La Repubblica - 10.05.98
Scalfaro riapre il caso Moro
Il presidente: ma i mandanti sono stati processati?
di GIORGIO BATTISTINI
ROMA - Scalfaro riapre il caso Moro. Vent'anni dopo tocca ai mandanti. Qualcuno li ha mai processati? chiede, celebrando lo statista dc alla Camera nel rito solenne dedicato al ricordo di quel 9 maggio del '78. Presenti a Montecitorio i familiari dell'ucciso. Assenti Berlusconi e Fini. Il capo dello stato rompe un lungo, personale silenzio. Del delitto Moro non aveva mai parlato da quando fu eletto nel '92. Se n'era occupato il meno possibile anche nei quattordici anni precedenti (fu ministro dell'Interno di Craxi dall' 83 all'86). Mai una parola, anche se il 9 maggio d'ogni anno, e ancora ieri, i familiari dell'ex presidente dc andavano a messa con lui in una cappellina del Quirinale. Un lungo, corrucciato riserbo che poteva voler dire voglia di non aggiungere altre polemiche, e insieme netto dissenso da alcune verità ufficiali.
Ha atteso le celebrazioni di Stato, a vent'anni dal delitto, per esternare un pensiero a lungo frenato. Ha dato voce, nel modo più clamoroso possibile, a quell'esigenza di verità completa e totale che s'è fatta largo in vent'anni nell' opinione pubblica. "Una successione di processi è riuscita a raggiungere i responsabili dell'orrendo crimine", ha detto chiudendo le celebrazioni di Montecitorio. "Ma le intelligenze criminose che scelsero, mirarono e centrarono il bersaglio, in quel momento politico essenziale, sono comprese in quei processi? E se no, a quale giudice risponderanno? Eppure ne risponderanno". Perchè un fatto è certo. "Chi studiò, preparò, diresse quel crimine politico sapeva di colpire l'unica voce che di fatto, in quel momento storico, poteva avere ascolto ben oltre la sua parte politica. Per questo quella voce doveva essere spenta". I mandanti, insomma, volevano colpire esattamente l'unico leader dc in grado di dialogare con la sinistra.
L'espressione "intelligenze" potrebbe alludere al concetto stesso di intelligence, controspionaggio o polizia segreta addetta a operazioni extra legem, per ciò stesso e per definizione segrete. Ma pare un'interpretazione azzardata. Oppure invece le "intelligenze criminose" dei mandanti potrebbero essere entità rimaste nell'ombra (il "grande vecchio"?) in questo ventennio soprattuto dedicato all' accertamento di responsabilità dirette. O magari anche politici, italiani o stranieri. Ne parla in forma interrogativa, il presidente (le intelligenze "sono comprese in quei processi?"), quasi a prefigurare l' esigenza d'un nuovo accertamento in quella direzione, ora che la guerra fredda è alle spalle. Poi sembra ripensarci, e domandarsi a quale tribunale dovranno rispondere questi mandanti nell' ombra. Salvo poi ricondurre tutto al giudizio universale davanti al Padreterno ("eppure ne risponderanno", sillaba con misurata lentezza). Curioso comunque che questa clamorosa uscita del capo dello Stato (Cossiga non s'era mai spinto a tanto, e ufficialmente neppure Pertini) avvenga poche ore dopo la fuga di Gelli dall'Italia, personaggio di sicuro non stimato al Quirinale.
Una trentina di parole di denuncia politica racchiuse, quasi incastonate dentro un ricordo affettuoso di venti minuti, estratto lentamente da una busta e letto al microfono con pacata fermezza, per far rivivere l'umanità di Aldo Moro. Per tornare su quei giorni con memorie anche personali. E inedite. Come quella volta, nel marzo '78, in cui l'allora deputato Scalfaro entrò nell'ufficio di Zaccagnini a piazza del Gesù. "C'erano tante persone in quella stanza, un angoscioso vociare di proposte e ipotesi, timori e sgomento.
Mi trattenni pochi minuti", ricorda. "Chiesi a Zaccagnini: 'se fossi stato sequestrato tu e fossimo qui a discutere con Moro pensi che lui proporrebbe di non trattare? La sua risposta fu il silenzio". Un inedito Scalfaro dunque, testimone di se stesso come "colomba" trattativista, di fronte al già noto dilemma del segretario dc di viso tra amicizia e senso dello Stato. Eppure ora il presidente riferendosi all'ipotesi di trattativa fatta da Moro nelle prime lettere, dice che "nelle sue intenzioni prevaleva il principio quasi assoluto di non evitare mai un incontro per discutere e parlare, per cercare di vincere col ragionamento le armi e la violenza".
Scalfaro e Moro. Politicamente lontanissimi, vent'anni fa. Il piemontese adesso è l'ultimo democristiano al Quirinale. Il pugliese allora era l'"uomo del dialogo" ad ogni costo, quello che "si scherzava sul suo modo di esprimersi": quello che fu ucciso anche per impedirne l'elezione a capo dello Stato. "Tra noi c'era un rapporto profondo che non entrò mai in crisi nonostante il mio non raro dissenso dalla sua linea politica e dalle sue scelte", rivela Scalfaro, giusto per "non dimenticare il passato". "La sua mitezza non aveva alcuna parentela con la remissività, e infatti poco prima del rapimento gridò quasi che la Dc non si sarebbe fatta processare nelle piazze". Ma non andò esattamente così.
Se i leaders della diaspora cattolica ed edc (Marini, Casini, Pisanu, Mastella) rinnovano la richiesta di verità definitive, Massimo D'Alema prende atto di quella "sconfitta della democrazia", dovuta alla "convergenza tra fanatismo ideologico e terrorismo rosso con violenze e resistenze annidate negli apparati dello Stato". Ma la sfida per il rinnovamento persa "nell'epoca della guerra fredda adesso continua a rimanere nelle nostre mani".