Il Corriere della Sera Domenica, 3 agosto 1997
Flavio Haver
ROMA - Le polemiche sull'indulto tornano a scuotere il mondo politico nel giorno del diciassettesimo anniversario della strage di Bologna. «Non si possono chiudere gli anni di piombo con provvedimenti quali l'amnistia o l'indulto», ha tuonato il presidente dell'Associazione familiari delle vittime, Paolo Bolognesi. E dopo Scalfaro, è stato Violante a rinnovare nuovamente l'invito a non dimenticare le sofferenze di chi ha dovuto fare i conti con gli attentati che hanno sconvolto l'Italia: «La verità della storia è una cosa, la verità dei processi è un'altra. Prima di tutto, però, credo che occorra tenere conto delle ragioni delle vittime», ha detto il Presidente della Camera a margine della manifestazione. Alla quale hanno partecipato anche Romano Prodi, Walter Veltroni e il sottosegretario alla Difesa, Massimo Brutti.
Violante ha escluso la necessità di una seduta speciale del Parlamento dedicata al terrorismo. Ma ha osservato come, di fronte a tanti anni di stragi anonime, «mancano forse i perché politici e l'individuazione dei mandanti ma credo che le ragioni politiche siano chiare. Il nostro compito - ha aggiunto il presidente della Camera - è quello di far crescere il Paese. Le verità ancora mancanti sulle stragi dovranno essere chiarite nelle aule di giustizia». Critico sull'indulto anche il vicepresidente del Consiglio. Dopo aver ricordato le parole di Scalfaro e aver detto di condividere l'invito alla cautela del capo dello Stato, Veltroni ha tenuto a sottolineare come «le esigenze delle vittime vengano prima di ogni cosa. È chiaro che il problema del superamento dell'emergenza va affrontato - ha osservato il numero due del governo - ma questo, rispetto alla questione delle vittime, è secondario».
Duro anche il giudizio di Brutti (Pds): «Sbaglia chi sostiene che l'indulto agli ex terroristi è una equa distribuzione postuma delle ragioni e dei torti. Essi avevano ed hanno sempre avuto torto». Secondo il sottosegretario alla Difesa, «nel momento in cui lo Stato ha vinto è anche possibile pensare a diminuire le pene. Ma c'è qualcosa di inaccettabile nella discussione in atto, la contrattazione con gli ex terroristi. È uno schiaffo alla giustizia premiare i latitanti. È ripugnante, oggi come ieri, ogni indulgenza verso il terrorismo, verso chi uccideva a tradimento. È ripugnante - ha ripetuto Brutti - ogni atteggiamento di equidistanza».
Parole di fuoco sull'indulto pure dal presidente del Ccd. Secondo Clemente Mastella, «per rispetto ai molti che non hanno violato le leggi, ma soprattutto per il rispetto di chi si è visto ammazzare parenti strettissimi o colleghi o amici, sarebbe il caso di ripensare l'intera vicenda. Che dimostra una sola cosa: questo Stato - incalza il parlamentare del Polo - non rispetta i morti ed ignora i vivi». Nemmeno Rosario Priore, il giudice istruttore che sta conducendo l'inchiesta sull'abbattimento del Dc9 dell'Itavia su Ustica, è tenero: «Sono clemenze che ricordano ordinamenti di secoli scorsi e prassi di regimi assolutistici. Chi si determinò a compiere delitti politici, ben sapeva quali ne sarebbero state le conseguenze e deve perciò subirne le sanzioni». Per il magistrato, «quei crimini hanno ancora effetti sul modo di essere del nostro Paese. Il ventennio del terrorismo non si può annullare per decreto».
Il portavoce dei Verdi Luigi Manconi, sulla prima pagina dell'Unità, ha invece affermato che per gli ex terroristi non deve esserci «nessuna vendetta privata». Dopo aver ricordato che porta la sua firma l'unica proposta di legge che prevede più efficaci forme di risarcimento per chi è stato colpito dalla lotta armata, Manconi ha ammonito: il parere delle famiglie delle vittime sull'indulto «non può essere determinante». Manconi si è chiesto «come mai, improvvisamente, così tanti parlino delle vittime del terrorismo dopo averne ignorato o disatteso, per anni, le richieste, dopo che nulla hanno fatto per tutelarle». Ed ha avanzato il sospetto che «evocare le vittime sia un'operazione strumentale». Rossana Rossanda, sul Manifesto, ha scritto un articolo intitolato «Gli irriducibili di Stato» in cui se la prende con quanti (da Mattarella a Giovanni Moro, a tutti coloro che hanno parlato di «troppa fretta nella clemenza») e sostiene che «non è una storia da chiudere soltanto con gli ormai non più giovani protagonisti di allora: è una storia che il Paese deve chiudere con se stesso».