Il Corriere della Sera                                                             Mercoledì, 30 luglio 1997

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FAVOREVOLE

Nordio: una scelta umana

«Bisognava incriminare non i ragazzi ma i falsi profeti»

«E poi serve anche per Tangentopoli e falso in bilancio»

P. Fosc.

MILANO - Negli ultimi anni, forse, si era abituato a sentirsi citare più che altro così: "Carlo Nordio, il pm veneziano delle tangenti rosse...". In questi giorni però, ogni volta che apre i giornali e legge di indulto per i terroristi, stringe gli occhi e fa un tuffo nel passato: «Sulle vicende di Brigate Rosse - dice - io sono parte in causa. È lì che ho conosciuto Caselli e Vigna, è allora che ricevevo a casa le minacce con la stella a cinque punte. Avevo 30 anni, è stata un'esperienza importante, la ricordo con emozione. Tuttavia...».

Tuttavia?

«Tuttavia credo che tutti i fenomeni, quando assumono connotati così estesi, devono essere guardati più con occhio da storico che da criminologo: lo avevo già detto per Tangentopoli, e ora lo dico per il terrorismo».

Capitoli chiusi?

«Parliamo prima del terrorismo. Se in un certo periodo della storia d'Italia molte migliaia di ragazzi hanno preso le armi in mano, la questione non può essere liquidata come un fatto di criminalità. E certo, da questo punto di vista, avrebbero dovuto essere incriminati in modo più severo i falsi educatori, i falsi profeti della lotta di classe. Ma se tutto questo è vero, e io credo che lo sia, allora è giusto che oggi si cerchi per il terrorismo una soluzione più ragionevole e umana».

E i parenti delle vittime?

«Infatti: l'unico limite da porre alla "soluzione politica" di quel periodo riguarda gli autori materiali dei fatti di sangue, per i quali si possono adottare solo atti di clemenza individuali. Subordinati al consenso dei parenti delle vittime. Detto questo, però, ribadisco che quello del terrorismo è un periodo da valutare con occhi "storici". Come Tangentopoli, del resto».

Così uguali, lei dice?

«Beh, gli anni di piombo sono finiti e Tangentopoli no: la corruzione c'è ancora. Quello che voglio dire è che, come il terrorismo, Tangentopoli era un fenomeno così esteso da non essere gestibile in termini solo giudiziari: sono state scoperte meno del 5 per cento delle tangenti, e questa è la prova che l'arma penale da sola è inadeguata. Per questo ha ragione Valiani».

Lei crede?

«Sì. E con quello che dice il senatore Valiani, tengo a precisarlo, sono d'accordo da tempo. È un padre della Patria, non è mai stato un "buonista", e parla come un politico saggio: se si tirano fuori di prigione i terroristi, non si può lasciar dentro chi ha pagato una mazzetta o alterato un libro contabile».

Sta dicendo che concorda con Valiani anche sulla revisione dei falsi in bilancio?

«Dico che bisogna discuterne. Non per depenalizzarli: si tratta dei tipici reati compiuti come primo passo per commetterne altri, dall'evasione fiscale al pagamento di tangenti, e quindi sono reati gravi. Ma è anche giusto dire che, in Italia, i bilanci truccati ce li hanno 99 imprese su 100. E dunque non si può fare di ogni erba un fascio: per una azienda che fattura 10 mila miliardi all'anno, e a cui vengono trovati 100 milioni di fondi neri, mettere in piedi un processo penale è non solo sbagliato ma anche inutile».

Questo per il futuro. Ma per i processi già in corso?

«Si potrebbe adottare una sorta di amnistia condizionata: una depenalizzazione, in sostanza, ma sobordinata al pagamento di una congrua penale».

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