Corriere della Sera- 28.12.1997

WB01343_.gif (599 bytes)


IL GIUDIZIO DEI NUOVI INNOCENTI

NUOVI INNOCENTI

di GIULIANO ZINCONE

La grazia presidenziale somministrata ai terroristi si riduce, in realtà, a piccoli sconti di pena per sei delinquenti politici che non spararono mai a nessuno. Questo minuscolo gesto di clemenza, però, ha forti contenuti simbolici. Si celebra, in questi giorni, il cinquantesimo anniversario della Costituzione repubblicana, è imminente la fine del millennio, che sarà accompagnata dal solenne Giubileo del Duemila.

In ogni Paese del mondo, simili eventi vengono festeggiati anche con amnistie e indulti, cioè con la liberazione di alcuni carcerati. È prevedibile (ed è normale), dunque, che l'iniziativa di Scalfaro sarà seguita da altri provvedimenti graziosi.

Ma qui incomincia la tempesta dei sentimenti, madre di spaventose confusioni. I parenti delle vittime esprimono amarezza per gli sconti ai sei banditi e mostrano d'ignorare che quasi tutti i terroristi omicidi godono di libertà totali (se hanno fatto le spie) o di semilibertà consistenti, se non sono «irriducibili».

Le forze politiche e i gruppi di pressione organizzati invocano (per analogia!) indulgenze per i ladri di Tangentopoli, oppure per i «Serenissimi» guerriglieri che assaltarono San Marco, oppure per tutti i brigatisti e per i delinquenti comuni. Nel frattempo, la scuola di pensiero presieduta da Luciano Violante decide di restituire l'onore morale e politico ai combattenti repubblichini di Salò e ai loro discendenti.

I postfascisti, postcomunisti, e i postdemocristiani, infine, si legittimano a vicenda: si perdonano, si capiscono e si incontrano, nel castello delle abiure incrociate.

Questo orribile calderone morale e politico rischia di disorientare gravemente l'opinione pubblica. Bisogna chiarire, innanzitutto, che mettere in libertà i colpevoli non significa affatto «perdonarli». In carcere o fuori, i ladri rimangono ladri, e gli assassini rimangono assassini. Non cambiano i giudizi sui loro crimini, non cambia la condanna dell'opinione pubblica nei loro confronti. Dal punto di vista politico, è stata già emessa una sentenza capitale contro i delinquenti d'ogni risma.

Ma, poi, è indispensabile distinguere. Non tutte le colpe sono uguali, non tutti gli indulti (le grazie, le amnistie) sarebbero uguali. C'è una doppia differenza, secondo me, tra gli assassini terroristi che uccidevano per rovesciare la nostra democrazia e i ladri tangentisti che corrompevano per acquistare poteri e ricchezze.

La prima differenza è evidente: la stagione del terrorismo è chiusa, i cosiddetti rivoluzionari sono stati sconfitti, mentre la stagione delle tangenti faceva parte di un sistema consolidato, che (allora) sembrava normale, e che non è ancora estinto.

La seconda differenza è più difficile da comprendere, perché riguarda la (presunta) buona fede dei delinquenti: i terroristi, uccidendo, ritenevano di conquistare nuove forme di giustizia, i tangentisti, rubando, ritenevano di difendere le libertà esistenti, che coincidevano, secondo loro, con i successi dei propri partiti, delle proprie correnti e delle proprie carriere.

Chi perdoneremo? Proprio nessuno. Possiamo augurarci che le leggi d'emergenza (le pene eccessive per i sovversivi) vengano attenuate o sospese. Possiamo esigere che la nostra società civile e politica si sottragga all'imperio asfissiante dei tribunali. Possiamo accettare indulgenze e clemenze nei confronti dei carcerati.

Ma il disprezzo per i delinquenti rimane, anche se non s'identifica necessariamente con le manette. E rimane, alta e forte, la necessità di distinguere: chi ammazzava la gente per imporre una dittatura comunista o fascista, non assomiglia a chi estorceva soldi per allestire il congresso di un partito democratico o (perfino) per comprarsi un appartamento.

Allo stesso modo, non è lecito mettere sullo stesso piano la legittimazione dei «ragazzi di Salò» alleati dei nazisti, e (l'ipotetica) amnistia per i tangentisti. A questo progetto si ribellano per primi due protagonisti della famigerata «Prima Repubblica». Paolo Cirino Pomicino, l'ex ministro, chiede di essere processato, e non accetta «l'amnistia, che inchioderebbe la politica democratica di questo Paese a uno scenario criminale, falso e bugiardo». Cioè: a un «perdono» simile a quello concesso ai repubblichini. Sergio Cusani, il faccendiere carcerato, non vuole indulgenze e dichiara che, ben prima di lui, dovrebbero essere liberati gli extracomunitari e i drogati che affollano le galere.

Nessun perdono, insomma. Però è curioso che tanti «perdonatissimi» ex fascisti, ex comunisti, ed ex democristiani si arroghino il diritto di giudicare le persone che (in politica) non hanno proprio niente di cui vergognarsi: i liberali, i socialisti, i socialdemocratici, i repubblicani, tutti i laici che si sono sempre opposti alle dittature e ai fondamentalismi. Gli antichi complici (ignari?) dei lager, dei gulag, dei ghetti e dei roghi sono diventati candidi, insomma. Ciò è positivo. Ma è anche buffo aspettarsi il perdono da questi nuovi innocenti.

WB01343_.gif (599 bytes)