Il Corriere della Sera - 03 luglio 1997
Non si può perdonarli in blocco. La politica non è un'attenuante
di LEO VALIANI
Gli atti di clemenza non sono rari nei paesi civili. Possono essere dovuti a sconvolgimenti della situazione politica e sociale, a mutamenti dei codici penali, a vittorie o sconfitte militari, a celebrazioni festose oppure a pentimenti dei condannati. Nelle critiche mosse dall'estrema sinistra all'amnistia elargita da Togliatti ai fascisti, dopo l'avvento dela Repubblica nel giugno 946, Pajetta, che aveva scontato più di 10 anni di carcere sotto il fascismo, rispondeva ricordando che Mussolini aveva decretato parecchie amnistie anche agli antifascisti.
Il problema, al solito, è per quali reati si concede un'amnistia, un indulto, un condono di pena o un atto di grazia e quali conseguenze ciò possa avere. Se un'azione delittuosa viene considerata oggi meno grave di come lo era stata al momento della sentenza inflitta al reo, se questi ha sempre tenuto buona condotta e dato prova di ravvedimento, è naturale che la sua pena venga ridotta o addirittura annullata. Discutibile è un provvedimento di clemenza se condizionato da un mercanteggiamento fra il potere politico e giudiziario ed il beneficiario. Vogliamo sottolinearlo perché sarebbe opportuno che fosse smentita la voce che parla di un nesso fra la costituzione alla polizia italiana del latitante professor Antonio Negri, che dovrebbe scontare ancora alcuni anni di carcere per una rapina commessa a scopi di autofinanziamento politico-sovversivo, nel quale venne commesso un omicidio, e la promulgazione di un indulto generalizzato agli ex terroristi. Fra i due tipi di eventi non dovrebbe esserci alcun collegamento, Negri potrebbe essere del tutto innocente di quell'omicidio. In tal caso andrebbe graziato incondizionatamente. Gli ex terroristi potrebbero essersi tutti pentiti al punto di meritare un'amnistia generale. Resterebbe valido, però, il motivo per cui vennero a suo tempo condannati. Avevano deliberatamente assassinato delle personalità (un ex presidente del Consiglio e numerosi giudici, esponenti delle forze armate e di polizia, docenti, funzionari, giornalisti), uccise soltanto per aver difeso con la vita, come era loro stretto dovere, lo Stato democratico. I loro assassini erano mossi esclusivamente dall'intenzione di imporre al Paese un potere illegittimo ed arbitrario, per forza di cose dittatoriale. Questi delitti non possono essere perdonati in blocco, a meno di non essere preceduti da ravvedimenti più profondi e sinceri di quelli che erano stati o vengono richiesti ai pentiti, terroristi o mafiosi, che con le loro confessioni hanno contribuito alla sconfitta delle associazioni criminose e assassine. Altrimenti verrebbero riabilitati perfino gli assassini dello stesso Aldo Moro.
Il movente politico che animava i terroristi, rossi e neri, non può essere un'attenuante decisiva, a meno che non si giunga, come nel 1946, ad una amnistia politica generale. L'altro giorno il Parlamento ha rifiutato persino la proposta di riduzione delle pene per i finanziamenti illeciti ai partiti politici. I partiti hanno molti torti, ma sono pur sempre meno colpevoli delle bande terroristiche, sovente sfociate nelle stragi sulle quali la magistratura comincia appena a fare luce. Lo Stato democratico ha il diritto di esercitare sempre la clemenza, o invece il rigore, se li reputa necessari alla propria salvezza, ma deve farlo in una visione di insieme, con criteri di equità, senza privilegi o aggravi di sorta.