Il Manifesto - 09.05.98
VENTENNALE MORO
- IDA DOMINIJANNI - Dice Agnese Moro che con la conferenza organizzata ieri dalla camera in memoria di suo padre egli viene riconsegnato al suo paese e riaccolto nell'aula di Montecitorio, non come vittima di una tragica vicenda ma come uno dei costruttori della vita democratica italiana. Ma è un giudizio troppo buono della celebrazione che si conclude oggi con l'intervento di Scalfaro: la riconsegna è parziale e strumentale, risolvendosi in un rito di legittimazione dell'attuale classe politica e della sua missione di concludere la transizione via riforme costituzionali. E come ogni rito, prevede i suoi sacrifici: taglia per un verso la complessità della stagione politico-sociale in cui Moro fu sequestrato e ucciso, per l'altro la complessità del pensiero politico-istituzionale del personaggio.
Comincia bene infatti Luciano Violante, quando evidenzia la coincidenza fra il ventennale del suo omicidio e il cinquantennale della prima seduta del parlamento repubblicano: "con quella seduta di 50 anni fa si apre un ciclo della vita italiana, fondato sulla capacità dei partiti di rispondere alle esigenze del paese. Questo ciclo si chiuderà con l'assassinio di Moro". Ma scivola presto in retorica ("I primi 30 anni della repubblica,'48-'78, corrono tra la speranza di quella prima seduta del parlamento e la tragedia, gli ultimi 20 corrono tra quella tragedia e la speranza di oggi di un'Europa unita, di una finanza risanata e di un sistema costituzionale riformato"), e precipita poi rapidamente in ideologia. Ecco il filo del ragionamento: Aldo Moro era notoriamente scettico sulle virtù taumaturgiche delle riforme istituzionali, e notoriamente credeva di più nell'allargamento delle basi della democrazia e nella sua riforma morale. Dunque, "strumenti e strategie" messi all'opera oggi "sono lontani da quelli a cui Moro aveva pensato". Ma poco importa: possono comunque essere ricondotti alla sua "intuizione di fondo del compimento della democrazia".
"Strumenti e strategie" sono, per Violante, il solito decalogo: la democrazia orizzontale, efficiente e decidente, il risanamento finanziario, la riforma dello stato sociale, l'ingresso in Europa. Lontani davvero da quelli a cui Moro aveva pensato e del resto, nelle stesse parole del presidente della camera, figli del ventennio successivo alla morte dello statista e della progressiva separazione fra sistema politico e società che in esso si delinea: non a caso Giuliano Amato avrà buon gioco a rivendicarne velatamente ma non troppo la propria paternità, legandole legittimamente all'apogeo e crollo del craxismo più che all'epochè di fine anni '70 segnata dalla fine di Moro. Sottigliezze della memoria: "la democrazia italiana ha bisogno di una nuova legittimazione", dice Violante, e la fedeltà storica può attendere. Anche la ricostruzione della memoria: presentata come una giornata contro la rimozione del trauma-Moro, la celebrazione della camera non fa che tornare a rimuoverlo con dei ricordi di copertura. Prima o seconda che sia, la repubblica non esce dalla sua coazione a ripetere.