Il Corriere della Sera Mercoledì, 30 luglio 1997
Dino Martirano
ROMA - In poco meno di due ore, la commissione Giustizia della Camera ha approvato in sede referente gli otto articoli che compongono il testo unificato sull'indulto per gli ex terroristi. Il provvedimento di clemenza (che condona in tutto o in parte le pene inflitte durante gli anni di piombo, escludendo solo il reato di strage: quindi i «neri» Mambro e Fioravanti) ha così superato il primo ostacolo: la proposta di legge dovrà ora affrontare la verifica degli Affari Costituzionali, poi un nuovo passaggio in commissione Giustizia e infine la prova decisiva nelle aule di Montecitorio e di Palazzo Madama che saranno chiamate a votare con una maggioranza dei due terzi. Un percorso lunghissimo, dunque, che inizierà a settembre.
Ma è bastato il primo «sì» all'indulto, in ballo ormai da quattro legislature, per scatenare uno scontro tra Polo e Ulivo e nuovi attriti nella maggioranza. I popolari non considerano ancora chiuso il capitolo della lotta armata e di conseguenza annunciano fin da adesso una «opposizione durissima»: «Sia chiaro - avverte Antonio Borrometi - che con il nostro voto contrario questo testo non ha alcuna possibilità di passare neanche in commissione». E anche i deputati di Rinnovamento italiano non sono affatto convinti «dei metodi e dei tempi» dell'operazione. Così, davanti all'ennesimo «no» degli ex democristiani che oggi sono parte integrante dell'Ulivo, Pietro Folena del Pds chiede di non drammatizzare perché, spiega, «l'indulto non è un colpo di spugna»: per questo, il responsabile del settore Giustizia della Quercia annuncia che presto vedrà la luce anche un provvedimento «altrettanto chiaro e incisivo» a favore delle vittime del terrorismo. Ma intanto arriva la protesta dell'Associazione dei familiari delle vittime del terrorismo, con il presidente Maurizio Puddu che dichiara: «Non credano di poter usare i morti del terrorismo come merce di scambio per i loro compromessi politici».
L'improvvisa accelerazione c'è stata ieri mattina alle 9.30 quando in commissione Giustizia erano presenti poco più di un terzo dei deputati. Un guizzo che Alfredo Mantovano (An) ha definito «un vero colpo di mano... perché è stato ripreso l'uso della Prima Repubblica di confezionare indulti e nuove tasse in periodo pre-ferragostano». Ma il presidente della commissione, Giuliano Pisapia (Prc), spiega che il dibattito dura quasi da un anno: «È un provvedimento sul quale discutiamo dal settembre '96... ed è l'unico per il quale è stato fissato un termine di un mese per gli emendamenti».
Comunque siano andate le cose, il fronte che si oppone all'indulto si è trovato spiazzato a causa di molte defezioni. Nonostante il voto contrario del Ppi e l'assenza di Rinnovamento, l'Ulivo è infatti riuscito a far approvare in velocità il testo unico preparato da Nichi Vendola (Prc) che sintetizza cinque proposte di legge presentate a suo tempo da alcuni parlamentari di Alleanza nazionale, Pds, Rifondazione e da Paolo Cento dei Verdi. E alla fine, gli otto articoli hanno superato il primo scoglio: l'ergastolo viene ridotto a 21 anni, le pene oltre i 10 anni diminuite a 5 anni, quelle inferiori ai dieci sono dimezzate, quelle per banda armata e associazione sovversiva sono interamente condonate se il detenuto non ha subìto altre condanne per reati specifici. L'indulto si applica per le pene aggravate negli «anni di piombo» (per le finalità terroristiche contro lo Stato ed eversione dell'ordinamento costituzionale). È valido solo per i reati compiuti fino al 24 ottobre dell'89 e coinvolge circa 220 ex terroristi, di sinistra e di destra.
Ma il cammino dell'indulto è tutt'altro che in pianura. Sull'articolo 6 lo scontro è stato durissimo: un emendamento di Forza Italia, che mirava a rendere più rigidi i tempi per la concessione dei benefici carcerari (escludendo dal computo dei tempi i periodi trascorsi in libertà dal detenuto) è stato bocciato, 15 contro 16, con il voto determinante dell'azzurra Tiziana Maiolo che si è schierata con l'Ulivo. Apriti cielo: Cdu, Ccd, Fi e An hanno tirato in ballo Toni Negri e hanno accusato la maggioranza di aver confezionato un norma «ad hoc» per l'ex leader di Autonomia operaia. «La parola latitante - spiega Mantovano - non è menzionata nel testo, quindi la norma è ambigua...». La replica di Pisapia è categorica: «Lo escludo. Si può essere d'accordo o meno con quella norma, ma è certo che l'articolo 6 esclude tutti i latitanti». Aggiunge Nichi Vendola: «Negri non c'entra, tanto più che lui, con le leggi e i benefici attuali, dovrebbe uscire nel giro di sei mesi».
Eppoi c'è un altro fronte che sta per aprirsi. Visto che Alfonso Pecoraro Scanio (Verdi) ha già alzato la guardia affermando: «Nessuno giochi sporco dicendo "hanno fatto l'indulto per gli ex terroristi, ora ci vuole clemenza per i corrotti". La corruzione infatti è fenomeno tuttora esistente...».