Il Corriere della Sera - 04 luglio 1997
IL FIGLIO DEL PRESIDENTE DC UCCISO DALLE BR
Giovanni Moro: forse vogliono aprire la strada al perdono per i tangentisti
di Giuliano Gallo
ROMA - Giovanni Moro ha pagato a caro prezzo il diritto di dire la sua in materia di terrorismo e di perdono. Ma è un diritto che non rivendica: «Preferisco poter parlare da cittadino». Su quello che sta accadendo attorno alla «chiusura dei conti», il figlio del presidente dc assassinato dalle Br è guardingo. E perplesso. «Vorrei aspettare di vedere bene cosa succede. Perché non è molto bello questo atteggiamento di lanciare un idea senza dargli una strutturazione precisa...».
Un’idea di massima però se la sarà già fatta.
«La cosa principale che mi sembra giusto dire, è mettere in guardia sui rischi che questa operazione può avere. Questa operazione ha certamente le sue ragioni, io non le metto minimamente in discussione. Poi ci sono molte situazioni personali. Che non sono di quelli che vanno sui giornali, o che tornano tra ali di folla... Però dei rischi penso che vadano sottolineati. Io me ne sono segnati quattro».
Fuori il primo, allora.
«Il primo è che si chiuda tutto quel capitolo senza avere tutta la verità. Mentre invece questa carta potrebbe essere giocata per fare luce su tante cose sulle quali ancora luce non c’e. Non mi riferisco solo alla vicenda Moro, su cui è quasi ridicolo parlare di punti oscuri. Ma ce ne sono altri, più o meno grandi. Un Paese in cui si arrestano i responsabili di piazza Fontana 28 anni dopo, dovrebbe pensarci bene prima di attuare una cosa del genere. Poi c'è il rischio rimozione, a livello di cultura generale».
Forse però questo è già accaduto...
«Si, forse è vero. Però poi cose come quelle possono sempre riaccadere. E allora bisogna contrastare questa tendenza. Non perché si debba vivere nell'incubo del passato, ma proprio per evitare di essere inseguiti dai fantasmi del passato. Fare i conti fino in fondo con quelle vicende proprio per quello che hanno da dire sul passato. Per i pericoli di cui ci possono mettere sull'avviso per il futuro».
Ma non le pare che questa voglia di rimozione sia già presente nella classe politica?
«C'è una tendenza semplificatrice, che io capisco ma non giustifico: è tutto chiuso, abbiamo fatto la transizione, abbiamo fatto la Bicamerale, abbiamo fatto le elezioni, entriamo in Europa... Temo che le cose siano molto più complicate. Non vorrei che questa vicenda sia un riflesso di questa fretta. Ma è un rischio da mettere nel conto. Il terzo è invece che si faccia un'operazione ad hoc per alcuni detenuti eccellenti, come Sofri, Negri e cosi via. E non si guardi invece alle situazioni realmente critiche. Senza dimenticare che tutte le persone condannate per il caso Moro sono in giro...».
L'ultimo rischio?
«È forse il più agghiacciante. Ho letto dichiarazioni secondo le quali attraverso questa grazia o indulto che sia si apra la strada a un analogo provvedimento per Tangentopoli. E questa è una cosa allucinante».
Tutto questo è politica. Ma c’e uno strato di sofferenze umane del quale nessuno parla mai. Il dolore ognuno lo tiene per Sé.
«Io accetto che sia così, non pretendo che sia diversamente. I pericoli li sottolineo come cittadino, non come parte offesa. Possiamo anche fare del nostro dolore spunto di riflessione, se ci riusciamo. Ma capisco che certe cose è meglio che io le dica come cittadino, che non come parte in causa. Anche per evitare che si pensi che le dica per un desiderio di vendetta».