Il Manifesto - 13.05.98
Non è lui. Non sono loro
ROSSANA ROSSANDA
I l presidente della Repubblica, Scalfaro, ha voluto rendere ad Aldo Moro quello che gli era stato negato non da chi l'avrebbe ucciso, ma da coloro dai quali si attendeva di essere salvato: l'essere proprio lui, Moro nella sua verità, colui che chiedeva di trattare con le Brigate Rosse, e al quale non si rispose. Quel che scrisse dalla prigionia corrispondeva al suo pensiero. Era quel che avrebbe fatto per qualsiasi altro uomo, del suo o di altri partiti, che si trovasse preso in ostaggio.
E non soltanto per la persuasione di cattolico che prima di tutto veniva la vita, quel che un uomo è per sé e per i suoi affetti, ma per la persuasione di politico che bisogna guardare in faccia l'esistente, anche quando si erge come nemico, e tentare una comunicazione, un dialogo. Dialogare non significa arrendersi. Esisteva una guerriglia, ne aveva sperimentato la determinazione, e dopo una prima speranza che fosse una filiazione irregolare del Partito comunista (aveva chiesto a Moretti: "C'è un Longo - Longo, l'uomo delle Brigate internazionali - con cui si possa parlare?") si era convinto che no. Che lui si trovava in un dominio pieno e incontrollato e con le Br in prima persona bisognava trattare. Chiedevano uno scambio di prigionieri, si doveva fare, sia per abbassare l'asprezza dello scontro, sia perché una consumata esperienza gli faceva ritenere che sul terreno della mediazione e del compromesso è il meno solido, il meno esperto che si troverà alla fine sbilanciato. Forse che la liberazione di Lorenz aveva dato il potere al gruppo che lo aveva catturato? Lorenz era vivo e quel gruppo s'era spento.
S
Non so se questo riaprirà la discussione sulle ragioni d'una trattativa. La Dc non volle o non poté, si sentiva stretta dal Partito comunista, non tutta condivideva la linea del presidente. Anche il Pci era stretto, da un'idea più rigida dello stato, dalla necessità di legittimarsi come il partito meno disposto a negoziare con una formazione, come le Br, di cui poco sapeva ma che sospettava poter uscire da una certa sua base. I comunisti italiani volevano che il conflitto stesse in piazza o nelle regole istituzionali che avevano contribuito a creare. Piuttosto che concedere su questo, che li rimandava ad un passato da non riprendere, preferivano perdere colui che consideravano il più illuminato statista e il loro maggior interlocutore.
Ma non riuscivano a guardarlo in viso. Lo dovevano cancellare. Dovevano togliere alle parole di Moro ogni credibilità: non è lui, non vale la pena di ascoltarlo.
Questo, dice Scalfaro, è stato un errore, un mancamento grave.
M
Stupisce che il presidente della Repubblica, che a Moro rende la sua verità, su questo punto gliela nega. E riprende la tesi delle "menti misteriose" che avrebbero progettato il sequestro, così misteriose da dubitare che si ritroveranno mai. Egli getta così sulle Brigate Rosse l'accusa di essere mercenarie. Perché? E' stata la tesi più cara all'ex Pci, anche se mai formalmente assunta, ma agitata dai suoi reporters complottisti, e ormai rimasta al solo senatore Flamigni e alla redazione giudiziaria di Repubblica. Nessun magistrato che abbia lavorato sui sei processi Moro ci crede, lo esclude Rognoni che successe a Cossiga agli Interni, lo esclude la Commissione stragi. Perché dunque, su quale base, il presidente che sempre misura con cura le sue parole, riprende questa teoria?
Altra cosa è dubitare che gli apparati dello stato si siano dati sufficientemente da fare per liberare l'onorevole Moro. Non parla Francesco Cossiga, come se non fosse lui quello che più sapeva, che si circondò di un comitato di sicurezza fatto da gente imprensentabile, che neppure consultò uno stradario prima di dire a Eleonora Moro che una via Gradoli non esisteva, che spedì l'esercito al lago della Duchessa senza tentar di capire allora chi aveva costruito quell'insolito comunicato, e senza indagare poi su quale dei servizi lo avesse commissionato al modesto falsario Picchiarelli che stava ai loro ordini. Se ne dovette vergognare quando si trovò il cadavere di Moro, fino al punto di dimettersi. Ma poi rivela che il governo, se mai avessero liberato Moro, intendeva portarlo in una clinica psichiatrica, perché ormai per la Dc era diventato pericoloso.
Sì, c'è un problema per gli storici e gli archivisti di quegli anni. Ma forse basta a risolverlo la sciatteria delle forze dell'ordine, cui avrebbe messo fine con metodi espeditivi il generale Dalla Chiesa soltanto nel 1979. Dopo di allora la Dc trattò, e non solo per Cirillo, ma le Br venivano mortalmente perseguite al culmine della loro crisi.
Perché sottrarsi a vederle per quel che furono? I loro progetti erano espliciti, anzi urlati. E così le loro rivendicazioni. Perché anche dei brigatisti, tutti arrestati, detenuti da anni e per anni, dire: non sono loro, sono il fantoccio di qualcun altro? Pagato o gratis? E' più confortante pensare che mai e poi mai nella nostra perfetta democrazia poteva formarsi un disegno sovvertitore, estremista di sinistra, dopo anni di grandi speranze e sotto la gragnuola di stragi impunite? Mentre il più grande partito comunista di occidente virava all'accordo con il suo nemico storico? Perché per condannare l'azione brigatista occorre sospettarla anche abietta?
In questi giorni è uscito un libro, quasi un monologo interiore, di Barbara Balzerani. Chi è, come vive la giovane donna che in via Fani bloccò con il mitra l'afflusso delle macchine che potevano venire incontro agli attentatori, udendo la sparatoria alle spalle e vedendo, quando si voltò, tutto quel sangue? Vive male, si rassicurino le anime belle. Vive male la ragazza che studiando il percorso quotidiano di Moro, gli si inginocchiò accanto nella chiesa dove andava a pregare, e concluse che non si poteva sequestrarlo là senza mettere a rischio altra gente. Già uccidere tutta la scorta era un salto sotto il profilo umano, politico delle conseguenze. Laureata in filosofia, e poi in antropologia, il vero mestiere, la vera passione di Barbara Balzerani sono i corpi, gli invalidi o i bambini lesi nei movimenti o nella mente di cui per anni si è occupata. E' l'ultima a scordare che per colpire un simbolo si frantuma una vita. La violenza sociale non ha volto, quella individuale sì, il suo è diventato uno di questi. Ma l'altro? L'altra violenza che va come fosse ovvia, e di cui nessuno sembra dover rispondere? Le Br non sono state le prime a volerla abbattere, non saranno le ultime. Ma non potevano riuscire. Molto sangue, troppe vite perdute. Per niente? Barbara Balzerani non è una pentita, né del tipo dei delatori né del tipo soft del "come mi ero sbagliato". Ha scelto liberamente, non cerca giustificazioni. Ma è irriconciliata, con il mondo e con se stessa. Gli anni perduti, la femminilità buttata, una maternità preclusa. Non le tornano i conti. Non quelli con una società sempre più spietata. Non con lo stesso sequestro di Moro, voluto perché le masse comuniste si sarebbero destate, avrebbero processato il loro nemico, ripreso la giusta direzione, mentre il Pci non si mosse né si divise. Era stato un fallimento, se ne resero conto presto e non restavano che esiti terribili e perdenti. Perché a quel punto uccidere Moro? Come non ucciderlo? Tre anni dopo, arrestati gli altri leaders, le masse ormai silenziose, rifluiti gli studenti, a lei cadeva sulle spalle quel che rimaneva delle Br andate in pezzi. Ma non si torna a casa da una guerriglia come da un viaggio. Lei si assunse la scelta del bersaglio che le pareva simbolicamente più certo, il generale Dozier, il Vietnam; a lei si attribuisce quella del bersaglio più sbagliato, Tarantelli, che forse non ha. Il primo fu liberato, il secondo non avrebbe dovuto morire. Che cosa invece si doveva fare? Gli altri, gli innocenti, i bravi comunisti, che cosa hanno proposto, fatto
, ottenuto? L'Italia, prima delle speranze poi delle stragi, è diventata l'Italia degli imbrogli.
La sconfitta, dunque l'errore, sono stati enormi e i costi illimitati. Non a tutto si rimedia, non tutto si cicatrizza. Nella specie di carcere allargato in cui vive, Barbara sa che non le saranno mai più abituali gli spazi e i tempi delle persone normali, che le è negato un senso da dare a un domani che non possiede. Per averli bisognava dunque arrendersi, darsi all'arrancata individuale, chiudere gli occhi, tacere? Non sa rispondersi. Questa è una donna delle Brigate rosse, che non ha pace. Hanno sbagliato, pagano. Ma non sono state né marionette né uno scarabocchio casuale dei nostri anni.