Dino Martirano
ROMA - Moro, vent'anni dopo: i buchi neri dell'inchiesta sono sempre lì, che aspettano di essere colmati. Al lungo elenco dei misteri insoluti, ora si aggiungono altre circostanze inquietanti che emergono dal dossier inviato alla procoura di Roma dal giudice veneziano Carlo Mastelloni, impegnato di recente a setacciare gli archivi paralleli del ministero dell'Interno. Secondo un funzionario di polizia che però ha ritrattato, Anna Laura Braghetti, la vivandiera della prigione delle Br di via Montalcini, sarebbe stata individuata e pedinata anche durante il sequestro del presidente della Dc scattato il 16 marzo del '78. Mentre negli archivi del Viminale non si trova l'appunto che Emilio Santillo, responsabile dell'Antiterrorismo fino all'inizio del '78, aveva inviato prima del sequestro Moro al capo della Polizia per segnalare che «le Br avevano in animo di sequestrare un uomo politico importante». E così, come se due decenni non fossero trascorsi, la domanda è sempre la stessa: fu fatto tutto il possibile per salvare il presidente della Dc?
Se lo chiede anche Alfredo Carlo Moro, fratello dello statista ucciso, che accusa: «Ho motivo di credere che siano sparite anche le lettere indirizzate a me e mai pervenute. Dove sono gli originali? E evidente che i brigatisti nascondono qualcosa. Qualcuno».
Lo Stato tentò veramente l'impossibile per salvare Aldo Moro? L'interrogativo è stato al centro del dibattito organizzato al Senato dal «Corriere della Sera» in occasione della presentazione delle due videocassette in cui vengono ricostruiti i 55 giorni del sequestro e la fase processuale successiva a quel tragico 9 maggio di vent'anni fa, quando il corpo dell'onorevole Aldo Moro fu fatto trovare nella «Renault 4» rossa parcheggiata in via Caetani.
Giulio Andreotti, allora capo del governo che scelse la linea della fermezza, ha confermato che davanti a uno scenario imponderabile non c'erano alternative: «Per liberare Moro attivammo tutti, comprese le Forze Armate... Se avessimo dato la sensazione che saremmo passati sopra la tragedia di tante persone, lo Stato e per questo intendo carabinieri, polizia, magistrati, famiglie delle vittime, avrebbe incrociato le braccia». E per restare alla cronaca di questi giorni, il caso dei reparti speciali inseriti nel «Piano Paters» che non fu mai reso operativo, il senatore a vita ha replicato: «Vedrete, tutto questo si sgonfierà come una bolla di sapone». Ma il ventennale della morte di Moro ha sollecitato anche la risposta del presidente della Luciano Violante, oggi presidente della Camera: Moro «poteva essere certamente salvato» ma la linea della fermezza scelta dal governo e dal Pci non può essere per questo rinnegata.
Vent'anni dopo ci sono le parole di Severino Santiapichi, presidente della prima corte d'assise che giudicò gli assassini di Moro: «In quel momento, per noi giudici, il problema principale era quello di svolgere un processo legale anche nei confronti di queste persone». E a proposito di misteri, suonano come un monito le osservazioni di Antonio Marini, pubblico ministero dei processi successivi: «La moto Honda di via Fani, la mancata individuazione della prigione di Moro, la data di inizio del pedinamento della Braghetti, la testimone che non disse subito di aver visto la Braghetti la mattina del 9 maggio nel garage di via Montalcini, i silenzi di tanti brigatisti che pure ora godono di tutti i benefici previsti dalla legge. Chi sa deve parlare, e con questo mi riferisco a gente come Moretti e Gallinari».
Vent'anni dopo, insieme ai misteri insoluti rimane aperta la questione dell'indulto per gli ex terroristi. Il ministro di Grazia e Giustizia, Giovanni Maria Flick, torna a ricordare che «il governo sta percorrendo una strada di valutazioni e di iniziative di tipo individuale», al Parlamento spetta valutare l'ipotesi dell'indulto. Eppure non è così facile mettere tutti d'accordo, come ha sottolineato Andreotti, «perché bisogna verificare se c'è un fronte da parte delle famiglie delle vittime che consente questo: altrimenti, se questa decisione venisse presa senza, si creerebbe una spirale di vendette private». Mentre il giudice Marini è categorico: «Nessuno sconto di pena a chi si è macchiato di reati di sangue ed è stato reticente».
Sui misteri insoluti e sulla parola fine per gli anni di piombo il dibattito è più aperto che mai. Lo dimostra anche l'attenzione riservata alla presentazione delle due videocassette del «Corriere della Sera»: tra gli altri, ad ascoltare alcuni dei protagonisti di vent'anni fa c'erano il presidente del Senato, Nicola Mancino, il sottosegretario alla Presidenza del Consiglio Enrico Micheli, il presidente della Rai Roberto Zaccaria, i consiglieri di viale Mazzini Alberto Contri e Giampiero Gamaleri, il vicedirettore generale Guido Vannucchi, il vice presidente del Senato Domenico Fisichella, il senatore Leopoldo Elia, lo storico Gabriele De Rosa, il giudice istruttore Rosario Priore, il direttore del «Messaggero» Pietro Calabrese, quello del TG2 Clemente Mimun, il direttore di RadioRai Stefano Gigotti, la responsabile delle audioviodeoteche della Rai Barbara Scaramucci e i giornalisti Rai Giancarlo Santalmassi e Nuccio Fava.