Il Corriere della Sera - 14.03.98

WB01343_.gif (599 bytes)


Titanic

L'amnistia alle Bierre? Purché prima parlino

Gianni Riotta

Chiamano dal quotidiano «Globo», in Brasile: «Concedere o no l'amnistia ai terroristi del caso Moro?».

Scrivono i lettori a «Pensieri&Parole», il dialogo del Corsera online, «Quali libri leggere per capire la tragedia Moro?».

Malgrado tutto, c'è ancora interesse per la vicenda che, il 16 marzo del 1978, cambiò la storia d'Italia e noi stessi.

Alla collega brasiliana cosa rispondere? Che si vorrebbe infine darla questa maledetta amnistia.

Che Adriana Faranda si goda i pomeriggi al tennis a Roma. Che Mario Moretti e Prospero Gallinari debuttino a teatro, come quel che sono, periti tecnici falliti di mezza età, a caccia di gloria alla Filodrammatica.

Avete visto le foto di Anna Laura Braghetti, di Barbara Balzarani? Pose avvilenti da Franca Valeri, bruttine stagionate che sorridono, i fiori finti in vista nel tinello, per dimenticare di avere ammazzato, un giorno, senza pietà.

Si vorrebbe dire, scriviamo del domani, scriviamo del presidente del Consiglio Romano Prodi che, giustamente, manda a quel paese gli olandesi.

Scriviamo dell'Italia che, con fretta mercantile, vuol fare la pace con l'Iran, dimenticando la persecuzione allo scrittore Salman Rushdie.

Scriviamo, perbacco, della farsa Di Bella: vuol emigrare? Perché non prova negli Stati Uniti? Rimpiangerebbe presto il ministro della Sanità Rosy Bindi, davanti a controlli che lo spedirebbero in pensione, e con figli a carico.

E invece no: forse per l'ultima volta, dobbiamo ostinarci a parlare di Aldo Moro. Amnistia?

Sì. A patto però che i brigatisti aprano il sacco davanti a una Commissione pubblica, come quella voluta in Sud Africa da Nelson Mandela. Da anni, il capo bierre Moretti ripete «ormai si sa tutto». Mente.

Abbiamo dovuto aspettare il 1993 per sapere che Mario Moretti ha sparato a Moro e che Germano Maccari era coinvolto.

Solo ora apprendiamo che la Braghetti era pedinata dagli agenti dello spione gourmet Federico Umberto D'Amato: perché non la presero?

Tanti indizi portavano al carcere di Aldo Moro. Perché furono ignorati?

Ora gira a Roma la voce che non le Brigate Rosse fossero infiltrate, ma che piuttosto fossero i terroristi ad avere talpe nei partiti. Vero? Falso?

Per chiudere il conto con la giustizia i bierre dovrebbero avere la decenza morale di parlare.

Non per accusare, non per delazione tardiva. Per un dovere di verità. Per dimostrare il loro rispetto alla comunità nazionale.

Non credo lo faranno. Chi leggesse (e rispondo così ai lettori elettronici) le pagine di Leonardo Sciascia sull'Affaire Moro, i saggi che Giorgio Bocca ha dedicato al terrorismo, i memoriali di Patrizio Peci («Io, l'infame»), di Alberto Franceschini (persuaso che Moretti non la racconti giusta), le lettere di Moro raccolte da Sergio Flamigni per Kaos edizioni (e la sua ricostruzione nel volume dal titolo «La tela del ragno»), la narcisistica biografia che Adriana Faranda affida alla bella scrittura di Silvana Mazzocchi, o le fatue pagine di Renato Curcio (edite da Sensibili alle foglie) si accorgerebbe che non c'è in loro vero pentimento, né morale, né politico.

Profeta di questo cinismo è Mario Moretti. La sua intervista a Rossana Rossanda per «Anabasi» è un testo straordinario.

Ancora oggi Moretti non sa capire «perché» le Br hanno perduto. Il suo ragionamento è grottesco: «Siamo sconfitti perché sconfitti».

Non c'è una parola, una sola, di autocritica storica o di contrizione etica. Sarebbe giusto che la libertà per i terroristi passasse attraverso un loro contratto di verità con l'Italia.

Ma chi ha interesse a conoscere i segreti del patto tacito, tra chi minava la Repubblica dal terrore e chi dalla politica corrotta? I brigatisti incanutiti andranno all'oblio e non conosceremo la verità.

Finché non resterà più nessuno a ricordarsi di noi, di Aldo Moro e della triste Italia del 1978.

corsera

WB01343_.gif (599 bytes)