Cos'è l'operatore socio sanitario?
Una nuova figura professionale, o una nuova arma per dividere i lavoratori? REDS. Giugno 2001.


Obiettivo prioritario della programmazione regionale sulle politiche formative del personale del 2000, è l'istituzione e l'avvio della formazione, a partire dall'anno 2001, del profilo dell'operatore socio-sanitario, quale nuova professione dell'area assistenziale, sociale e sanitaria.
L'istituzione del profilo "professionale" di Operatore socio-sanitario, permetterebbe d'avere un operatore qualificato cui affidare specifiche competenze rivolte all'assistenza di base nei settori e nei servizi socio-sanitari ed assistenziali. Egli dovrebbe coadiuvare l'infermiere nei compiti d'assistenza, all'interno di un rinnovato modello organizzativo che avrebbe l'intento di innalzare la qualità e l'umanizzazione dell'assistenza e la crescita delle motivazioni dei dipendenti.
In realtà, visto che i riconoscimenti economico-professionali non frenano la fuga degli infermieri, la "nuova" figura di Operatore Socio Sanitario (OSS), dovrebbe tamponare tale emergenza: un ausiliario diventato precocemente infermiere, pronto a colmare i vuoti d'organico, pagato molto meno di questi ultimi e più facilmente reperibile sul mercato.
Questa operazione prevede la riconversione degli ASA (ausiliari socio assistenziali) e degli OTA (operatori tecnici addetti all'assistenza) in OSS tramite una "formazione" a tappe: alle 600 ore di credito formativo degli ASA e alle 670 degli OTA, già maturate, basta aggiungere un corso accelerato di 200 ore per gli ASA (100 ore teoria e 100 ore di pratica) e 130 ore per gli OTA (50 di teoria e 80 ore di pratica)
In futuro il corso, accessibile all'età di 17 anni e con il vincolo di aver frequentato almeno la scuola dell'obbligo, prevederà, per un totale di 1000 ore:
- un modulo di base: motivazione-orientamento e conoscenza di base (teoria) di 200 ore e
- un modulo professionalizzante: teoria (250 ore), esercitazione / stages (100 ore) e tirocinio (450 ore)
Si formerà così una figura che nel suo mansionario avrà competenze che fino ad oggi erano proprie dell'infermiere professionale, formato con tre anni di scuola (circa 4600 ore).
Nel decreto si fa riferimento ad una formazione professionale per l'OSS, ma i professionisti sono iscritti ad un albo specifico con dei doveri, delle responsabilità e delle tutele giuridiche che non vengono prese in considerazione per questa figura.

Cosa dovrebbe cambiare?
Nel decreto si parla di "proprie aree di competenza": per ASA e OTA erano l'ambiente, il trasporto dei pazienti e dei materiali biologici; ora s'aggiunge anche la cura del paziente, in minima parte, ma pur sempre di competenza del professionista (infermiere e medico).

L'OSS, oltre a mantenere i compiti di OTA e ASA, dovrà svolgere attività semplici di supporto diagnostico (raccolta campioni, esclusi quelli invasivi) e terapeutico come: effettuare piccole medicazioni o cambio delle stesse, collaborare con le figure preposte per la corretta assunzione di farmaci prescritti (terapia orale, istillazioni di gocce auricolari e oftalmiche, applicazioni di pomate o supposte, applicazione di farmaci transdermici ed esecuzione di pratiche iniettive definite con protocolli e controllo della terapia infusionale), per il corretto utilizzo di apparecchi medicali (aerosol, termometri, umidificatori, erogatori O2) e attuare interventi di primo soccorso.
Tra i vari compiti troviamo anche "aiutare nelle attività di animazione che favoriscono la socializzazione, il recupero ed il mantenimento di capacità cognitive e manuali" e questo probabilmente in alcune case di cura private gli ASA già lo fanno, ma è anche vero che tale ruolo dovrebbe essere affidato a figure specializzate quali l'animatore e l'educatore preparato a questo da uno specifico corso di studi.

Basta fare un giro nei reparti per vedere che oggi non si può parlare di condizioni di lavoro dignitose per queste figure, esposte quotidianamente a rischi infettivi, posturali, ad agenti chimici e fisici, spesso segnati da malattie professionali, per capire che è su questo terreno che bisognava dare delle risposte, ossia preparare i lavoratori in quello che sanno fare e suddividere il lavoro tra le varie figure già esistenti, tutte indispensabili e collegate, rendendo migliore la qualità dell'assistenza invece di portando ASA e OTA a divenire OSS aumentando le loro mansioni e prestazioni.
E' quindi necessaria e urgente la formazione per tutti a partire dalla riqualificazione dei livelli più bassi, non per utilizzarli in sostituzione di altre figure, ma per fare meglio ed in modo più professionale l'attività che già svolgono.
Un ASA o un OTA possono e devono essere messi in grado di lavorare in un modo che sia allo stesso tempo più rispondente ai bisogni dei pazienti e più dignitoso, garantendo quelle condizioni di sicurezza e di salute che attualmente vengono negate.
Questa trasformazione, insieme alle varie scelte politiche rispetto alla sanità, determina un significativo cambiamento nell'organizzazione che si prefiggeva il nuovo modello di assistenza infermieristica (sperimentato in alcune strutture) basato sul tentativo di innalzare la qualità dell'assistenza, ma ridotto di fatto alla semplice presa in carico del paziente, alla semplice gestione e manutenzione del corpo.

La lotta non deve essere tra infermieri professionali e ASA/OTA/OSS nella gara per chi ha una maggiore professionalità: questo determinerebbe negli ASA e negli OTA la convinzione che gli infermieri neghino loro la carriera professionale e alimenterebbe il principio non vero che la professionalità degli infermieri si misura in rapporto al numero ed alla qualifica del personale che coordinano. Una struttura ospedaliera, o genericamente sanitaria, è una macchina formata da vari ingranaggi con compiti diversi, ma tutti indispensabili. In questi ambienti purtroppo si ha la cattiva abitudine di vivere la propria professionalità come se fosse l'unica indispensabile. Cosa accadrebbe se non ci fosse qualcuno che ordina il materiale sanitario necessario a far andare avanti un semplice ambulatorio (garze, siringhe, farmaci e strumenti vari), se non ci fossero le figure che consegnano tale materiale, che lo portano a sterilizzare o quelle che poi materialmente lo sterilizzano, se non ci fosse chi pulisce ed igienizza gli ambienti evitando infezioni pericolose per il paziente e per il personale… non serve a nessuno ragionare per caste, e di certo non è nell'interesse dei pazienti.
La lotta dovrebbe invece essere per condizioni di lavoro dignitose per tutti, infermieri come ASA e OTA, costretti a carichi di lavoro massacranti con salari che non recuperano nemmeno il tasso d'inflazione programmata. La mancanza di una seria formazione e aggiornamenti per tutte le figure non può che acuire lo stato di malessere della sanità; non si può parlare di qualità dell'assistenza se queste condizioni non vengono rispettate né tanto meno si può pensare che chi è più "fortunato" da "meritarsi" percorsi formativi e quindi maggiormente agevolato nel costruirsi una propria "carriera" sia più meritevole di altri o che un settore piuttosto che un altro meriti condizioni di favore. In questo contesto ridurre la questione di sofferenza salariale di tutto il comparto ad una mancetta per qualche figura professionale (come previsto negli ultimi contratti) assume i toni di una palese volontà di disgregare e dividere i lavoratori.

Non si può erogare una buona assistenza dividendo i lavoratori tra coloro che hanno funzioni organizzative e incarichi temporanei di responsabilità da quelli che non li hanno, ma solo con la formazione continua, l'aggiornamento e l'equa distribuzione dei carichi di lavoro.