Il Messaggero - 17.03.98

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LA COMMEMORAZIONE A BARI

«Ex Br, non trasformatevi in star»

dal nostro inviato

RITA DI GIOVACCHINO

BARI Alla ricerca delle proprie radici. E’ proprio qui, nella cornice della Fiera del Mediterraneo, simbolo dell’impegno meridionalista di Aldo Moro, che i Popolari sono tornati ad interrogarsi sull’insegnamento e sull’attualità del ”doroteismo”. L’anniversario cade in momento particolare, che fa intravedere per la prima volta dopo il disfacimento della Dc, la possibilità di quell’aggregazione al centro che fu il progetto costante dello statista ucciso dalle Br. Continuità nella differenza, ed è con un sussulto di orgoglio che il partito di Marini guarda al passato per dare l’assalto al futuro. Dice il segretario dei Popolari: «Non è soltanto un’operazione della memoria. Moro è insieme lontano e vicino a noi. Lontano per il contesto così diverso da quello dei nostri giorni. Ma vicino per gli aspetti profondi della sua testimonianza. Era diversa l’Italia di allora anche per la logica dei condizionamenti internazionali. Eppure il centro della proposta di Moro era l’allargamento della base democratica che oggi è finalmente possibile».

Un lungo applauso e l’abbraccio di Gerardo Bianco salutano il presidente del Consiglio Prodi. In sala ci sono anche il sottosegretario alla Giustizia Giuseppe Ayala ed il vice presidente dell’Antimafia Niky Vendola. Ricorda Prodi: «Moro è stato in tutta la sua esperienza l’uomo politico di un mondo diviso in due. La realtà in cui egli ha operato era quella di un Paese in cui un sistema politico basato sull’alternanza e sul bipolarismo non poteva affermarsi. E Moro è stato in quel contesto un uomo politico di eccezionale grandezza, meglio di altri capì la necessità della convivenza tra culture ed identità diverse... oggi noi viviamo in un contesto diverso, con la caduta del muro di Berlino, i cambiamenti epocali hanno creato nuove condizioni: oggi in Italia è possibile la modernizzazione e, anche come Moro voleva, il Paese è stato capace di sanare le sue più antiche anomalie istituzionali e politiche».

Non amano interrogarsi gli ex Dc sui misteri di quell’assassinio. Furono davvero soltanto le Br o ci fu un’utilizzazione politica del terrorismo? «Io un dubbio atroce ce l’ho» confessa De Mita, «ma la storia non si può scrivere sulla base dei sospetti o delle intuizioni. C’è una verità processuale, che forse non ha dato una risposta a tutti gli interrogativi, e tuttavia è preferibile questa verità ad un processo da santa inquisizione». Tocca a Gerardo Bianco, che a Moro ha dedicato il più appassionato omaggio, allontanare con vigore ogni ipotesi di complotto che possa sfiorare la Dc: «Egli sentì il suo partito come elemento principale ed essenziale per imprimere agli eventi un corso democratico. Ed è quello che certi storici non sanno vedere, che certi procuratori non amano capire, ripetendo l’esilarante teoria del doppio Stato, della doppia lealtà e perfino l’origine mafiosa dello Stato repubblicano. Capovolgendo i termini della storia, chi ha costruito la democrazia viene assimilato ai suoi nemici ma in questo modo si uccide nuovamente Moro». Una tesi cui fa eco anche il presidente del Senato Nicola Mancino: «Questa falsificazione storica è opera di mani ruvide che vogliono far credere che l’Italia, come sospesa per un cinquantennio, abbia cominciato a camminare solo nel ’96. La nostra storia non può essere cancellata dai teorizzatori del doppio Stato, di quello legale che avrebbe fatto da copertura a quello illegale». E, concludendo, Marini ha rivolto agli ex brigatisti la «preghiera» di essere più sobri: «Certo, hanno pagato per le loro colpe, ma mi fa un certo effetto vederli trasformati in star televisive e della stampa».

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