L'OSSERVATORE ROMANO - 15.03.98
16 marzo 1978: la strage di via Fani e il rapimento di Aldo Moro
Moro divide ancora il Centro
Le agghiaccianti immagini in bianco e nero che testimoniano del rapimento di Aldo Moro e dell'uccisione della sua scorta andrebbero rivisitate con grande attenzione. Sono passati vent'anni ed una intera generazione di italiani è venuta al mondo dopo quella vicenda che per altro ampiamente ignora. Sono fotogrammi già un po' sfocati, come se risentissero dell'emozione del momento, eppure sono le nostre strade e le nostre piazze, affollate di auto un po' fuori moda che tuttavia ci rendono perfettamente riconoscibili. Quel che è accaduto non è una fiction televisiva. I morti, l'ostaggio, sono uomini veri, non comparse di uno spettacolo di fantapolitica. Carabinieri ed agenti sono stati uccisi mentre compivano il loro dovere, quello di proteggere uno statista rapito nel quadro di una operazione ideologico militare dai contorni tuttora non chiarissimi nella loro eziologia e però ben diretta ad impedire uno svolgimento politico assolutamente legittimo. Il problema come è ovvio non sta nell'opportunità del disegno di Aldo Moro ma nell'applicazione lucida della sopraffazione per impedirglielo.
Oggi, in tempi più leggiadri e meno feroci, sembra incredibile l'uso endemico della violenza in politica. Allora, negli anni Settanta e Ottanta, la situazione era sfuggita di mano sia al controllo delle autorità dello Stato, sia alla vigilanza critica degli intellettuali, degli uomini di cultura. Il fenomeno non era nato improvvisamente: ci eravamo assuefatti pian piano all'illegalità, alla coercizione implicita in blocchi stradali, occupazioni, cortei con armi improprie, assalti, incendi, scorrerie. Il sabato pomeriggio delle grandi città era consacrato ad esuberanti manifestazioni di pseudo politica con buona pace della libertà dei cittadini. Non era facile contrastare il "vento" che animava il volgere delle cose. C'erano pubblici poteri fragili e come incerti sulla propria legittimazione. Lo Stato risultava pressoché disarmato dalla tenace opera di demolizione perseguita da forze importanti. Una diffusa apologetica sosteneva (e magari aizzava) il cosiddetto "movimento" da cui si staccarono ben presto frange disposte ad "alzare il tiro" delle molte armi da fuoco in circolazione e finalmente si pervenne, senza troppi drammi in verità, ad uccidere.
Era invalsa l'abitudine di attendere l'avversario sotto casa e di toglierlo di mezzo con la spranga e con la pistola strategicamente usati alle spalle del soggetto designato. Ci volle del tempo per riaversi. Furono avanzate non senza causidica abilità molte giustificazioni. L'incapacità del sistema politico a riformarsi, le trame oscure di varia colorazione, i poteri stranieri... Ma c'erano anche le allettanti genealogie, i ribellismi del passato, il Vietnam e le recenti "sierre" sudamericane, le lunghe marce della Cina e persino gli entusiasmi per le vicine esperienze della povera Albania, presa come modello. Un universo ribellistico fu rovesciato addosso ad una illusa gioventù e la decantazione di tanti demoni scatenati fu cosa lunga ed ardua.
I morti di Via Fani e il sequestro dell'onorevole Moro, con l'epilogo tragico che sappiamo, hanno rappresentato un punto di svolta per l'intera opinione pubblica italiana. Fu il carattere militare dell'operazione, la crudele razionalità, il concerto di esecutori sul terreno e mandanti in penombra: in una parola, la cospirazione contro la legge e la democrazia, a determinarla. Non più fatti episodici ma un gran disegno prendeva corpo: mutare, con l'uso ben calibrato della violenza, la vita politica del Paese. A tanto l'opinione pubblica non poteva arrivare, anche nei settori più inclini al giustificazionismo e alla "comprensione" assolutoria. Molti trovarono ripugnante l'omicidio come strumento per dir così ordinario della politica, o in altri termini il ripristino di quell'antico principio che voleva la guerra come continuazione della politica con altri mezzi. Sono appunto questi mezzi che il popolo italiano, dopo le esperienze di due conflitti mondiali e delle loro ricadute sulle quotidianità della vita nazionale, non poté più tollerare. Da allora la guerra civile, in cui qualcuno voleva precipitare il Paese, è, fuori discussione, un orizzonte delirante per pochi illusi e traviati ma che le grandi masse e tutti gli uomini di buona volontà rifiutano con silenziosa energia. L'uccisione di Aldo Moro, con tutte le ansie e i tormenti che la accompagnano, segna l'avvio del riscatto che muove proprio dalla vincente indignazione per il massacro di quei servitori dello Stato e per l'inumano destino riservato all'uomo politico, colpevole solo di un'idea e di un progetto.
Lasciamo agli storici del futuro il dissipare i molti misteri che possono ancora gravare su questa vicenda. A noi basta rilevare la recuperata dignità morale del Paese nel rifiuto di quel Caino che aveva operato nelle strade e nell'oscuro loculo della detenzione e della tortura inflitta ad un rappresentante del popolo. Ancora una volta l'Italia, suscettibile di vertigini e di cadute, si mostra capace nell'ora più ardua di insospettate resurrezioni.
(Giorgio Rumi)