La Repubblica - 11.05.98

- DELITTO MORO NESSUN MISTERO
- di GIORGIO BOCCA
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- IL CASO Moro si compone di un tragico accaduto e di ciò
che uomini politici, mitomani, magistrati che campano di
misteri vi appendono sopra. Abbiamo sentito uno di essi,
il dottor Priore, dire che il più fitto mistero regna
ancora sulla origine delle Brigate rosse, sulla loro
sovversione e sul loro scioglimento. E noi che credevamo
di averne scritto la storia. Il presidente della Camera
Violante lamenta che i brigatisti che uccisero Moro siano
"vezzeggiati". Ma credo sia lecito ricordare
che ciò che dovevano e potevano dire sul caso Moro, dico
la sostanza non particolari insignificanti, lo hanno
detto.
- Perché Moro? Si è sentito chiedere in questi giorni di
commemorazioni. Moretti, Bonisoli, Azzolini e altri
brigatisti hanno spiegato cento volte le ragioni
politiche e logistiche per cui vennero scartati
personaggi troppo protetti e scelto quello di cui si
conoscevano meglio i movimenti. Senza dire che
politicamente era un personaggio chiave. Che ci fossero
anche nella Democrazia cristiana delle persone che lo
avrebbero visto volentieri morto e che poco o niente
fecero per liberarlo è credibile, ma le menti, i
mandanti, questa riedizione del "grande
vecchio" di cui in termini misterici parla il
presidente della Repubblica, sono fantasmi, pure
congetture.
- Si è anche parlato in questi giorni di strane
coincidenze, per esempio del fatto che il covo brigatista
di via Gradoli era in un palazzo dove i servizi segreti
avevano degli appartamenti.
- CHE i funzionari dei servizi segreti, come ha rivelato il
recente scandalo, avessero una propensione a intestarsi
degli appartamenti è fra le cose credibili, possibili,
ma questo ripetuto e mai provato rapporto delle Brigate
rosse con misteriosi servizi ora sovietici ora israeliani
e ora atlantici è già stato smentito sia dalla logica
che dai fatti. Moretti e gli altri, che avevano una
mania, una vera ossessione per la O come chiamavano la
organizzazione, avevano capito che legarsi a un servizio
segreto sarebbe stato come entrare nella tana del lupo.
La prova dei fatti è che i brigatisti del sequestro Moro
erano male armati (la maggior parte dei mitra si
inceppò) e pochissimo addestrati: qualche esercitazione
di tiro sulle montagne. La prigione di Moro non fu
scoperta come non vennero mai scoperti i postini delle
Brigate rosse, come non venne intercettata la Renault
rossa che portava il cadavere nel centro di Roma perché
trovare un alloggio, fermare un'auto in una grande città
come Roma è come cercare un ago in un pagliaio. Il vero
mistero del caso Moro come delle Brigate rosse sta nel
fatto che sia il sequestro che la sovversione non hanno
una spiegazione razionale. I brigatisti se ne resero
conto, capirono che il loro progetto era insensato solo
dopo l'assassinio di Moro e da lì partì la loro
dissoluzione. Se non ci si vuole arrendere alle
spiegazioni che i protagonisti hanno dato e che non sono
certo spiegazioni autocelebrative, se non si vuol
credere, come ha detto Moretti, che alcuni giovani di
poca cultura e di pochi mezzi abbiano messo in
fibrillazione lo Stato, se si vuol continuare a mettere
assieme romanzi polizieschi sulla vicenda lo si faccia,
si continui pure all'infinito. Ma dai misteri, neppure da
quelli evocati dal capo dello Stato, non si caverà nulla
perché non c'è nulla da cavare.
