Il Corriere della Sera 29 ottobre 1997
Roberto Delera
DAL NOSTRO INVIATO
PISA - La lettera di Scalfaro ai presidenti di Camera e Senato? Sembra non riguardarlo. «Non ho alcuna opinione sulle argomentazioni che il capo dello Stato adduce e delle quali è evidentemente persuaso». Così, pacato e asciutto, un Adriano Sofri all'ottavo giorno di sciopero della fame commenta dal carcere lo stop alla grazia arrivato ieri mattina dal Quirinale.
Come nessuna opinione... Sofri, stiamo parlando della sua grazia.
«Alla lettera: la grazia è la cosa più personale e insindacabile che ci sia. A una richiesta di grazia si può rispondere con un sì o con un no. Scalfaro ha detto no. Non ha alcun senso esprimere pareri, tantomeno da parte nostra che non abbiamo fatto nemmeno domanda di grazia».
Però ci speravate...
«Francamente no, e non è il discorso della volpe e dell'uva, lo possono testimoniare tutti quelli, e sono moltissimi, che ci hanno frequentato in questi nove mesi».
Ci speravano però i vostri amici.
«Questo sì. Noi abbiamo vissuto tenendoci in disparte, ma con grande gratitudine e ammirazione, questo infaticabile lavoro di tante persone per la grazia. Noi abbiamo passato scomodamente in cella questi ultimi nove mesi, ma loro li hanno trascorsi allestendo tavolini, raccogliendo firme, parlando, spiegando. E le poche sere libere che avevano le hanno spese guardandosi negli occhi e chiedendosi: servirà?».
Non è servito.
«È per loro che sono molto dispiaciuto. Loro, a differenza di noi tre, attribuivano alla grazia molta più importanza e ci avevano sinceramente creduto. Guardi, dopo aver appreso la notizia dai telegiornali io, Bompressi e Pietrostefani ci siamo preoccupati soltanto per i più giovani. I figli dei nostri amici, i ragazzi che senza conoscerci si sono buttati in questa campagna, credendoci. I giovani che si battono per una causa confidano nella riuscita del loro impegno. Se poi si vedono arrivare addosso un rifiuto in modo così brusco, ricevono una brutta delusione che può far loro molto male. Gli può far credere che il mondo è cattivo e cinico... Cosa per altro vera, ma vale sempre la pena di non crederci fino in fondo, soprattutto quando si è ragazzi. Insomma, se potessi stasera starei con loro, in allegria. Almeno sappiano che noi tre non siamo tristi. Ora che la vicenda della grazia si è chiusa vorrei ringraziare una persona (non potrei citare tutti quelli che ci sono stati amici, dovrei risottoscrivere tutti i moduli con le 180 mila firme raccolte). Si tratta di Ettore Gallo (ex presidente della Corte costituzionale, ndr), che si è molto battuto per noi».
Ma domani cosa succederà?
«Continuiamo a batterci contro il carcere insieme a molti altri, cosa di cui siamo felici, perché per la prima volta siamo seguaci in una lotta e non promotori. Anche se, per la nostra famigerata fama, le lotte di Rebibbia sono in appendice al nostro caso. Di questo ce ne scusiamo con tutti i carcerati. Ma se noi possiamo servire per far conoscere le loro rivendicazioni, invitiamo tutti i detenuti italiani a servirsi di noi».
Sì, mai voi tre?
«Continueremo a batterci contro la nostra carcerazione. Continueremo a batterci per la revisione del nostro processo, perché la nostra vicenda processuale grida vendetta al cielo. Ma temo che la revisione sia tanto giusta quanto improbabile. Non solo perché questa ultima vicenda insegna a diffidare, ma costituisce forse l'ostacolo più forte alla riapertura del nostro processo».
Nella sua lettera Scalfaro, però, rimanda tutto al Parlamento.
«Scalfaro nella sua lettera parla di terrorismo. E il terrorismo mi riguarda, ma solo perché non ho mai avuto niente a che farci. Anzi, mi sono sempre e molto battuto contro tutti i terrorismi. Scalfaro parla di indulto. E l'indulto non ci riguarda né ci può riguardare. Spero solo che il rifiuto della nostra grazia faccia approvare in fretta l'indulto al Parlamento. Un provvedimento necessario, non solo ai detenuti ai quali verrà applicato, ma anche a tutta l'Italia, a tutta la società civile. Necessario da almeno vent'anni, da quando si è chiusa quella sciagurata partita».