Il Corriere della Sera                                                             29 ottobre 1997

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Decisione a sorpresa del Capo dello Stato che da Sofia invia una lettera ai presidenti di Camera e Senato

Scalfaro: «Impercorribile la grazia a Sofri»

E indica un possibile indulto: «In Parlamento la strada per superare queste dolorose vicende»
Marzio Breda

DAL NOSTRO INVIATO

SOFIA - Pallido e teso, Scalfaro ha l'aria di chi fa uno sforzo per concentrarsi sui rapporti italo-bulgari oggetto della conferenza stampa congiunta con il collega di Sofia. La transizione dei Paesi ex comunisti? Il loro passaggio sotto le insegne Nato? L'ingresso in Europa? Il «corridoio numero 8» per collegare Brindisi col Mar Nero? Macché! Deve avere ben altro per la testa, il capo dello Stato, visto che in questo preciso momento a Roma dilaga un'altra (ben più scottante, per i media e per la politica) questione: la grazia a Sofri. Provvedimento che il Quirinale ha appena fatto sapere, con una lettera affidata per la divulgazione ai presidenti di Camera e Senato, è «impercorribile». Perché, smentendo una sentenza pronunciata da troppo poco tempo, configurerebbe un atto di giurisdizione alternativa, un quarto «grado di giudizio che non esiste». Meglio dunque di quel passato che non passa si occupi il Parlamento, studiando la praticabilità di un indulto per i terroristi sconfitti.

È un «no» che, oltre a oscurare come un'eclissi la sua visita in Bulgaria, rompe l'assedio stretto attorno al colle dai contrapposti «partiti» degli innocentisti e dei colpevolisti. Tra appelli, petizioni, proclami di solidarietà (tra cui quello di 220 deputati, schierati con la famiglia Calabresi), su Scalfaro si è concentrato un peso enorme di aspettative. Alle quali si sottrae, evitando anche i cronisti impietriti tra le lapidi e i sarcofagi del museo di Sofia: «Non ho preso alcuna decisione, sul signor Sofri. Leggetevi la mia missiva».

Leggiamo, quindi. Dalla prima lettera di Oscar Luigi ai Romani (intesi come politici): «In questi giorni è ripreso il dibattito nella ricerca di una via che possa condurre a un riesame giusto e umano delle dolorose pagine del terrorismo...». Poi, il presidente cita se stesso, nel messaggio che inviò alle Camere il 2 giugno '96: «Con il passar degli anni il delitto non muta né nome né sostanza e la giustizia verso le vittime, e chi ne ha sofferto e ne soffre, merita rispetto. Ma lo Stato democratico, se vuol essere ricco di umanità, non può non fermarsi per cercare una via che non abbia i caratteri della generalità, ma valutando con intensa cura le singole situazioni, sia idonea a tutelare quei diritti, senza mai spegnere la speranza».

Già dall'esegesi di queste righe si coglie, in nuce, quel che Scalfaro pensa sulla scarcerazione dei reduci del partito armato. Ossia: 1) non è possibile un'amnistia, provvedimento generalizzato e che cancellerebbe i reati commessi; 2) è invece possibile un indulto, purché mirato a un gruppo preciso di detenuti e condizionato a particolari criteri. Ora, la clemenza chiesta per Sofri, Pietrostefani e Bompressi, in quanto invocata per «più persone», «costituirebbe di fatto un indulto improprio, invadendo illecitamente la competenza che la Costituzione riserva al Parlamento». Mentre «solo un numero del tutto limitato di situazioni individuali e ciascuna con caratteristiche singole e peculiari, potrebbe consentire l'esercizio del potere di grazia».

Insomma: tre grazie sono troppe, perché il Quirinale possa firmarle tutte insieme (principio che però non valse per i ventiquattro irredentisti sudtirolesi, cui il Capo dello Stato restituì i diritti civili un paio d'anni fa). Quel che si può fare, aggiunge, è verificare se ci sono le condizioni per un trattamento carcerario più umano (e a questo scopo informa d'aver invitato il Guardasigilli ad aprire un'istruttoria «per un numero limitato di casi»).

In ogni caso bisogna far attenzione, insiste il Presidente: «La pena ha anche carattere afflittivo e non esclusivamente di recupero sociale del condannato» (quindi chi ha compiuto un delitto almeno un po' deve pagare); «le sofferenze delle vittime innocenti non debbono mai esser dimenticate, ma certo non è contro i valori della giustizia» fare in modo che «nei casi meritevoli» (ma Sofri, per Scalfaro, è meritevole?) si faccia spazio «gradualmente a un ritorno nella società».

«La via per superare queste dolorose e sofferte vicende della nostra storia può essere trovata» in Parlamento, sentenzia il Capo dello Stato in una lettera che resterà agli atti per le molte, forse troppe, condizioni che pone. Occorre comunque «una volontà politica capace di raccogliere il consenso indispensabile»: un invito che ricalca quello, ripetuto fino alla nausea, per le riforme istituzionali: ci vogliono maggioranze enormi, per temi così delicati. Maggioranze che oggi ancora non ci sono, per cui a Sofri converrà ripensarci bene, sul digiuno di protesta. Nella speranza che intanto produca effetti il soccorso di quanti usano le parole quirinalizie come sponda per ottenere la revisione del processo.

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