Il Manifesto - 10.05.98

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MORO VENTENNALE IN PARLAMENTO

Scalfaro: "Trattare si poteva"

Il presidente della repubblica rompe l'ipocrisia democristiana: Zaccagnini non volle aprire il dialogo, veritiere le lettere di Moro

- IDA DOMINIJANNI - ROMA

Ci sono voluti vent'anni, troppi, ma infine accade, e per bocca del presidente della repubblica. E' lui, il democristiano doc Oscar Luigi Scalfaro - che oggi presiede il vertice massimo dello stato ma allora, e lo sottolinea, nella Dc non contava granché, e che nell'84, da ministro dell'interno, aveva usato per commemorare Moro toni molto più abbottonati - a spezzare l'alibi che ha cementato per vent'anni la coscienza sporca del fronte della fermezza: il sillogismo per cui trattare significava riconoscere e legittimare le Br, dunque trattare non si poteva. Non è vero, dice Scalfaro, e tra le righe lascia intendere che sta precisamente qui, nel non averlo capito, il tradimento vero dello spirito e dell'insegnamento di Aldo Moro: giacché Moro, "uomo del dialogo che nello stato vedeva il luogo del dialogo", non avrebbe mai potuto legare in stretta conseguenza l'apertura di un confronto - "per cercare di capire, comunicare, tentare di vincere con il ragionamento le armi e la violenza" - e il riconoscimento del nemico.

Tra le due cose esisteva dunque uno spazio - logico, psicologico, politico - che allora, si sa, non si volle vedere né aprire né praticare. Ma non si sapeva finora quel che Scalfaro oggi rivela. Che lui in persona, a lato di una riunione dei vertici Dc dopo la seconda lettera di Moro, così cercò di incrinare le certezze di Zaccagnini sulla fermezza: "Perché tanta meraviglia nell'ipotesi fatta da Moro di cercare un incontro? Io ti pongo una sola domanda: se fossi stato sequestrato tu e fossimo qui a discutere con Moro, lui proporrebbe di non trattare?". Ma "come risposta fu il silenzio".

E non si ferma qui, il presidente. Va dritto all'altro punto dolente dell'ipocrisia democristiana - lo stato di costrizione che avrebbe reso poco credibili le lettere di Moro dalla prigione brigatista - e smonta pure questo: certo, quelle lettere erano "terribilmente condizionate" dallo stato di detenzione, ma paradossalmente proprio "quella sofferenza liberava il suo pensiero dalla tradizionale riservatezza, dal consueto timore di creare fratture e divisioni, e i giudizi uscivano così come erano maturati dalla sua esperienza nel suo spirito". Dunque, per essere scritte sotto costrizione quelle lettere erano non meno, ma più vere.

Ce n'è quanto basta per svuotare la difesa d'ufficio della fermezza con cui pure Scalfaro aveva cominciato il ragionamento. La discussione "delicata e difficile" che si era aperta nella Dc con le lettere di Moro, dice il presidente, "fu responsabilmente risolta con il no a una qualsiasi trattativa che avrebbe fatalmente portato al riconoscimento delle Br, non potendo lo stato in alcun modo venire a patti con l'antistato"; ma è chiaro che se, smontato il sillogismo di cui sopra, quel fatalmente cade, cade anche la difesa della "responsabile" decisione. E per quanto il presidente chieda a gran voce se davvero "le menti, le intelligenze criminose della strage di via Fani e dell'infame prigionia siano state davvero identificate e processate", con la sua ricostruzione cadono anche, o escono almeno assai depotenziate, le varie versioni complottarde dei 55 giorni che tutt'ora vengono alimentate come secondo alibi di ferro alla presunta impossibilità di salvare Moro aprendo la trattativa.

Il discorso di Scalfaro riporta così alle responsabilità politiche di allora la commemorazione parlamentare che Violante aveva aperto come rito di legittimazione della classe politica di oggi. Divide le reazioni - Nilde Jotti: "trattare significava arrendersi"; Agnese Moro: "dunque, si poteva e si doveva fare qualcosa di più" - e fa scivolare in secondo piano le operazioni di piccolo cabotaggio per le quali il ventennale è stato usato da più parti.

In primo luogo, da parte degli ex dc oggi variamente collocati nello scacchiere politico, tutti accomunati per la circostanza, da Marini a Pisanu, Casini, Mastella e Selva, dall'astio per "l'eccesso di protagonismo" massmediale dei brigatisti nel ventennale. Quanto alla politica di ieri e di oggi, sono i dc riciclati nei "nuovi" partiti degli anni 90 a regalarci le perle migliori. Dal pulpito di Forza Italia, Pisanu sentenzia che Moro "fu ucciso dalla rabbiosa impotenza politica di un marasma rivoluzionario in ritardo con la storia", un serpentone che va dalle manifestazioni agli espropri alle Br. Dal pulpito di An, Selva si dà in nome dell'eredità di Moro la benedizione di nuovo padre costituente.

All'opposto Ersilia Salvato, che rimette le date in ordine - il '78 anno periodizzante, poi la crisi della rappresentanza e la semplificazione istituzionale craxiana che tutt'ora si riverbera nella fretta di chiudere la transizione con la "scorciatoia" della sola riforma costituzionale. E non prende scorciatoie a uso del presente Massimo D'Alema, che rigetta "letture parziali, riduttive, strumentali" di quella che fu "una sconfitta dell'Italia, dello stato, della democrazia" e resta una cesura nella storia nazionale, cui contribuirono "il fanatismo del terrorismo rosso, certo, ma anche resistenze nell'apparato dello stato". Una cesura dopo la quale "inizia una grande crisi", irrisolta dalle spinte di modernizzazione degli anni 80 e tutt'ora dispiegata, giacchè oggi alle molte "questioni nuove in campo" si sommano "antiche continuità" della storia repubblicana: una democrazia senza regole condivise e il qualunquismo sempre in agguato, "in forma elitaria o plebiscitaria", sulla "frontiera mobile" di un rapporto fra società e politica che non trova equilibrio. "Gli uomini di allora videro la crisi ma non potevano farcela a risolverla. Oggi c'è un nuovo quadro internazionale, ma la sfida decisiva resta nelle nostre mani: spero che la giornata di oggi sia per noi di stimolo a vincere le sfide del presente". Ma sembra così poco ottimista D'Alema, con tutte le ombre della "prima repubblica" che non cessano di allungarsi sulla nascita di quella che vorrebbe essere la seconda.

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