Il Corriere della Sera - 10.05.98

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Alla Camera il capo dello Stato rilancia interrogativi sulla morte dello statista dc ma riconosce: giusta la scelta di non venire a patti con i terroristi

Caso Moro, per Scalfaro la verità è lontana

«Forse ancora libere le menti del crimine». «Chiesi a Zaccagnini: se ti avessero rapito, lui avrebbe trattato?»

Marco Nese,

ROMA - Gli assassini di Moro sono stati presi e processati. Ma gli ideatori del complotto contro lo statista? Sono ancora liberi? Lo chiede il capo dello Stato Scalfaro che rilancia così gli interrogativi inquietanti su chi c'era dietro le Br, su chi aveva interesse a spazzare via dalla scena politica il presidente democristiano. Lo fa nell'aula di Montecitorio, dove per due giorni si è commemorato lo statista ucciso dalle Brigate rosse vent'anni fa. Gli autori dell'«infame crimine», dice Scalfaro, sono stati processati e condannati, «ma le intelligenze criminose che scelsero, mirarono e centrarono il bersaglio, in quel momento politico essenziale, sono comprese in quei processi?». O sono ancora sconosciute?

Le sue parole, giocate sul filo del dubbio, lasciano capire che il Presidente considera ancora lontana la verità sul caso Moro. E sulla scia di Scalfaro saltano di nuovo fuori quelli che hanno sempre visto i terroristi come esecutori di un disegno ordito da altre persone. Il vicepresidente del consiglio, Walter Veltroni, si è detto «completamente d'accordo con il capo dello Stato». E sulla stessa linea anche Luigi Li Gotti, difensore delle famiglie dei poliziotti uccisi a via Fani: «Ha ragione il Presidente - dice -, non tutti i responsabili sono stati scoperti». Ma c'è anche chi non gradisce la sortita di Scalfaro. A Rocco Buttiglione (Cdu) non sembra corretto lanciare accuse «tanto gravi» senza spiegare «su quali informazioni si basano». Secondo lui, invece di «cercare la verità», si continua «a far politica sul cadavere di Moro». Mentre Beppe Pisanu, oggi capogruppo dei deputati di Forza Italia, ma all'epoca capo della segreteria politica della Dc, sceglie la strada del massimo riserbo: «Non voglio suscitare polemiche sul nome di due persone, Moro e Zaccagnini, la cui memoria mi è sacra».

Ma nella rievocazione della figura dello statista dc, Scalfaro tocca anche un altro aspetto delicato. Racconta di aver chiesto un giorno a Benigno Zaccagnini, che all'epoca del sequestro era segretario della Dc: «E se fossi stato rapito tu?». Che avrebbe fatto in quel caso Moro? Avrebbe cercato di salvare comunque la vita dell'amico, avrebbe trattato con le Br?

L'episodio risale alla prima fase del sequestro. Moro aveva già mandato dalla prigione un paio di lettere quando Scalfaro andò a Piazza del Gesù, dov'era in corso una riunione dei responsabili del partito, e disse a Zaccagnini: «Perché tanta meraviglia nell'ipotesi fatta da Moro di cercare un incontro? Io ti pongo una sola domanda: se fossi stato sequestrato tu e fossimo qui a discutere con Moro, lui proporrebbe di non trattare? Come risposta fu silenzio».

Il capo dello Stato riapre così un dibattito che ebbe toni roventi sull'opportunità di avviare un dialogo coi terroristi. Di colpo torna a galla tutto il magma di incertezze, di dubbi atroci che dilaniarono i capi dc. Con il cuore pronti a trattare, e con la testa fedeli alla linea della fermezza. Ma fu una scelta giusta? Moro sicuramente non si sarebbe comportato così. «Nell'ipotesi da lui fatta - dice Scalfaro -, nelle sue intenzioni certamente prevaleva il principio di non negare un incontro, per cercare di capire, comunicare, tentare di vincere con il ragionamento le armi e la violenza».

Ma anche Scalfaro alla fine riconosce che fu inevitabile, «responsabile» chiudere ogni porta in faccia ai terroristi. Fu un bene dire «no a qualsiasi trattativa che avrebbe portato fatalmente al riconoscimento delle Brigate rosse, non potendo lo Stato in alcun modo venire a patti con l'antistato».

Il nome dello statista ucciso viene più volte indicato, nell'aula, come esempio per risolvere i problemi attuali. A lui chiede di ispirarsi il segretario del Ppi Franco Marini. A lui si richiama Massimo D'Alema (Ds). Anche il presidente del Consiglio Romano Prodi e i presidenti di Camera e Senato, Violante e Mancino, hanno voluto ricordare lo statista recandosi in via Caetani.

 

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