Marco Nese
ROMA - C'era una dolce aria di primavera quella mattina del 16 marzo del 1978, quando la radio, pochi minuti dopo le 9, diede la notizia che ebbe l'effetto di uno shock. Aldo Moro, uno degli uomini più potenti d'Italia, era stato «prelevato» da un «gruppo di fuoco» delle Brigate rosse.
Oggi, vent'anni dopo, in quella via Fani dove i terroristi, per portarsi via l'ostaggio, massacrarono i cinque uomini della scorta, si svolgono le cerimonie di ricordo. Alle 9, i presidenti di Camera e Senato, Violante e Mancino, si soffermeranno lì dove il presidente della Democrazia cristiana fu preso prigioniero. Mezz'ora dopo anche il premier Romano Prodi andrà a deporre una corona ai margini di quella strada diventata simbolo della tragedia.
Il capo del governo ci tiene a ravvivare la memoria di un uomo al quale si sentiva legato da vincoli di profonda ammirazione. Per questo, nel pomeriggio Prodi sarà a Bari per tenere un discorso sulla figura di Moro. Non parlerà dei 55 giorni passati dal leader democristiano nella prigione delle Brigate rosse. Non farà alcun accenno ai punti oscuri della vicenda che ancora rimangono.
Traccerà invece un profilo politico dello statista, metterà in luce le idee alle quali Moro si ispirava, e infine ricostruirà i piccoli passi attraverso i quali il presidente della Dc era riuscito a creare quel governo di solidarietà nazionale che, ironia della sorte, fu varato proprio il giorno del suo rapimento.
La trama dei ricordi di Prodi si dipanerà a Bari, che era la città di Moro, e dove il Partito popolare, erede della vecchia Dc, inizia oggi i lavori del suo Consiglio nazionale. Naturalmente i richiami all'insegnamento di Moro saranno continui. E forti echeggeranno gli appelli a far piena luce sulla tragedia. Dice infatti il segretario del Ppi, Franco Marini, che il Paese attende di conoscere «la verità vera, fino in fondo, perché non c'è ancora stata».
Cosa ha significato per l'Italia la scomparsa di Moro dalla scena politica? «Un grave ritardo della vicenda politica successiva - dice Marini in un'intervista al Tg3 - è senz'altro attribuibile alla scomparsa di Moro. Aveva un grande ruolo, ed era uno dei pochi politici che più aveva il senso del cambiamento veloce. Se non fosse morto non ci sarebbe stato, negli anni Ottanta, quel ritardo della politica rispetto ai profondi cambiamenti della società».
E un'altra esponente dei Popolari, Rosy Bindi, ministro della Sanità, fa risalire al lavoro compiuto da Aldo Moro «l'incontro di quelle culture» che oggi animano l'azione di governo. Non ci si deve limitare al ricordo, dice la Bindi, «ma assumerci l'impegno affinché la politica, come con Moro, riesca oggi a capire quello che sta succedendo nella società e ad orientarlo verso il perseguimento del valore della persona».
Ancora oggi, a vent'anni di distanza, il mondo politico è dilaniato dalle polemiche per non essere riuscito a salvare la vita di Moro.
Marco Pannella torna ad accusare il Partito comunista e la Democrazia cristiana, che rappresentavano il cosiddetto «fronte della fermezza». Ma Alessandro Natta, ex segretario del Pci, crede che «non ci fosse una via d'uscita, nemmeno se si fosse scelta la via del cedimento».
Tornano anche i racconti dei tentativi veri o presunti di salvare lo statista. Guglielmo Zucconi, ex deputato della Dc, ricorda la telefonata ricevuta ai primi di maggio da un avvocato svizzero che prometteva la liberazione in cambio di 4 miliardi. Troppo tardi, comunque. Il 9 maggio, Moro fu ucciso.