Corriere della Sera - 27.12.97
di Giuliano Gallo
ROMA - «Io credo che in questi casi si debbano valutare le singole posizioni. I provvedimenti valutati individualmente creano anche meno problemi dal punto di vista etico. Perché è vero che in uno Stato di diritto non debbono essere i familiari delle vittime a condizionare l'applicazione delle leggi, però è chiaro che se si tratta di ex terroristi che non si sono macchiati di reato di sangue, è un conto. Ci sarebbero dei problemi in più invece nel prendere in considerazione altri casi». Nando Dalla Chiesa, deputato dell'Ulivo, sociologo e scrittore, non si stupisce né si scandalizza per la grazia di Natale concessa da Scalfaro a sei ex terroristi di medio calibro.
Adesso qualcuno dice: bene i provvedimenti di grazia, ma è ora di varare un indulto.
«Il provvedimento per tutti lo vedo difficile, per tante ragioni. Perché chi è entrato nel vortice del terrorismo negli anni Settanta può avere un'attenuante. Magari perché aveva diciotto anni, e c'era un clima politico che lo "risucchiava". Per chi lo ha fatto negli anni Ottanta, è molto diverso. Il clima politico può giustificare una parte dei comportamenti, una parte delle situazioni. Ma difficilmente i fatti di sangue possono essere cancellati. È giusto comunque che i singoli comportamenti vengano esaminati in modo dettagliato».
Alla vigilia di Natale il presidente della Camera aveva pronunciato la parola proibita, «amnistia». Due giorni dopo, questi provvedimenti di grazia.
«È difficile non vedere un nesso fra le due cose, se non altro temporale. Certo, io riesco ad immaginare uno Scalfaro cattolico che firma la grazia sotto Natale, come gesto di perdono. Di generosità dello Stato. Violante invece parlava d'altro, di altri reati. Anche se è vero che c'è un gruppo di esponenti della politica che facilmente mette in comunicazione un'amnistia su un versante con un'altra amnistia su un altro... Confesso che spesso in Parlamento sento combinare le due cose».
E secondo lei è praticabile questo doppio binario?
«Francamente è inaccettabile. Sarebbero i due opposti che si saldano in una pretesa di impunità. Sono due cose di cui si può discutere, ma se ne deve discutere tenendo separata una dall'altra. Senza fare la saldatura. Sennò diventa veramente la saldatura dell'impunità. Non è un problema di valutazione storica del terrorismo: se è finito, come regolarsi, che tipo di atteggiamento assumere, se eliminare gli inasprimenti previsti dalle leggi speciali dell'epoca. Io concordo con l'ipotesi che fece il pm di Milano Gherardo Colombo nel '92: confessate entro un certo numero di mesi, andatevene dalla politica e restituite tutto. Uno può discutere di questi problemi, però separatamente. Perché se no non è più una valutazione realistica o storica di una situazione, ma è una saldatura di pretese di impunità».
Quindi non c'è un legame sotterraneo tra il discorso di Violante e le grazie di Scalfaro?
«Mi sembra estraneo alla logica che ha seguito Scalfaro fino a questo momento. Anche perché è evidente che le grazie non sono nate in due giorni. C'è voluto tempo per istruire le singole pratiche, per scegliere le persone: sarebbe difficile selezionare dei casi "mirati" in poco tempo».
Del resto Scalfaro da più di un anno parlava della necessità di chiudere i conti con il terrorismo.
«Credo che quello delle posizioni individuali alla fine riesce ad essere più compatibile con le diverse istanze di giustizia: dello Stato e della sua legislazione, dei familiari delle vittime e anche delle biografie delle singole persone».