Il Corriere della Sera Lunedì, 4 agosto 1997
Gianluca Di Feo,
«La commissione giustizia e spesso l'intero Parlamento sono lontanissimi dalle polemiche che divampano sui giornali: non c'è quello scontro politico che dall'esterno sembra caratterizzare le questioni della giustizia. Ma non so se da settembre sarà la stessa cosa».
Quella che descrive Giuliano Pisapia sembra un'età dell'oro: una commissione giustizia dove deputati di partiti differenti si confrontano su problemi concreti con serenità e riescono a trovare soluzioni equilibrate ai gravi problemi della giustizia civile e penale. Una utopia, rispetto alla violenza che sembra animare i dibattiti in materia. «Per un anno abbiamo lavorato in un modo ideale», dice Giuliano Pisapia, «lo testimoniano i numerosi provvedimenti che abbiamo varato».
Ci può spiegare la vostra formula magica?
«La commissione è composta per lo più di esperti, avvocati e magistrati, provenienti da esperienze e regioni diverse. Ma siamo sempre riusciti a dialogare e risolvere questioni che da decenni sembravano destinate a rimanere lettera morta».
Il segreto sarebbe quello di lasciare la giustizia nelle mani dei tecnici?
«Non sempre. Ci sono grandi temi su cui il confronto in aula è fondamentale. Poi purtroppo il tema della giustizia è stato strumentalizzato per fini che nulla hanno a che fare con la giustizia. Ma questo in commissione finora non è mai avvenuto».
Ma sull'indulto ci sono state polemiche?
«Quel provvedimento avevamo il dovere istituzionale di esaminarlo in quanto vi erano cinque proposte di legge di gruppi diversi, più o meno dello stesso tenore. Ora sarà il Parlamento a decidere i tempi dell'esame in aula».
In ogni caso ci sono state perlomeno tensioni sui temi della giustizia...
«La virulenza dei toni non ci ha certo aiutato. L'attività parlamentare è stata costantemente bersagliata: ci hanno diviso in "garantisti" e "giustizialisti", secondo una geografia politica abbastanza confusa... Lo ripeto, noi abbiamo vissuto in un clima diverso. Salvo poi provare delusione per come il frutto del nostro lavoro veniva talvolta trattato dai mass media».
In che occasione?
«Quando la Camera dei deputati ha approvato la depenalizzazione dei reati minori, che non significa affatto impunità ma una immediata sanzione amministrativa più celere ed efficace che lunghi processi destinati a finire in prescrizione. Ebbene, ben pochi hanno sottolineato l'importanza di questo provvedimento, che era richiesto a gran voce da tutti gli operatori del diritto, e che è uno strumento fondamentale per permettere alla magistratura di intervenire più celermente e più incisivamente nei confronti dei reati più gravi, o che creano un reale allarme sociale. Per giorni e giorni invece s'è parlato solo di un emendamento, peraltro respinto, che prevedeva la depenalizzazione del finanziamento illecito dei partiti».
Ma non sarà che si è creato un distacco tra la Commissione, le Camere e la gente? Voi discutete di garantismo mentre a dominare le elezioni comunali è stato il tema dell'ordine pubblico...
«Non credo. Abbiamo operato per approvare riforme per rendere più efficace anche la lotta alla criminalità. Basta pensare alle nuove norme antiracket, a quelle che permetteranno il sequestro dei beni dei boss mafiosi, agli incentivi per i magistrati che si trasferiscono nelle sedi disagiate e alle videoconferenze che porranno fine al "turismo giudiziario" dei boss mafiosi. Vi sono poi altre leggi, già approvate, di cui si è parlato troppo poco...».
Ad esempio?
«Le sezioni stralcio per i giudizi civili. Oggi prima di chiudere una causa passano una decina di anni: a Milano le udienze vengono rinviate al 2001. Invece verranno assunti mille tra avvocati, ex magistrati e docenti universitari con il compito di smaltire le pratiche arretrate. Si tratta di due milioni di fascicoli, che interessano almeno sei milioni di persone. Non ci sono alternative: o si trovano soluzioni eque e garantiste oppure la giustizia non uscirà dalla situazione di bancarotta in cui si trova».