LO UCCIDEMMO PERCHE POLITICAMENTE DISPERATI
di ALDO DE LUCA
NON HA buchi nella memoria. E esatta. Ripensando a quella mattina va liscia e veloce: «Le unità del commando erano dieci. Rita Algranati stava allincrocio con la Trionfale per segnalare larrivo di Moro e della scorta a Moretti che era nella 128, Casimirri e Lojacono erano di copertura nella parte alta di via Fani, la Balzerani invece era di copertura nella parte bassa allincrocio con via Stresa, Morucci, Gallinari, Bonisoli e Fiore stavano sul marciapiede di fronte al fioraio, loro erano il gruppo di fuoco... poi cera Seghetti in via Stresa, nella 132 che doveva servire a portare via lostaggio». E la famosa e misteriosa Honda con i due uomini armati che più di un testimone avrebbe visto? «A me non risulta, nellazione non era prevista. E tra di noi non si è mai parlato di questa moto, né prima né dopo... vorrei anche ricordare che le Br non hanno mai usato moto, perché era considerato un bersaglio facile».
Lei, quella mattina dovera? «Io mi trovavo in una base brigatista in città, il mio compito era ascoltare le radio di polizia e carabinieri per sapere subito lesito dellazione e quindi decidere i miei comportamenti. Quel giorno non lasciai mai la base, il giorno dopo uscii per incontrarmi con Moretti...». Erano quasi tre anni che Adriana Faranda non rilasciava una intervista ai giornali. Ha rotto il silenzio laltra mattina, davanti a una tazza di caffè in un baretto di Trastevere. Nata a Tortorici in provincia di Messina, ha quarantotto anni. Nel 1976 si arruola nelle Brigate Rosse e svanisce nella clandestinità. Ha fatto parte della Direzione strategica delle bierre, è stata dirigente della Colonna romana durante il sequestro Moro. Arrestata nel 1979, processata e condannata allergastolo, in seguito la pena è stata ridotta a ventidue anni grazie alla legge sui dissociati. Nel 1993 ottiene la libertà condizionale, dal 1995 è libera perché ha finito di scontare la pena: e fa la fotografa. Ha detto di lei il pm Antonio Marini: «E una donna coraggiosa, che ha saputo assumersi le proprie responsabilità». Quandera in carcere chiese di incontrare i familiari di Aldo Moro, per domandare perdono. La figlia dello statista, Maria Fida, accolse la richiesta. Nel 1992 vendette il suo piccolo appartamento alla periferia di Roma, unico suo bene. Il ricavato voleva offrirlo ai parenti degli agenti assassinati in via Fani: che rifiutarono. Allora lo offrì a don Di Liegro: «Ho accolto di buon grado il suo gesto. Molti di coloro che credettero di cambiare il mondo seppure sbagliando ed esercitando la violenza, oggi cercano concretamente la riconciliazione», disse lindimenticabile sacerdote.
Ho chiesto alla Faranda di andare in via Fani, e di restarci anche solamente per un minuto. Sè rifiutata. «Con un giornalista non ci vado. La commemorazione di quei morti si può fare solo allinterno della più assoluta intimità, non può diventare una esibizione pubblica. Io in via Fani ci sono tornata, appena uscita dal carcere... ma da sola. E ci tornerò ogni volta che ne sentirò il bisogno. E sempre da sola». Perché tornò in via Fani? «Sono domande abbastanza intime e io non amo dare risposte pubbliche. Ci sono tornata a mio modo per ricordare gli uomini che lì erano caduti...». Sono passati ventanni giusti: che cosa è rimasto dentro di lei di quel sedici marzo? «La consapevolezza di aver contribuito a compiere un atto umanamente irreparabile e politicamente molto grave».
Non dovevamo permettere allideologia di renderci guerrieri, soldati di una guerra che era solo nostra, ha detto Anna Laura Braghetti. E daccordo? «Certo, noi avevamo una visione quasi meccanicistica, cera una sorta di identificazione tra il simbolo e la persona. Ritenevamo che la disarticolazione di questo Stato passasse anche attraverso la neutralizzazione dei suoi gangli vitali che molto spesso erano rappresentati da persone...». Qual è stato il suo ruolo durante il sequestro Moro? «Ho svolto due tipi di attività. Una era quella di rendere disponibili i messaggi di Moro, di farli arrivare...». La postina, insomma? «Sì, anche se questo termine è un po burocratico... inoltre dovevo cercare di avere più notizie possibili su quello che avveniva a livello istituzionale, e quindi dovevo avere dei contatti...». Con chi? «Mi sono vista tante volte con Lanfranco Pace che a sua volta aveva i contatti con i socialisti, con Signorile che era il braccio destro di Craxi. Io sin dal principio ero per il rilascio dellonorevole Moro...». In tanti ormai sostengono che poteva essere salvato, anche Violante nei giorni scorsi: «Sì, poteva sicuramente essere salvato. Anche Moretti manifestava un grande disagio rispetto alla decisione di uccidere Moro...». Perché? «Non era la soluzione che ci auguravamo, sarebbe stato comunque un fallimento...». E vero anche che sarebbe bastato un piccolo riconoscimento politico da parte dello Stato nei vostri confronti? «Sì è così... puntavamo quantomeno a essere considerati degli interlocutori politici. Il fatto che questo non fosse avvenuto per noi era già una sconfitta e quindi luccisione di Moro seguiva una logica quasi di disperazione politica». La linea della fermezza dunque, è stata vincente: «Io non credo che uno Stato realmente forte abbia bisogno di mostrare i muscoli, poteva egregiamente sopravvivere anche se non fosse stato così intransigente: e comunque la fermezza ha portato alla perdita della vita di Moro».
Sè parlato tanto di infiltrati nelle bierre: «Mai avuto riscontri. Lo dica chi lo sa». E i misteri del caso Moro? «Se cè qualcosa da aggiungere non è di mia conoscenza. Lunica cosa che vorrei sapere è quanto larga e vasta fu la maggioranza che allinterno delle Brigate Rosse si pronunciò per la condanna a morte. Moretti è sempre stato vago...».
E stata più dura la clandestinità o il carcere? «La clandestinità... avevo la sensazione di aver varcato la soglia di non ritorno, era dura esser costretta a esercitare la violenza...». E la paura di essere uccisa? «Il carcere e la morte erano nel conto...». Se non si fosse iscritta nelle Brigate Rosse, che avrebbe fatto nella vita? «Mi sarei iscritta allAccademia di Belle Arti, il mio sogno era dipingere...». Quali sono le cose che oggi le procurano benessere? «Un sorriso, una giornata di sole, la vita...». E tornata la normalità nella sua vita? «Ancora no. E chissà se mai ci sarà...». E ancora bella la Faranda.