Il Corriere della Sera - 09.05.98
di Marco Nese
ROMA - «No, le Br non erano dirette dall'esterno. E non c'è nessuna prova di agenti infiltrati. Io credo piuttosto che siano state strumentalizzate a loro insaputa». Così la pensa Antonio Marini, il Pm che da tanti anni vive tra le montagne di documenti del caso Moro. Anche adesso che è passato da pochi giorni alla Procura generale, è probabile che gli chiedano di continuare a offrire la sua collaborazione alle indagini.
Strumentalizzate come?
«Nel senso che nessuno ha fermato i terroristi in tempo. Li hanno lasciati fare. Per esempio, il pentito Antonio Bonavita racconta che i servizi segreti israeliani offrirono aiuto. Al "no" delle Br, quelli replicarono: "A noi basta che voi esistiate". Erano veramente israeliani? Comunque sia, a qualcuno interessava che le Br ci fossero. Altro esempio: subito dopo l'uccisione di Moro, la polizia ebbe la certezza che la prigione era in via Montalcini. La notizia fu tenuta nascosta alla magistratura. E gli agenti pedinarono per tre mesi Anna Laura Braghetti, la "vivandiera" di Moro, senza fermarla. Se l'avessero bloccata non sarebbe andata a sparare a Bachelet. Dopo, quando ha deciso di parlare, la Braghetti mi ha detto di sospettare che a loro insaputa le Br erano state agevolate».
Secondo Veltroni, rimangono «buchi neri» nel caso Moro. Ma Cossiga, stufo di «fantasticherie dietrologiche», si è arrabbiato.
«Se vogliamo spazzar via la dietrologia, dobbiamo individuare tutti i personaggi coinvolti. Si faceva molta dietrologia a proposito del quarto uomo che entrava nella prigione di via Montalcini. Ci si domandava se era un uomo dei servizi, si sospettavano chissà quali retroscena. Poi abbiamo scoperto che oltre alla Braghetti, Gallinari e Moretti, il quarto uomo era un altro br, Germano Maccari. Fine della dietrologia».
E quanti ne mancano?
«Tre. Conosciamo i 10 terroristi che erano a via Fani. Non sappiamo però chi erano i due sulla moto Honda che stavano con loro quella mattina e poi sono spariti. E non sappiamo chi guidava il furgone nel quale Moro fu rinchiuso. Anzi, il furgone non è stato mai ritrovato. Chi l'ha visto varcare il portone di un'ambasciata, chi giura che ha imboccato cancelli anche più inquietanti. Il fatto è che i nomi dei tre terroristi sconosciuti e la fine del furgone possono rivelarli solo Prospero Gallinari e Mario Moretti. Ma si rifiutano di parlare».
E perché dovrebbero?
«Perché così finirebbero le speculazioni. Una cosa che li manda in bestia è il sospetto di agenti infiltrati nelle Br. Il caso di Antonio Nirta è esemplare. Questo Nirta è un calabrese della 'ndrangheta. In base a una testimonianza che raccolsi, partecipò alla strage di via Fani. Quando lo riferii a Moretti, lui reagì malissimo. Disse: "Ma lei fa il provocatore. Chi la manda?"».
In effetti, la storia di Nirta era una bufala. Non pensa che qualcuno le ha servito una polpetta avvelenata?
«Ah, può darsi. Però fu utile. Perché i capi delle Br cominciarono a spiattellare qualche notizia importante. Pur di scrollarsi di dosso il sospetto che avevano complici esterni. La Braghetti, che per tre volte aveva rifiutato di aprir bocca, di colpo mi dice: "Senta, va bene, la prigione era in via Montalcini. E il sequestro Moro appartiene alla storia delle Br". Barbara Balzerani si spinge oltre e fa i nomi di quelli che erano a via Fani. Addirittura quei nomi li fa anche Moretti. Non a me, a Rossana Rossanda e Carla Mosca, autrici di un libro-intervista».
Però ora Franceschini dice che un infiltrato nelle Br c'è stato davvero.
«Non mi fido di Franceschini. Lui aveva escluso che la prigione di Moro potesse essere in via Montalcini».
L'ex senatore Flamigni dice che in via Gradoli c'erano appartamenti dei servizi segreti. Cossiga, provocatoriamente, fa un'interrogazione parlamentare per sapere se è vero.
«Che si vuole insinuare, che Moretti stava in un appartamento dei servizi segreti? Mi sembra francamente esagerato. Di sicuro quel 18 aprile '78 il covo di via Gradoli fu fatto trovare intenzionalmente. Perché la doccia che fece colare acqua al piano di sotto era stata lasciata aperta contro la parete. Io mi sono fatta una mia idea. Nelle Br la rottura tra "falchi" e "colombe" si era già consumata. La linea morbida di Morucci e Faranda era stata sconfitta. Morucci aveva le chiavi di via Gradoli e, secondo me, fu lui a far scoprire il covo per vendicarsi».
Qual è il suo rammarico maggiore?
«Nell'aprile '78, mentre era in corso il sequestro, stavo per proporre al capo della Procura De Matteo di creare un pool di magistrati, per studiare tutte le inchieste in corso a Milano, a Torino, sulle Br. Forse insieme saremmo arrivati a qualcosa. Ma di colpo la Procura generale, non so perché, avocò a sé l'inchiesta».