Il Corriere della Sera 1° novembre 1997
PARIGI - Oreste Scalzone, fondatore di Potere operaio e leader di Autonomia, rifugiato a Parigi dopo una condanna a 9 anni per banda armata, annuncia: «Ho intenzione di cominciare uno sciopero della fame al fianco di Sofri, Bompressi e Pietrostefani». Molti riterranno paradossale questa decisione, proprio ora che Scalfaro rifiuta la grazia e rinvia il dilemma al Parlamento, proponendo di risolverlo con l'indulto.
Ma lei non s'è sempre battuto per un'amnistia o un indulto?
«L'uscita di Scalfaro non mi seduce. Quando era sul tappeto un progetto d'indulto, il presidente lasciò balenare l'idea delle "semi grazie" personalizzate e discriminatorie. E ora che siamo arrivati alle soglie della tragedia-Sofri e vengono annunciate le "dimissioni dalla vita" di Adriano, Scalfaro sembra giocare crudelmente a rimpiattino: la ributta su un indulto che non ha alcuna possibilità di essere approvato prima del Duemila».
Perché una scadenza così lunga?
«Perché bisogna aspettare l'entrata in vigore della nuova Costituzione. Sempreché il quorum necessario per approvare questo provvedimento sia ricondotto dalla maggioranza dei due terzi a quella semplice».
Lei vuole affrontare un digiuno in difesa del gruppo Sofri, che ha sempre preso le distanze da gente come lei. E a Parigi lei vive in ristrettezze mentre altri, come Negri o Sofri, hanno vissuto agiatamente.
«Oggi Negri e Sofri sono dei prigionieri. Dunque, non privilegiati rispetto al sottoscritto. Potrei aggiungere che intervengo per rispetto di me stesso, nonché per tentare di provocare una resipiscenza in un'intellighenzia politica intervenuta in modo così aberrante e tronfio da funzionare come una medicina dagli effetti secondari devastanti. Una medicina che in più finisce per ammazzare il malato».
Di quale intellighenzia parla?
«C'è solo l'imbarazzo della scelta. Un Folena che, a parità di "verità giudiziarie", proclama Sofri innocente ma Negri colpevole. Un Ginzburg che, a Parigi, dopo aver descritto un processo alle streghe, dice pubblicamente a Negri che né il suo né altri processi possono essere definiti tali. I Deaglio, idolatri della giustizia del sospetto, dello strapotere dell'accusa e dei pentiti, pronti a ritenere dogmi di fede i baci di Toto Riina ad Andreotti, a considerare bocca della verità galantuomini come Contorno o Di Maggio. Tutti quelli del partito trasversale dell'emergenza giustizialista che, nel solo caso Sofri, riscoprono l'orrore della "colonna infame"».
Non dimentica qualcuno come il Nobel Dario Fo?
«E' con dolore, non foss'altro che per antica amicizia e gratitudine verso Franca Rame e lui, che l'ho visto irrompere sulla scena in modo tanto catastrofico. Non gli rimprovero di aver acceso i riflettori sul solo Sofri lasciando in ombra gli altri prigionieri e fuggiaschi. Sarebbe egualitarismo al ribasso, un'idea servile. Ma purtroppo Fo, cui sto scrivendo una lettera aperta in proposito, ha portato al parossismo i peggiori sofismi di tutti questi "ma-itres-à-penser" sino a farli tornare come un fatale boomerang contro Sofri».
Si riferisce forse ai magistrati Borrelli e D'Ambrosio?
«Certamente. Dario è riuscito a riconfermare a loro e al pool un'ammirazione da "Borrelli facci sognare!", accusandoli nello stesso tempo di essere stati partecipi di un complotto fascista contro Lotta continua. Così non ha fatto che provocarne risposte inviperite contro di lui, e implacabili nei confronti di Sofri».
Cosa pretende di fare con il suo sciopero della fame? Crede che Sofri si lascerà morire?
«Non lo conosco abbastanza per poterlo escludere o, meglio, consideri il mio uno scrupolo. A cosa miro? Devo riconoscere che Valiani, forse il più implacabile nemico di tutti noi, prospetta la via maestra di un'amnistia. Ma sono pessimista. E voglio pensare a possibilità subordinate. Ha ragione il vecchio Marx: esistono situazioni che si possono anche concludere nella rovina di tutti i contendenti. Per evitarlo, bisogna sapersi mettere nei panni degli altri, anche della parte avversa».
A parte il digiuno, ha in mente qualche proposta?
«Nel diritto, il "giusto processo" richiede un tempo ragionevole tra i fatti e il giudizio. Ora, i vent'anni intercorsi tra l'omicidio Calabresi e il processo Sofri non dipendono dai giudici. Dunque, chi ne detiene il potere potrebbe graziare senza per questo sconfessare i giudici: una grazia per insufficienza di prove non costituirebbe un giudizio di quarto grado. E' così che si può sciogliere l'enigma di Flick. Resterebbe l'obiezione secondo cui un fachiro, contrariamente a Sofri, la farebbe sempre franca. Perché, allora, i Fo e le Rossanda non cominciano un digiuno come faccio io? Chiunque può usare il proprio corpo come un'arma di persuasione. E voglio aggiungere anche che il Parlamento può approvare subito una legge per il risarcimento ai parenti delle vittime del terrorismo. Un'idea che viene agitata come una bandiera e poi scandalosamente dimenticata. Rifondazione comunista, Fausto Bertinotti e il giornale "Liberazione" potrebbero inoltre lanciare una campagna di firme contro l'indulto».