Il Corriere della Sera                                                              Lunedì, 4 agosto 1997

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IL PORTAVOCE DEI VERDI FAVOREVOLE AL PROVVEDIMENTO

Manconi: più coraggio, Veltroni. Bisogna saper essere impopolari

«Violante è coerente. Ma Walter non lo capisco: in passato era più che possibilista». «Ora il Ppi è contrario ma tra i primi a battersi in favore ci furono degli ex dc»

Antonio Macaluso

ROMA - Violante e Veltroni. Veltroni e Violante. Li legge, li cita, li ricorda soprattutto, e si infiamma. Il portavoce dei Verdi Luigi Manconi non condivide, non accetta quasi la frenata impressa sul fronte indulto dal presidente della Camera e dal vicepresidente del Consiglio.

Per la verità, frenano in tanti, non solo loro.

«In effetti la posizione di Violante è coerente. Dopo il suo discorso di insediamento alla presidenza della Camera, scrissi sull'Unità una lettera aperta in cui gli chiedevo di prendere in considerazione anche gli ex terroristi. Violante disse di condividere lo spirito dell'iniziativa pur ritenendo prioritario verificare quanto fatto in favore delle vittime».

E Veltroni?

«Se non sbaglio in più di una circostanza Veltroni aveva espresso giudizi più che possibilisti nei confronti di un tale provvedimento. Mi colpisce, dunque, quella che sembra essere una vocazione ad evitare parole e atti che possano risultare impopolari. Una classe politica degna di questo nome, che voglia operare nel senso della trasformazione, deve avere il coraggio di misurarsi anche con gli umori e i sentimenti collettivi, di entrare in dialettica forte con essi e accettarne la critica e la contestazione. Ma non può subirle se in gioco sono valori importanti. E qui in gioco ci sono principi entrambi meritevoli di protezione: quello fondamentale della memoria collettiva e della tutela delle vittime è non facilmente conciliabile con un atto di giustizia come l'indulto. È un tragico dilemma, ma va affrontato».

Intorno a questi due valori si sono creati due partiti.

«Sì, ma io e coloro che sostengono l'indulto non siamo "dalla parte" dei colpevoli. Non chiediamo un trattamento privilegiato per essi, tantomeno diciamo che esiste un diritto all'indulto, assolutamente no. Constatiamo che questi detenuti, colpevoli di crimini orrendi, subirono un trattamento sfavorevole sul piano dibattimentale e su quello delle pene. A distanza di vent'anni è possibile e, io ritengo, opportuno, riequilibrare quel trattamento nel senso della equità. Ovvero, togliendo alle sanzioni quell'aggravio di pena che le leggi speciali comportavano. L'indulto questo significa: togliere tutto ciò che ci fu di straordinario».

Indulto, dunque, non amnistia.

«Indulto. Perché, a differenza dell'amnistia, non cancella il reato, lasciando inalterata la sanzione morale e la possibilità di memoria. Non si azzerano le responsabilità. Si interviene solo sulla misura delle sanzioni».

Quindi sbaglia Giovanni Moro quando sostiene che lei considera più importante il punto di vista dei colpevoli che quello delle vittime e le affibbia «il vizio di delimitare la partita ad uno scontro tra lo Stato e i suoi nemici»?

«L'atteggiamento di cui parla Moro è stato proprio di un Paese come la Germania, che è andato a una conciliazione tra lo Stato e i suoi nemici, una sorta di reciproco disarmo, dopo la vittoria dello Stato. In qualche modo è accaduto anche negli Stati Uniti con le "pantere nere". Da noi è diverso. Non è una partita giocata tra nemici già armati che, finita la guerra, restituiscono i rispettivi prigionieri. Non mi sembra che i cittadini siano tenuti fuori dal dibattito».

Ma rimane, dice Moro, la logica delle leggi dell'emergenza.

«No. Il provvedimento particolare che oggi può esser preso ha il solo scopo di rimuovere un trattamento sfavorevole non di assegnare uno status privilegiato. Tanto più che i terroristi sono stati esclusi dai provvedimenti di amnistia e di condono che si sono succeduti in questi anni».

Perché ci sono tante resistenze?

«Forse per la sensazione collettiva che la verità non sia stata raggiunta. Credo che più ancora del problema dei familiari delle vittime ciò che brucia la sensibilità collettiva, che la rende così iper-reattiva e allarmata, è il timore che un provvedimento di indulto non aiuti a raggiungere la verità. Ma qui c'è un equivoco grave perché la verità non possono offrirla quelli che magari da vent'anni stanno in galera. In primo luogo i residui misteri restano da addebitare a settori dell'apparato dello Stato».

Uno dei nodi del dibattito sono proprio le vittime. Non ritiene, come ha osservato sul Corriere Giovanni Belardelli a proposito del suo articolo apparso sabato sull'Unità, di avere per loro una comprensione insufficiente?

«Il solo disegno di legge presentato al Senato in favore delle vittime è a mia firma, come quello per l'abolizione del segreto di Stato. Figuriamoci se il soggetto vittime sia da considerare come gli altri. Ma non credo che il loro parere debba essere determinante. Non si può negare l'indulto perché Toni Negri parla troppo o è antipatico oppure, come sostiene giustamente Cacciari, da una lettura errata di Spinoza. Mi rifaccio ancora alle parole di Giovanni Bachelet: se lo Stato lo reputa giusto dal punto di vista civico, si deve dare».

Ma come se ne esce, visto che nella maggioranza il Ppi ha sparato a palle incatenate contro l'indulto?

«Vorrei ricordare che il senatore Monticone, popolare, ha firmato il mio disegno di legge e che i primi a battersi per l'indulto sono stati ex dc come Flaminio Piccoli e Roberto Formigoni. Questo segnala che le contraddizioni sono acute, come è giusto che siano, e che attraversano tutti i partiti».

E allora?

«Ci batteremo. Certo non posso chiedere all'Ulivo di essere fedele a una promessa perché nel suo programma l'indulto non c'è. Comunque, il problema taglia trasversalmente i partiti. Ci sono pareri diversi anche in An. Ascoltare i sentimenti dei cittadini è fondamentale per la politica, ma è anche doveroso misurarsi. E non barare: è falso dire che con l'indulto si liberano tutti subito. Esempio: un detenuto arrestato nell'82 all'età di 28 anni e condannato all'ergastolo uscirebbe nel 2003 a 49 anni. Non aggiungo altro».

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