Morte annunciata di un sistema sanitario nazionale.
La sperimentazione del modello lombardo: privatizzazioni, esternalizzazioni, tagli posti letto, licenziamenti, chiusura di servizi. Coordinamento lavoratori e delegati RSU-Sanità*. Novembre 2001.


Abbiamo visto questo percorso partire da lontano, con l'introduzione del principio di sussidiarietà e con una legge (la Bassanini) che attribuendo alle singole regioni pieni poteri in materia di sanità già preconizzava la rinuncia a garantire ad ogni singolo cittadino sul territorio nazionale uguali diritti in materia di salute, indipendentemente dal fatto di risiedere in una regione più o meno ricca, più o meno dotata di strutture, più o meno attenta ai bisogni sanitari.
Nella ricca e avanguardistica Lombardia, vero laboratorio delle politiche sanitarie della destra, abbiamo assistito alla disastrosa riforma sanitaria della Legge 31 del 1997: sotto la vergognosa menzogna di una maggiore "libertà di scelta" per i cittadini e di una pretesa "razionalizzazione" che mettesse fine agli sprechi e alla malagestione delle strutture pubbliche, si è offerta al privato la possibilità di affondare finalmente i denti nella sanità, accreditando centinaia di privati ("autocertificatisi" come dotati delle necessarie caratteristiche) a ricevere dalla regione rimborsi stellari per le cure prestate; cure oculatamente scelte fra quelle più remunerative dei famosi DRG ("gruppi omogenei di diagnosi", un tariffario delle patologie in cui a ciascun intervento sanitario viene attribuito un diverso rimborso economico). Dopo la trasformazione genetica in azienda delle strutture sanitarie pubbliche è stata in parallelo operata un'altra mostruosità: la separazione tra prestazione e offerta, tra chi produce le prestazioni sanitarie ­ l'Azienda Ospedaliera ­ e chi le compra per conto del cittadino - la ASL ­ gestore di una quota capitaria per ogni cittadino residente nel suo territorio con la quale deve anche assicurare anche gli aspetti di assistenza sociale connessi al trattamento sanitario. Manco a dirlo questa funzione si è trasformata in una assurda guerra con i comuni ai quali le ASL tendono a scaricare tutti i costi della loro sempre più ridotta attività socio-assistenziale.
L'equiparazione delle strutture sanitarie pubbliche e private ha costretto le neonate Aziende Ospedaliere a "competere sul mercato" con i privati accreditati, in una corsa sempre più sfrenata a produrre prestazioni remunerative a tutto discapito di quelle meno valorizzate che solo il pubblico è obbligato a fornire.
Risultato: il deficit regionale sanitario (dati del '99) si aggira sui 5000 miliardi, le liste di attesa regionali per alcuni interventi "scarsamente remunerativi" si allungano senza speranza, mentre si assiste ad un proliferare di case di cura, cliniche, "medical center" di varia natura e collocazione, assolutamente privi di controlli sia per quanto riguarda il tipo e numero di prestazioni erogate, che la qualità delle cure e la sicurezza (qualcuno si ricorda ancora del Galeazzi?).

La sanità lombarda è insieme terreno di prova e esempio concreto delle rovinose conseguenze che la globalizzazione neoliberista produce in materia di politica sanitaria: consegnare agli appetiti speculativi del privato la gestione della salute pubblica significa avviarsi a grandi passi verso i miserevoli livelli di assistenza sanitaria praticati dagli Stati Uniti, una "democrazia matura" in cui decine di milioni di cittadini sono privi di assistenza sanitaria perché troppo poveri per pagarsi un'assicurazione privata.

È questa la strada che il governo Berlusconi - Confindustria sta percorrendo a tappe forzate: nella Finanziaria 2001 è già prevista la cessione alle Fondazioni ­ ossia ai privati - di 16 IRCCS (Istituti di Ricovero e Cura a Carattere Scientifico, ossia strutture sanitarie prestigiose che dovrebbero rappresentare il livello di massimo avanzamento quanto a qualità delle cure); l'accordo recentemente siglato dalla Conferenza Stato-Regioni, oltre a dare via libera alla sperimentazione del sistema sanitario lombardo, impone tagli pesanti alla spesa sanitaria ­ quali ad esempio la riduzione del numero dei posti letto per patologie acute, l'obbligo per le Aziende sanitarie del pareggio di bilancio a qualsiasi costo - e attraverso quella che sarà l'istituzione dei cosiddetti LEA (Livelli Essenziali di Assistenza) dice chiaro e tondo che d'ora in avanti l'assistenza sanitaria non è più un diritto costituzionale e come tale inalienabile, ma un lusso: chi potrà pagarsi un'assistenza integrativa avrà diritto a cure adeguate al bisogno, per gli altri si provvederà garantendo i livelli minimi (e possiamo immaginare in quali condizioni) e per il resto tanti auguri di non ammalarsi, anche se di prevenzione se ne farà sempre di meno, oppure la faranno... i privati a cui si riconoscerà una funzione pubblica, quella che lo stato ha appunto abdicato.
In linea con questa logica in Lombardia servizi come i consultori, i SERT, la neuropsichiatria infantile, stanno scomparendo dall'orizzonte del territorio: il loro futuro si chiama appalto, privatizzazione, smembramento o più semplicemente chiusura.
Fette sempre più consistenti di servizi sia ospedalieri che territoriali vengono svendute "al miglior offerente", ditte private e cooperative più o meno profit, che risparmiando sulla qualità e sfruttando al massimo lavoratori sempre meno garantiti e sempre più sottopagati promettono di abbassare i costi di gestione. Nelle Aziende Ospedaliere le privatizzazioni, che dovrebbero per legge essere limitate ai servizi non assistenziali, stanno estendenosi come un contagio all'intera attività sanitaria. Purtroppo gli esempi a Milano e provincia non mancano: il Centro Antitubercolare Villa Marelli, patrimonio storico riconosciuto a livello nazionale, e il CTO verranno ceduti ai privati per reperire, si dice, fondi da destinare alla costruzione del nuovo ospedale di Niguarda; alla privatizzazione dello stesso Niguarda, peraltro, si provvederà già a partire dal Gennaio prossimo, appaltando all'esterno tutti i servizi non strettamente sanitari, compresa la gestione del personale; alla clinica Pio X tutti i servizi alberghieri sono stati esternalizzati, e i lavoratori messi in mobilità facendo ricorso, come nell'industria privata, all'art. 223/91 (mobilità per stato di crisi dell'azienda); sempre per l'esternalizzazione di servizi alberghieri alla clinica Zucchi di Monza sono sotto minaccia di licenziamento 132 lavoratori. Ma licenziamenti e mobilità non riguardano solo le funzioni non sanitarie, né le strutture pubbliche in via di smantellamento: la Fondazione San Raffaele ha avviato le procedure di licenziamento per 125 lavoratori, comunicando che dal 1. 1. 2002 cederà ad una S.p.A. chiamata "Diagnostica e Ricerca San Raffaele" il Laboratorio Analisi e i dipendenti che vi lavorano: dietro il paradosso del privato che privatizza esternalizzando a sé stesso i servizi, c'è anche in questo caso la pura e semplice realtà di minori garanzie per i lavoratori ( ai dipendenti "ceduti" verrà applicato il contratto della Sanità Privata) che sempre si accompagna alla possibilità di incrementare il profitto.

Il peggio deve ancora venire, ma è dietro l'angolo. La "fase due" del progetto formigoniano, delineata dal recentissimo Piano Socio Sanitario Regionale, prevede esplicitamente che le Aziende Ospedaliere vengano trasformate in soggetti di diritto privato, che ai bisogni sanitari non coperti dai LEA si provveda attraverso un sistema assicurativo mutualistico obbligatorio, che le residue attività socio-sanitarie ancora espletate dalle ASL vengano esternalizzate ed appaltate a ditte private o associazioni In questo contesto non farà meraviglia ad esempio pensare che i SERT scompariranno ovvero potrebbero essere dati in gestione direttamente alle comunità di recupero, come dire dal produttore al consumatore o che i consultori possono tranquillamente chiudere la loro esperienza, tanto, in piena guerra alla legge 194, fioriscono ad ogni piè sospinto consultori privati lindi e puliti ma che non prescrivono gli anticoncezionali perché sono contrari alla morale cristiana.

In questo scenario gli operatori della sanità continuano a lavorare in condizioni di perenne emergenza, con organici cronicamente carenti, carichi di lavoro insopportabili e salari sempre più lontani anche dal solo recupero dell'inflazione; le corsie degli ospedali assomigliano sempre di più ad unità produttive di una qualunque fabbrica di merci, con le attività di cura e assistenza ridotte alla pura manutenzione/riparazione dei corpi, e le economie di gestione che decidono della qualità del servizio.

Vogliono consegnare la salute degli uomini e delle donne di questo paese alle leggi del mercato. Vogliono che la cura e l'assistenza cessino di essere un diritto universale, e che la sanità sia ridotta ad essere solo una merce fra le merci, prodotta ­ comprata - venduta secondo regole che lungi dal garantire il benessere e la qualità di vita, la prevenzione del danno, l'efficacia e l'umanità della cura, sono dettate unicamente dal profitto.

Contro l'imbarbarimento e il degrado sociale di questa logica mercantile facciamo appello agli utenti dei servizi, alle associazioni, ai singoli cittadini perché si mobilitino a fianco degli operatori della sanità per difendere il diritto alla salute e alla qualità dell'assistenza, per un sistema sanitario pubblico e universale, per condizioni di lavoro dignitose e la garanzia dei diritti dei lavoratori.

 

* Al Coordinamento lavoratori e delegati RSU-Sanità aderiscono: Ospedale San Raffaele, San Carlo, San Paolo, Niguarda, Fatebenefratelli, G. Pini, Istituto Tumori, San Gerardo di Monza, Bassini, Sesto San Giovanni, Rho, ASL 3 Monza, Istituto Pio Albergo Trivulzio, Casa di Cura S. Pio X.