Il Corriere della Sera                                                             Giovedì, 31 luglio 1997

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L'EX LEADER DI POTERE OPERAIO

Scalzone: norma decente, va estesa a Mambro e Fioravanti

Enrico Caiano

MILANO - «Penso che sarebbe maturo un provvedimento ben più incisivo di quello approvato ieri. Un provvedimento di amnistia o di indulto totale. Questo può sembrare l'ovvia richiesta di chi è parte in causa ma a chi la pensi così rimando alle argomentazioni mai confutate del senatore Cossiga. Come lui anch'io la ritengo una misura necessaria a risanare una deriva profonda del sistema giudiziario. Tuttavia se questo indulto parziale dovesse diventare legge... beh, non sarebbe una soluzione indecente». Oreste Scalzone, ex leader di Potere Operaio, al telefono da Parigi dove vive in «esilio» dal lontano 1981, si è già divorato i giornali italiani e dimostra di conoscere con precisione il testo approvato e il vespaio di reazioni suscitato.

Tra queste non tollera quelle che fanno leva sul perdono dei familiari delle vittime: «Trovo abietto da parte di chi ha responsabilità istituzionali trincerarsi dietro il punto di vista particolare dei parenti delle vittime. Capisco se si trattasse di grazie individuali per le quali si richiede il perdono. Ma di fronte a misure come l'indulto, che hanno un senso se applicate a condanne e non a categorie di persone, sollevare una questione di perdono o meno è barare al gioco e finisce per fare violenza agli stessi famigliari. Rovesciando su di loro una responsabilità che non gli compete».

Scalzone non ha però dubbi che lo Stato debba occuparsi anche dei familiari delle vittime: «E' scandaloso che sinora non l'abbia fatto. Ma non credo proprio che sia stato per distrazione o avarizia, quanto per tenersi in caldo questo grumo oscuro di risentimento per farlo saltare fuori quando viene bene. Come adesso. Ci vogliono invece due interventi contestuali, due disegni di legge inequivoci». Un po' di malessere Scalzone confessa di provarlo anche per «la nostra parte di ex»: «Molti di noi hanno trattato i politici, che rappresentano lo Stato, il potere contro cui abbiamo lottato, con atteggiamento quasi da "colleghi". Mentre sembrava quasi si perdesse la faccia a rispettare non strumentalmente il parente di un ucciso. Si è arrivati a dargli del forcaiolo ma l'atteggiamento di una parte privata, quand'anche invochi la pena di morte, non è sindacabile».

Le critiche ai suoi compagni di lotta non finiscono qui. Riguardano anche l'oggi: «A Curcio mi permetto di dire che non ha senso dire che questa legge purtroppo non vale per i compagni in esilio. Non è vero perché il testo spiega chiaramente che è applicabile anche ai fuoriusciti». Qualche appunto lo muove pure a Toni Negri, sino a poco fa compagno di esilio: «Se lui commentando fumosamente che il provvedimento non tiene conto del problema dei fuoriusciti pensa ad un emendamento che nel corpo della stessa legge risolva questo problema invoca una cosa antigiuridica. Sarebbe come chiedere un premio per la latitanza. Beh, se vogliamo fare delle boutade...».

Scalzone inine dice chiaro che lui non avrebbe «escluso dall'indulto il reato di strage», che riguarda due terroristi neri come la Mambro e Fioravanti: «Innanzitutto perché si introduce un principio di esclusione, poi se si guarda alla sostanza, a parte loro due che sono stati condannati senza prove decenti, dentro per strage consumata c'è forse qualcuno in Italia? Dunque, tanto valeva non intaccare un principio, oltretutto per niente».

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