La Repubblica - 12.05.98
TRA MORO E LO STATO IO SCELSI LO STATO
di FRANCESCO COSSIGA
CARO DIRETTORE, nella cronaca della solenne commemorazione di Aldo Moro tenutasi, a iniziativa dei presidenti delle due Camere nell'aula di Montecitorio, con la partecipazione del presidente della Repubblica, è data corretta notizia della mia assenza, che la benevolenza del suo giornalista definisce "eccellente".
Essendo io stato invitato a detta commemorazione e avendo deciso di non parteciparvi, doverosamente ne informai il presidente Violante e il presidente Mancino, Loro esponendo i motivi della mia decisione, motivi che qui ribadisco.
Io sono tra quelli che ricordano e anzi rivendicano (sempre più pochi e sempre meno convinti...) di avere, dopo il rapimento di Aldo Moro e le richieste e proposte di scambi o comunque di trattative con i terroristi, concorso a decidere e a sostenere la linea del rifiuto, chiamata altrimenti la linea della fermezza, a difesa della legalità repubblicana e dello Stato democratico. E ciò nel pieno rispetto da parte mia di chi fu di differente avviso o lo è anche oggi. Feci quella scelta con profondo dolore, per l'affetto che nutrivo per Aldo Moro e di cui Egli mi aveva da tempo fatto generoso dono.
E FU PER ME una scelta tragica, perché feci questa scelta ben comprendendo come un movimento quale quello delle Br (per la sua "morale" rivoluzionaria; per la sua cultura marxista-leninista, peraltro acriticamente applicata a contesti storici e sociali diversi da quelli originari; per il suo partecipare alla contestazione globale del sistema e della lotta politica, non loro esclusiva, almeno nell'argomentare e nello scandire slogan; per una tragica e ingenua coerenza con gli insegnamenti loro dati da molti "maestri", politici e no, di disprezzo radicale per la classe politica democratica, per trent'anni di vita politica italiana anticipando giudizi che oggi parte della storiografia cosiddetta "democratica" fa trionfare e che erano allora largamente comuni a un vasto mondo cosiddetto di "sinistra") non poteva rispondere alla resistenza dello Stato che portando il suo "processo politico" emblematicamente celebrato, al tragico epilogo dell'esecuzione della sentenza contro l'"imputato simbolo", secondo quella tragica "rappresentazione esemplare" propria dei movimenti rivoluzionari, che unisce con un forte filo rosso il terrorismo giacobino a quello marxista- leninista dell'epopea staliniana.
Per questo io sono consapevole, drammaticamente so che la mia scelta liberamente e dolorosamente fatta anche in quanto ministro dell'Interno, responsabile delle forze dell'ordine, polizia e carabinieri, sanguinosamente colpite al momento del rapimento; lealmente e fermamente sostenuta dal Pci di Enrico Berlinguer e lealmente, sia pure con qualche differenza e titubanza, dalla Dc di Benigno Zaccagnini, ha concorso sul piano dei fatti alla morte di Aldo Moro.
Si trattò insomma per chi ne aveva il dovere di ufficio o di testimonianza, e io ero tra questi, di dover scegliere tra lo Stato e le Br, tra la legalità repubblicana e democratica e la logica rivoluzionaria e, di conseguenza, per fatalità inesorabile, brutalmente tra lo Stato inteso come il portatore degli interessi generali e fondamentali della comunità e la vita di un uomo innocente, e di più per me di un Amico. Credo che abbiamo diritto al rispetto di tutti e soprattutto di chi non avendo, né per ufficio né volendolo fare per testimonianza, il dovere di scegliere, non ha, allora, scelto.
Io mi sono assunto e ancora oggi mi assumo la responsabilità di ciò: e questa scelta di linea e questa assunzione di responsabilità, ho pagato e pago nel mio cuore, nella mia coscienza e nel mio corpo, lasciando giudicare a Dio se fu responsabilità solo di fatto, oppure politica o financo morale. Questa scelta, la puntigliosa e chiara, da parte mia, rivendicazione di questa tremenda responsabilità, mi viene fatta ciclicamente pagare anche in riferimento alla mia vita privata e alla mia modestissima vicenda politica. Io so bene di non essere riuscito a salvare la vita umana di Aldo Moro nel rispetto della legalità; affermo, per rispetto della verità che non solo io ma lo Stato, ha fatto quel che era possibile e allora sapeva fare per salvarlo; io so di aver sempre detto, in ogni sede (e numerosissime furono queste sedi, giudiziarie e parlamentari, oltre 39!), la verità, e tutta la verità, ma purtroppo soltanto la verità. E di ciò la mia coscienza è tranquilla.
Ma consapevole di questa tremenda responsabilità anche se fosse soltanto di fatto: aver concorso a determinare una situazione che ha portato all'uccisione di Aldo Moro, ho ritenuto coerente non partecipare, specie di fronte al rinnovato dolore della Famiglia, a così solenne celebrazione. Questo è tutto. Dei dubbi degli onesti ho avuto e ho rispetto. Della cagnara indegna e delle miserevoli speculazioni di questi giorni, e che ho già ciclicamente conosciuto in altre occasioni, non mi curo per rispetto dei morti, della verità e anche di me stesso.