Il Manifesto - 10.05.98

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MORO

Un'intervista e i ricordi di Franco Tritto minano le basi delle tesi di Flamigni

- ANDREA COLOMBO - Non sono misteri. Sono sciocchezze, voci raccattate qua e là, idee balzane contrabbandate come prove. Inquietanti, certo, visto quanta gente dabbene si compiaccia di palesare tanta dabbenaggine. Flamigni urla che il caseggiato di Via Gradoli pullulava di spie come un romanzo di Le Carrè. I giornali rincarano affermando che il covo di agenti era la prigione di Moro, anche se il sequestrato in Via Gradoli non mise mai piede. Qualcuno (non il solo Cossiga) osa chiedere riscontri. Poco ci manca che passi anche lui per sgherro dei servizi. Franceschini - un altro che lavora sulle sensazioni "a pelle", e ci fa pure carriera - annuncia che a parer suo tal Francesco Marra era un infiltrato. L'interessato risponde, in un'intervista a Radio Popolare, smontando un castello che si tiene insieme con lo spago. Nessuno se ne accorge, nessuno se ne occupa. Vogliamo fare un paragone con Franceschini, uomo d'onore, vicino al Pds? Dietro la creduloneria di massa c'è ingenuità, ignoranza di fatti e protagonisti, italica abitudine a vedere ovunque complotti. C'è la dolorosa esperienza di quello che il potere ha effettivamente fatto in questo paese, da Piazza Fontana in poi. Ma c'è anche calcolo, interesse, politica da rigagnolo. I misteri servono a creare un mito, legittimano retrospettivamente gli errori di un partito inetto e pavido che si ritrova oggi, non per suo merito, con più voti di ogni altro. Non riscrivono la storia d'Italia, fanno di peggio: impediscono di scriverla, la truccano prima ancora che arrivi sui libri. Quel mito edificato di mistero in mistero, è a sua volta bugiardo. Con l'unità nazionale il Pci non era ad un passo dal governo. La Dc se ne sarebbe comunque liberata al più presto. Lo ha confermato ieri Franco Tritto, ricordando una conversazione con Moro prima del sequestro. Lo aveva già detto a lettere chiarissime il rapito, nel memoriale che tutti citano e nessuno legge. A impedire la trattativa, per i democristiani, non fu la paura di consegnare l'Italia a Moretti, ma quella più banale di una crisi di governo in tempi ancora non maturi per stangare i berlingueriani. I quali, più che per la sorte della democrazia, temevano per le proprie fortune. Calcolavano, oscuri bottegai, i danni che un successo brigatista avrebbe arrecato alla loro sciagurata strategia. Non è una vicenda eroica l'affaire Moro, né l'ultima pagina della Resistenza. E' una storia immonda, il trionfo della meschineria politica. Come si fa a non ringraziare Flamigni e Franceschini se, tra deliri e bugie, riescono almeno a camuffarla?

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