dà il nome di "sessualità". Questo significa che la sessualità - quel "qualcosa" attorno a cui ruota la gran parte delle nostre prescrizioni morali - è un prodotto del potere, al tempo stesso un suo strumento e un suo effetto. Non è qualcosa di profondo e di interno che nasce con noi, ma è qualcosa che l'esterno - il potere - produce in noi. Non è nulla di naturale, ma è qualcosa di storico, di culturale, che un tempo non c'era. Affermando questo, Foucault mette in discussione quelle che chiama "teorie repressive del potere", quelle teorie che provengono dalla psicoanalisi e che sono entrate nel nostro senso comune; quelle teorie scondo cui nasceremmo con un corredo di pulsioni e di istinti sessuali, che poi un potere esterno reprimerebbe o sublimerebbe. Il nostro compito sarebbe allora di liberarci da tale potere per rimetterci in contatto con le profondità del nostro animo e raggiungere la pienezza della nostra umanità: il nostro compito sarebbe una liberazione sessuale che dovrebbe riconciliarci con la nostra natura di uomini e donne. Le teorie repressive del potere sono le teorie della liberazione sessuale: ne sono esempi Reich e Marcuse, ma anche, in Italia, Mario Mieli quando nei suoi Elementi di critica omosessuale pone come obiettivo del movimento omosessuale la liberazione di una sessualità polimorfa e perversa. Anche questa sessualità polimorfa e perversa per Foucault è solo una costruzione del potere, perché tutto ciò che siamo in quanto esseri umani lo è: non vi è nulla di originario, di primo, di assoluto a cui possiamo attingere una volta per tutte per essere felici. La felicità è sempre ricerca, processo, e deve fare i conti con la situazione storica e parziale che viviamo: non esiste una natura sessuale da liberare, ma esiste un dispositivo di sessualità con cui fare i conti per proseguire il nostro cammino verso la libertà e la felicità. Per Foucault l'interiorità, il "dentro" è una costruzione storica, è un fuori ripiegato. E il potere non è qualcosa di esterno a questo dentro, ma è amalgamato ad esso: nel nostro autorappresentarci dotati di una sessualità profonda, noi siamo fatti anche di potere. Del resto noi saremo sempre fatti anche di potere, perché non esiste un paradiso terrestre in cui il potere non esiste, e perché vivere in società significa sempre vivere immersi in flussi di potere. E questo non ci rende più schiavi, ma al contrario ci rende più liberi. Se avessimo soltanto una "natura" da riconoscere e da liberare, una volta che l'avessimo raggiunta dovremmo solo ascoltarla: saremmo obbligati dai suoi desideri, dalle sue richieste. E se fossimo obbligati non saremmo liberi. Fare continuamente i conti col potere, resistergli per difendere le nostre libertà e per inventare nuove libertà, questo è il nostro compito secondo Foucault, o almeno secondo la lettura che io ne do.
La Storia della sessualità non è
dunque una storia dei comportamenti sessuali, ma è storia di come questi
comportamenti sono diventati oggetti di sapere, e di come si è costituito
quel campo di conoscenze che chiamiamo "sessualità": la sessualità
è esempio di come il potere pastorale assoggetti gli individui legandoli
a sé stessi, e inventando per loro un'interiorità da decifrare.
Foucault contesta l'opinione secondo cui nella società cattolica-borghese
dall'ottocento in poi i comportamenti sessuali sarebbero stati repressi come
mai prima, e che solo Freud ci avrebbe liberati da questo velo di silenzio steso
sopra la sessualità. Non è vero che l'uomo e la donna occidentali
siano abituati a tacere sul sesso: al contrario sono obbligati a dire tutto
sul sesso e ad attendersi da questo discorso modificazioni del proprio desiderio
e della propria personalità. Oggi ad esempio non c'e nessuna trasmissione
televisiva, nessuna rivista, nessun film che non parli anche di sesso. Altro
che ingiunzione al silenzio! Si tratta invece di una ingiunzione al discorso,
di cui Foucault traccia la storia.
Dal concilio Laterano (1215) la Chiesa rende la confessione obbligatoria per
tutti i fedeli. Dopo il Concilio di Trento (1545-1563) la Chiesa accresce il
dominio della confessione: non solo i comportamenti sessuali, gli atti, ma anche
i pensieri più reconditi, le fantasie più segrete, i pensieri
più profondi vanno confessati. Dal XVIII secolo il potere pastorale dello
Stato si appropria di questa costrizione al discorso nata nella confessione
cristiana. S'interviene sul sesso per esercitare controllo sulla popolazione,
in ottica ora natalista ora antinatalista. E nelle scuole e nei collegi non
si fa che controllare la sessualità dei bambini, e addirittura si costruiscono
i bagni e le camerate in modo che si possa sempre sorvegliare che non si masturbino.
Nel XIX secolo sono molti i saperi che si occupano di sesso: psichiatria, medicina,
giustizia penale, pedagogia elaborano tutta una serie di controlli sociali rivolti
alle coppie, ai genitori, ai figli. Si ha una vera e propria esplosione discorsiva
sul sesso: un'esplosione di discorsi molteplici organizzati attorno a nuclei
differenti. Ma tutti questi discorsi hanno qualcosa in comune, sono sottesi
da un unico dispositivo: per incitare al discorso sul sesso lo si fa apparire
come un segreto che è indispensabile scovare, come un "dentro",
una "profondità" che solo un atto di coraggio può fare
emergere: "Quel che è caratteristico della società moderne
non è che abbiano condannato il sesso a restare nell'ombra, ma che siano
condannate a parlarne sempre, facendolo passare per il segreto."
Di nuovo Foucault ci stupisce, di nuovo il suo pensiero diviene meditazione
che nello stupirci ci cambia, quando passa ad analizzare le conseguenze di questa
ingiunzione generalizzata al discorso sul sesso: il dispositivo di sessualità
non riduce le perversioni, ma anzi le produce: non vuole farle scomparire, ma
farle confessare. Il suo effetto non è l'imposizione della norma sessuale,
l'imposizione del modello della coppia eterosessuale feconda che produce mano
d'opera per il sistema produttivo - come vorrebbero quelle teorie che uniscono
marxismo e psicoanalisi. Le perversioni non sono ostacoli che il potere deve
abbattere per costruire una società ordinata, ma sono appigli a cui il
potere si aggrappa, sostegni a cui il potere si appoggia per avanzare, per penetrare
capillarmente nella società, nella famiglia, tutt'intorno e "dentro"
l'individuo per controllarlo. Ad esempio nel reprimere la masturbazione di bambini
e adolescenti si è costituito questo piacere solitario come segreto e
si è fatto leva su di esso per esercitare controlli che investono non
solo i bambini, ma anche i genitori e gli educatori che devono controllare non
solo i bambini ma anche se stessi, anche i prorpri desideri verso i bambini.
E in questi sguardi di controlli incrociati tutti sanno che i bambini e gli
adolescenti continueranno a masturbarsi, e nessuno aspira realmente a estinguere
questa pratica autoerotica.
Analogamente le sessualità periferiche non vengono combattute, ma alimentate.
La perversione si fa corpo: non più atto isolato, ma identità
che caratterizza un individuo per tutta la vita. L'esempio in questo caso è
l'omosessualità: presso gli antichi, nel Medioevo e ancora all'inizio
dell'età moderna la sodomia designava una tipologia di atti vietati.
Invece nel XIX secolo, a partire da un articolo di Westphal del 1870, l'omosessuale
diventa un personaggio con una biografia, una storia, una forma di vita sui
generis. Non più un uomo come gli altri che compie atti contro natura,
ma una tipologia differente di uomo. L'omosessualità è un esempio
lampante di perversione prodotta dal dispositivo di sessualità: non è
solo un atto a cui decidere se abbandonarsi o meno, ma è questione di
desideri, di fantasie, di personalità che richiede tutto un lavoro di
comprensione e di decifrazione, nel confessionale con il prete, sul lettino
dell'analista, o attraverso un silenzioso dialogo con se stessi. Lavoro che
coinvolge non solo chi in questa identità si riconosce, ma anche gli
eterosessuali: anch'essi costretti a riconoscere o a confessare i loro desideri
omosessuali per esorcizzarli e per liberarsene.
Nel denunciare il fatto che l'identità sessuale sia prodotto storico
e non "natura" - come dicevamo poc'anzi -, Foucault non vuole indurci
a liberarcene, non vuole dirci: "bene, ora smettiamola di autorappresentarci
come lesbiche e come gay, che è solo una finzione del potere." Perché
Foucault sa bene che le costruzioni del potere, di quel potere che è
sempre presente e di cui non possiamo fare a meno, sono realissime, nel senso
che costituiscono la nostra realtà di uomini e di donne. Se potessimo
liberarci del potere una volta per tutte, di noi non rimarrebbe nulla. Del resto,
secondo Foucault, "dire di no costituisce la forma minima di resistenza".
In certi momenti tale forma minima è molto importante: "bisogna
dire di no e fare di questo no una forma di resistenza decisiva". Però,
quando la resistenza non si riduce alla sua forma minima, allora è una
pratica inventiva e creativa, che trasforma le relazioni di potere in cui s'iscrive.
Questa trasformazione ha come punto di partenza la situazione che combatte,
e si esercita sul materiale che il potere in tale situazione le fornisce. Ad
esempio la nozione di "identità sessuale", e in particolare
le nozioni di "identità lesbica" e di "identità
gay". Non possiamo tornare indietro del tempo e sbarazzarci della nostra
identità di lesbiche o di gay: non avrebbe alcun senso. Possiamo però
acquisire consapevolezza del fatto che tale identità è costruzione
storica, e che intrattiene stretti rapporti con un potere subdolo a cui siamo
talmente abituati da non avvertirlo. Un potere che nell'imporci un'identità
vuole imporci anche un ruolo: non è vero che non c'è posto nella
nostra società per gay e lesbiche. Ci sono anzi molti posti per noi nei
film e nelle pubblicità, nei salotti televisivi e nelle telenovelas.
Ma quello che ci è richiesto è un ruolo ben definito. Intratteniamo
gli altri con la nostra diversità - purchè non superi i limiti
della decenza, e purchè restiamo al nostro posto. Di che cosa si alimenterebbe
il potere maschile se non ci fossero donne da sottomettere e omosessuali da
perseguitare? Di omosessualità si parla continuamente: non solo nei discorsi
degli specialisti, ma anche nei bar, allo stadio, nelle scuole, negli oratori,
sotto i caschi del parrucchiere, nella casa del grande fratello: l'eterosessualità
ne ha bisogno, perché è attraverso il confronto con l'omosessualità
che il potere si impone anche sugli eterosessuali e ne determina i comportamenti.
È attraverso la rinuncia a sentimenti e comportamanti "femminili",
a una certa deprivazione sentimentale e all'esorcizzazione dell'omosessualità
che si costruisce un uomo etero. Foucault, nella mia interpretazione del suo
pensiero, non ci invita a sbarazzarci della nostra identità omosessuale
- sarebbe impossibile - ma ci chiama alla consapevolezza del gioco in cui siamo
inseriti nel riconoscerci gay e lesbiche. Per noi il riconoscimento della nostra
omosessualità attraverso la decifrazione dei nostri desideri, e in seguito
il coming out, sono atti di liberazione: ma talvolta tale liberazione rischia
di ingabbiarci in nuovi schemi e nuovi clichet. Ad esempio molti gay si assomigliano
tra loro nell'abbigliamento e nei comportamenti, e sono più soggetti
degli etero ai condizionamenti delle mode. Da un lato tutto questo può
essere indice della creazione collettiva di un modo di vita nuova, ma dall'altro
non possiamo non riconoscere che, quando c'è uniformità dei comportamenti,
possiamo sempre sospettare che ci sia limitazione della libertà.
Spesso anche oggi ricorriamo al linguaggio della
psicoanalisi per esprimere il nostro percorso di vita: si tratta di interpretare
i nostri desideri profondi, di riconoscerli e di liberarli dal peso di rimozioni
e di ostacoli che un potere esterno ci avrebbe imposto. Non è attraverso
un percorso di questo genere che di solito ci scopriamo gay e lesbiche? E non
è con il termine "repressi" che indichiamo chi non ha completato
questo percorso, chi non è andato fino in fondo nella comprensione della
profondità del proprio sé? Sembra che, anche se non tutti ricorrono
allo psicoanalista, nella coscienza comune si è creato una sorta di psicoanalista
interiorizzato, che non ha bisogno di studi o di lettini per determinare il
nostro modo di pensare a noi stessi nella nostra aspirazione alla libertà.
Foucault ci mostra, invece, che la psicoanalisi, questo supporto teorico della
nostra liberazione sessuale, è un sapere che non "esce" dal
dispositivo di sessualità, ma anzi ne fa parte. Come la confessione,
la psicoanalisi è invito a interpretare i nostri desideri. La confessione
cristiana purifica dai desideri della carne e riconduce a Dio attraverso la
penitenza; la psicoanalisi libera i desideri repressi dando loro una forma che
sia compatibile con la convivenza con gli altri uomini e le altre donne. La
psicoanalisi non può quindi esserci di aiuto se aspiriamo a una libertà
maggiore, se aspiriamo a vivere liberamente e creativamente la nostra identità,
a renderla più fluida e più libera. Se la psicoanalisi può
essere letta come strumento di liberazione sessuale - così, ad esempio,
la legge Mario Mieli -, nella nostra aspirazione alla libertà dobbiamo
liberarci anche del rapporto a noi stessi che la psicoanalisi induce. Contro
quel controllo dei nostri comportamenti che passa attraverso i nostri discorsi
sul sesso da liberare, contro l'imposizione di identità "naturali"
che determinano i nostri comportamneti anziché renderci liberi di scegliere
e sperimentare, in poche parole - cito - "contro il dispositivo di sessualità,
il punto d'appoggio non deve essere il sesso-desiderio, ma i corpi e i piaceri."
Essere sessualmente liberi oggi non significa interpretare i propri desideri
ed attribuirli a un'identità che preesisterebbe loro e che ne sarebbe
causa, e poi ricostruire la storia di questa identità. Perché
se i nostri comportamenti sono "causati", se intrattengono un rapporto
di necessità con ciò che li determina, i nostri comportamenti
non sono liberi. Essere sessualmente liberi oggi significa invece problematizzare
il sesso in modo differente, non cercando di estrarne la verità del nostro
essere, qualcosa a cui sia possibile ricondurre tutti gli aspetti della nostra
personalità, ma cercando di estrarne piacere. Essere sessualmente liberi
oggi significa edificare liberamente le nostre vite, senza pensare che siano
già tutte scritte nella nostra sessualità, in un'identita sessuale
determinata una volta per tutte, significa trarre piacere dalle nostre vite
e dai nostri corpi. Ed è per queste ragioni che potremmo dire che Foucault
prende partito nella questione delle libertà sessuali che si è
imposta all'attualità politica dell'Occidente a partire dagli anni '60:
e il suo partito è quello che invita non alla liberazione sessuale, ma
a un libero uso dei piaceri.
Gli ultimi volumi della storia della sessualità,
L'uso dei piaceri e La cura di sé, indagano il modo in cui gli antichi
Greci e Romani problematizzavano i comportamenti sessuali; e tale indagine ha
lo scopo di indicare stili di vita e di pensiero che non appartengono al dispositivo
di sessualità e che possono offrire delle alternative anche per noi oggi.
Non dobbiamo però commettere l'errore di attribuire a Foucault l'intenzione
di resuscitare la morale antica: Foucault, anzi, non esita a definire "disgustosa"
l'etica greca. In un'intervista del 1983 afferma: "l'etica greca del piacere
è legata a una società virile, alla dissimmetria, all'esclusione
dell'altro, a un'ossessione della penetrazione, a una specie di minaccia di
essere privati dalla propria energia, e così via. Tutto ciò è
molto disgustoso." In particolare per quanto riguarda l'omosessualità
Foucault smonta il mito di una Grecia antica dove l'omosessualità era
pratica vissuta senza problemi e addirittura esaltata. Il fatto che molto si
scrivesse sulla pederastia - cioè sull'amore tra un uomo adulto e un
ragazzo -, al contrario, è dimostrazione di quanto essa costituisse un
problema morale. In particolare costituiva un problema che un uomo, o un ragazzo
che presto sarebbe diventato uomo, si lasciasse penetrare. La penetrazione era
vissuta come un simbolo dei rapporti sociali: solo le donne e gli schiavi dovevano
essere penetrati, perché naturalmente sottomessi agli uomini liberi.
Tutto sommato la morale greca aveva divieti simili alla nostra: prescriveva
agli uomini liberi di essere fedeli alle proprie mogli, e bollava i rapporti
omosessuali come contro natura: esaltava l'amicizia tra un uomo adulto e un
ragazzo solo nella misura in cui erano esclusi gli atti sessuali. Se nella morale
sessuale dell'occidente moderno la partizione fondamentale è quella tra
identità maschile e identità femminile - e l'omosessualità
appare come un'inversione dei generi -, nella morale greca classica, che già
in partenza è una morale rivolta solo agli uomini liberi, la partizione
fondamentale è quella tra attività e passività nella penetrazione.
E tuttavia da questa morale disgustosamente maschilista e ossessionata dalla
penetrazione noi oggi, secondo Foucault, abbiamo qualcosa da imparare. Se essa
non è poi molto diversa dalla nostra per quanto riguarda i divieti in
materia sessuale, comporta grandi differenze in altri ambiti. La nostra morale,
erede di quella cattolica, si impone attraverso leggi universali uguali per
tutti e a cui tutti devono sottomettersi; e in materia sessuale si applica -
come abbiamo detto - al desiderio profondo, che deve essere interpretato con
l'aiuto di un'autorità esterna (il confessore, il giudice, l'analista).
La morale greca, invece, è centrata sul tema della scelta personale.
Non impone leggi uguali per tutti, ma si rivolge solo a chi decide di vivere
una vita bella, una vita esemplare che lasci un buon ricordo di sé alla
posterità. I Greci e i Romani ci insegnano che è possibile avere
un rapporto estetico con l'etica: un rapporto, cioè, che non ha a che
fare con la legge o con la verità, ma con la volontà di vivere
una vita bella. Questo significa ad esempio che non ci sono per i Greci desideri
profondi da interpretare per purificarsi dal peccato o per liberarsi dalla nevrosi,
ma ci sono semplicemente atti sessuali da praticare per trarne piacere nel modo
giusto e nel momento giusto, in modo che si armonizzino all'intera vita sentimentale
e sociale di un uomo o di una donna. Di fronte al dispositivo di sessualità
che impone una decifrazione della propria identità finalizzata a un rapporto
autentico con se stessi, Foucault raccoglie l'eredità dei Greci come
possibilità di resistenza. E afferma: "Ciò di cui i Greci
erano preoccupati, il loro tema dominante, consisteva nella costituzione di
un'estetica dell'esistenza. Ebbene, mi chiedo se il nostro problema oggi non
sia in qualche modo simile al loro, dal momento che la maggior parte di noi
non crede più che l'etica possa essere fondata sulla religione, e dato
che non vogliamo un sistema legale che interferisca con la nostra vita privata,
morale e personale. I recenti movimenti [
] soffrono per il fatto di non
riuscire a trovare un principio sul quale fondare l'elaborazione di una nuova
etica. Essi hanno bisogno di un'etica, ma non riescono a trovare altra etica
se non quella che si fonda sulla cosiddetta conoscenza scientifica di ciò
che è il sé, di ciò che è il desiderio, di ciò
che è l'inconscio e così via. Sono colpito da tale similarità
di problemi."
L'etica greco-romana, da cui secondo Foucault possiamo cogliere dei suggerimenti,
è un'etica della cura di sé: etica che prescrive di prendersi
cura in modo autonomo di sé stessi: di nutrirsi in modo salutare, di
praticare sport, di praticare sesso in modo che dia un sano piacere, di meditare
sulle proprie azioni passate in modo da compiere le scelte giuste in futuro.
E giuste sono le scelte che permettono di essere padroni di sé, cioè
di essere liberi e non sottomessi alla volontà di altri. L'antichità
ci suggerisce la possibilità di un'etica che non sia centrata sul problema
dell'autenticità, della corrispondenza delle proprie azioni a un'identità
già data che dobbiamo solo riconoscere e ascoltare, ma su quello della
creatività. "Dall'idea che il sé non ci è dato - scrive
Foucault - penso che si possa trarre una sola conseguenza pratica: noi dobbiamo
creare noi stessi come un'opera d'arte."
E quando si è artisti di se stessi, si dà a se stessi la propria
regola, e non si accettano leggi preconfezionate. Questo non significa che la
cura di sé sia un lavoro solitario ed egoistico: è anzi un lavoro
che coinvolge gli altri in una ricerca, in un confronto, in uno scambio continuo,
ma mai cercando regole valide sempre e per tutti. Come in quella ricerca che
voi fate qui assieme ad esempio, riflettendo sull'erotismo lesbico, cioè
sul piacere che una donna può dare a un'altra donna, e sulle relazioni
che a partire dal piacere le donne possono costruire assieme. È questo
ciò che Foucault intende quando in un'intervista del 1981 alla rivista
Gai pied afferma che dobbiamo sforzarci a divenire omosessuali, e non ostinarci
a riconoscere che lo siamo. Cito: "Cosa di cui bisogna diffidare è
la tendenza a riportare la questione dell'omosessualità al problema 'Chi
sono io? Qual è il segreto del mio desiderio?'. Forse sarebbe meglio
chiedersi: 'Tramite l'omosessualità, quali relazioni possono venire stabilite,
inventate, moltiplicate, modulate?'. Il problema non è di scoprire dentro
di sé la verità del proprio sesso, quanto piuttosto di usare ormai
la propria sessualità per raggiungere delle molteplicità di relazioni.
Qui sta, senza dubbio, la vera ragione per cui l'omosessualità non è
una forma di desiderio ma qualcosa di desiderabile. Dobbiamo quindi sforzarci
di divenire omosessuali, e non ostinarci a riconoscere che lo siamo. È
questa la direzione nella quale si sviluppa il problema dell'omosessualità,
che è il problema dell'amicizia. [
] L'amicizia: vale a dire la
somma di tutte le cose grazie alle quali ci si può far piacere l'un l'altro.
[
] L'ascetismo come rinuncia al piacere gode di cattiva fama. Ma l'ascesi
è un'altra cosa: è il lavoro che si fa da soli su se stessi per
trasformarsi o per far apparire questo sé che per fortuna non si raggiunge
mai. Non è forse questo il nostro problema oggi? L'ascetismo è
stato congedato. Sta a noi procedere a un'ascesi omosessuale che ci faccia lavorare
su noi stessi e inventare, non dico scoprire, un modo d'essere ancora improbabile."
Un'ascesi omosessuale, cioè un'ascesi lesbica e un'ascesi gay. A questo
ci invita Foucault. E nell'intervista del 1982 a The Advocate il riferimento
a un'ascesi lesbica, alla sperimentazione delle lesbiche sul proprio piacere,
è esplicito. Di nuovo Foucault ci invita a interpretare la nostra identità
creativamente, come processo che favorisce nuovi rapporti sociali e nuovi rapporti
basati sul piacere sessuale. Perché se invece il problema diventa quello
di "svelare" la propria identità, e di farne la legge della
propria esistenza; se ci poniamo incessantemente la domanda "questa cosa
è conforme alla mia identità oppure no?", si rischia di non
andare molto lontano, e di tornare "a un'etica molto vicina alla virilità
eterosessuale tradizionale". Dobbiamo invece assumere l'identità
come un gioco, e rinunciare a essere sempre uguali a noi stessi: "non dobbiamo
escludere l'identità se è tramite questa identità che le
persone trovano il loro piacere, ma non dobbiamo considerare questa identità
come una regola etica universale." E quello che Foucault chiama "il
ghetto sado-maso di San Francisco" è per lui un esempio di questo
gioco d'identità: esempio di una comunità che si è costituita
un'identità attorno al piacere. Spesso dall'isolamento, persino dall'esclusione,
dal separatismo, appunto, vengono risposte e sfide che resistono al potere diffuso
nella società. È qui che Foucault parla del movimento lesbico,
e nomina un'autrice femminista, Lillian Faderman. Cito: "Per quanto riguarda
il movimento lesbico, direi [
] che il fatto che, per secoli e secoli,
le donne siano state isolate nella società, frustrate, disprezzate in
mille modi ha dato loro una reale possibilità di costituire una società,
di creare un certo tipo di rapporto sociale tra di loro, al di fuori di un mondo
dominato dagli uomini. Il libro di Lillian Faderman, Surpassing the Love of
man, è, a questo proposito, molto interessante. Esso pone una domanda:
quella di sapere quale tipo di esperienza emotiva, quale tipo di rapporti siano
possibili in un mondo in cui le donne non avevano nessun potere sociale, legale
o politico. E la Faderman afferma che le donne hanno utilizzato questo isolamento
e questa assenza di potere." Foucault prosegue poi considerando il sado-masochismo
lesbico come una pratica di resistenza: "Mi sembra interessante che il
sado-masochismo permetta di sbarazzarsi di numerosi stereotipi della femminilità
che sono stati utilizzati nel movimento lesbico - una strategia che il movimento
lesbico aveva elaborato nel passato. Questa strategia si fondava sull'oppressione
di cui erano vittime le lesbiche, e il movimento la utilizzava per lottare contro
questa oppressione. Ma è possibile che, oggi, queste armi, questi strumenti
siano superati. È evidente che il sado-masochismo lesbico tenta di sbarazzarsi
di tutti i vecchi stereotipi della femminilità, degli atteggiamenti di
rifiuto degli uomini, ecc."
Parole difficili da capire perché troppo sintetiche, che forse voi sapete
interpretare meglio di me perché conoscete la storia del movimento lesbico
che io non conosco. So, invece, che ciò che a Foucault affascina del
sado-masochismo è che esso è testimonianza di una erotizzazione
degenitalizzata: è ricerca di piacere attraverso parti insolite del corpo
ed assieme è erotizzazione del potere che però permette sempre
il rovesciamento dei ruoli, e consente di sperimentarsi in situazioni differenti:
talvolta di dominio, talvolta di sottomissione. Il sado-masochismo diventa forma
di resistenza al dispositivo di sessualità in quanto pratica creativa,
che si muove sulla supericie dei corpi e che non cerca verità profonde
a cui ricondurre i propri comportamenti sessuali, in quanto gioco che non ubbidisce
a leggi universali, e in cui le regole vengono contrattate ogni volta.
Ma il sado-masochismo è solo una delle pratiche in cui un libero uso dei piaceri può prendere forma. L'invito di Foucault è di inventare sempre nuove forme di piacere, e di sperimentare nuovi modi in cui declinare le nostre identità. Non possiamo semplicemente sbarazzarci delle nostre identità: non possiamo negare volontaristicamente di vivere in un mondo che funziona attraverso le polarizzazioni uomo-donna, eterosessuale-omosessuale, e che fa dell'identità sessuale l'asse portante dell'identità personale, il perno attorno a cui ruota buona parte delle nostre problematizzazioni morali. Ma dobbiamo liberarci da quel dispositivo che legge i nostri comportamenti come già tutti scritti nella nostra identità come in una natura, e imparare dai Greci a costruire la nostra identità giorno per giorno - anche la nostra identità di lesbiche e di gay - utilizzandola come una fonte inesauribile di piacere, e come occasione per stabilire nuove forme di amicizia.
Come dire che questo luogo che voi avete costruito,
luogo di donne che oggi ospita anche gli uomini, è un luogo foucaultiano.
Luogo che rovescia gli schemi consolidati di potere tra i sessi: luogo che rende
me - uomo - vostro ospite, e che mi fa parlare con emozione e con cautela, timoroso
del vostro giudizio di donne. Luogo che si situa in un "non-si-sa-dove",
che fa capolino fuori dal dispositivo di sessualità verso una meta che
non è mai data, attraverso una ricerca del piacere libera e creativa,
attraverso una riflessione che è meditazione. Attraverso una riflessione,
cioè, che nella parola e nell'ascolto ci trasforma, e non ci fa essere
più gli stessi rendendoci sempre disponibili a cambiare di nuovo. L'augurio
che vi rivolgo è allora proprio di uscire cambiate, rinnovate, trasformate
da questi tre giorni di convegno: non liberate ma più libere, cioè
capaci di inventare qualcosa di nuovo da cui trarre piacere.
E per avermi incluso in questo luogo, per avermi voluto compagno delle vostre
meditazioni - scelta per nulla scontata, scelta libera a cui non eravate certo
obbligate - io, maschio che cerca di esporre il pensiero di un altro maschio
in un luogo di donne, ospite emozionato contento di essere qui ma che un po'
vorrebbe essere altrove, vi ringrazio davvero.
BIBLIOGRAFIA ESSENZIALE:
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Una scelta degli scritti pubblicati in Dits et Écrits è stata
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1996;
Archivio Foucault 2. 1971-1977 (a cura di Dal Lago, Alessandro), Milano, Feltrinelli,
1997;
Archivio Foucault 3. 1978-1985 (a cura di Pandolfi, Alessandro), Milano, Feltrinelli,
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(Le interviste citate in questa relazione sono contenute nell'Archivio Foucault
3).
-Colloqui con Foucault (a cura di Trombadori,
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-Rorty, Richard, "Dove hanno fallito Foucault e Derrida", in Repubblica, 7 giugno 1997.
-Pandolfi, Alessandro, "Potere pastorale e teologia politica nel pensiero di Michel Foucault", in Il pensiero politico, 1999, anno XXXII, numero 2, pp. 206-233.
-Di Marco, Chiara, Critica e cura di sé, Milano, Franco Angeli, 1999.
-Dovolich, Claudia, Singolare e molteplice. Michel Foucault e la questione del soggetto, Milano, Franco Angeli, 1999.
Su Michel Foucault e l'omosessualità:
-Blasius, Mark, Gay and Lesbian Politics: Sexuality and the Emergence of a New Ethic, Philadelphia, Temple University Press, 1994;
-Halperlin, David, Saint Foucault: towards a Gay Hagiography, new York, Oxford University Press, 1995;
-Bersani, Leo, Homos, Cambridge (Massachusset), Harward University Press, 1995;
-Sullivan, Andrew, Virtually Normal. An Argument about Homosexuality, New York, Alfred A. Knopf, 1995;
-Phelan, Shane, Getting Specific. Post-modern Lesbian politics, Minneapolis, University of Minnesota Press, 1995.
Si veda anche la recensione di questi testi apparsa
su Political Theory:
-Kaplan, Morris B. "Liberté! Egalité! Sexualitè! Theorizing
Lesbian and Gay Politics", in Political Theory, volume 25, number 3, June
1997, pp. 401-133.
E si vedano, infine, anche:
-Kosofsky Sedwick, Eve, Epistemology of the Closet, Berkeley and Los Angeles,
University of California Press, 1990;
e l'indiscreta biografia:
-Miller, James, La passione di Michel Foucault; Milano, Longanesi, 1994.