Liberazione 26 ottobre 1997
Il comizio di Bertinotti a piazza del Popolo
Camminiamo insieme, senza diventare uguali.
di Andrea Fabozzi
Uno spicchio di sole taglia a metà la piazza, quando Bertinotti comincia a parlare. Sono le cinque e mezza della sera. «Vorrei poter chiamare per nome ognuna e ognuno di voi, voi che vivete la politica come partecipazione». Lo ascoltano oltre duecentomila persone che hanno lasciato all'alba, o prima ancora le loro case. Per essere qui.
«Siamo in tante e in tanti, diversi ma uniti. E c'è il partito delle Rifondazione comunista che mette a disposizione le sue forze per un movimento più largo». Un partito, ricorda orgogliosamente il segretario proprio al principio: del suo intervento, che ha raggiunto il cento per cento del tesseramento dello scorso anno, e che nei giorni più difficili, quelli della crisi, ha contato oltre mille e seicento nuovi iscritti. «Un partito che sta nel popolo della sinistra senza prevaricazione, con rispetto per ogni forza diversa da se e sentendo vicine anche tante realtà distanti».
Lontane da piazza del Popolo, lontane da Roma, lontane dall'Italia: il Chiapas, Cuba, la lotta dei lavoratori coreani. E ancora, «ci sentiamo vicini ai giovani, alle ragazze e ai ragazzi che stanno lottando in difesa della scuola pubblica. Sentiamo di concorrere alla vittoria delle forze progressiste nelle prossime amministrative, contro le destre. Sentiamo una vicinanza forte con gli immigrati, vogliamo batterci contro tutte le barriere, anche quelle del carcere, anche contro le sbarre che tengono prigioniera Silvia Baraldini e quelle che ancora costringono i condannati dalle leggi dell'emergenza, per loro chiediamo l'indulto».
Ci mette poco, Bertinotti, ad arrivare al cuore del suo discorso. Dove batte ancora la vicenda della crisi, il modo in cui si è riusciti a superarla, le prospettive per il futuro. «Sono stati giorni difficili, in cui abbiamo avuto bisogno di tutta la nostra intelligenza e passione politica, di tutta la nostra determinazione, fermezza e duttilità». Eppure sono stati giorni in cui, anche grazie a Rifondazione la politica è tornata a vivere nel Paese. «Non c'è stato luogo che non abbia visto discussioni appassionate, a volte tormentate».
«Purtroppo, nella testa di molte persone cui vorremmo parlare da compagni, è entrata tanta parte della cultura delle classi dominanti. Anni e anni di sconfitte hanno segnato i compagni, che ci hanno detto: "tenete duro, ma non fate cadere il governo". Veniva da rispondere: provateci voi». Bertinotti insiste: «Dobbiamo far crescere una cultura critica, perché se un governo è buono o cattivo lo si vede dalle scelte che fa. E' buono, è di sinistra, se fa una politica a favore della masse popolari, è cattivo, non è di sinistra, se fa una politica contro le masse popolari». Chiarezza, altrimenti si corrono rischi gravissimi: «Ad Amburgo i nazisti hanno preso il 5% nei quartieri proletari, dove la socialdemocrazia non è stata capace di offrire una prospettiva diversa e riconoscibile».
Sono stati giorni in cui «un apparato di consenso senza precedenti che si è mosso contro Rifondazione come un regime» ha stravolto tutte le ragioni dei comunisti. «Si è detto che facevamo la crisi contro la bicamerale. Falso, lo prova il fatto che adesso, mentre abbiamo stretto un'intesa con il governo, le nostre critiche al modo in cui si vuole stravolgere la Costituzione restano tutte». E resta la preoccupazione per i tentativi di tornare sulla legge elettorale - «l'unica cosa ragionevole della bicamerale» - per «strangolare Rifondazione con una legge truffa». Si è detto anche che provocando la crisi i comunisti avrebbero spinto l'Italia fuori dall'Europa. «Ma in Europa - spiega Bertinotti - ci stiamo non perché lo decide qualcuno, ma perché l'ha deciso la storia con la lotta dei nostri popoli contro il nazifascismo».
Bertinotti torna a quei giorni. «Una volta completato il risanamento, abbiamo chiesto di provare a risanare anche i bilanci delle famiglie, abbiamo chiesto di avviare una politica di giustizia sociale. Ma abbiamo sempre cercato un compromesso, una trattativa seria. Il governo è stato sordo. Ha offerto consultazioni, quante ne volevamo, ma nessuna trattativa. C'è stata la crisi. Eppure, adesso possiamo dirlo con orgoglio, se abbiamo ottenuto un risultato è proprio perché abbiamo corso il rischio delle elezioni, con coraggio e determinazione». Da subito, poi, Rifondazione ha cercato il dialogo a partire dalle cose concrete: l'occupazione, la sanità, le pensioni, la scuola.
Ma è successo qualcosa di importante, qualcosa che Bertinotti definisce scherzando «la prova che: esiste la provvidenza rossa». «Il governo francese ha ridotto per legge l'orario di lavoro, una cosa per la quale la sinistra antagonista ha lavorato per anni, da Parigi a Lisbona e ad Amsterdam. E il governo italiano, che negli ultimi tempi è stato condizionato dalla logica economicista di Maastricht, ha virato verso la costruzione di un'Europa sociale».
Un passaggio importante, come importante è stato che forze diverse da Rifondazione, in testa i centri sociali, abbiano apprezzato l'apertura di un dialogo serrato con il governo. «Se questo governo avesse preso una piega moderata - spiega Bertinotti - si sarebbe chiusa una speranza. Perché questa società può essere cambiata solo se si incrocia la lotta dei movimenti con qualcosa che arriva dall'alto. Ecco perché rivendichiamo come una grande vittoria per i movimenti l'intesa con il governo e diciamo: avanti compagni, adesso si può».
E risultati importanti sono stati ottenuti. «Abbiamo spostato una finanziaria che si diceva intoccabile. Anche poco, ma nella direzione giusta. Abbiamo segnato sulle pensioni un punto contro la vergognosa campagna tesa a mettere in contrapposizioni le giovani e le vecchie generazioni. Rivendichiamo il grande merito di una legge per la riduzione dell'orario di lavoro a 35 ore per tutte e per tutti». Adesso comincia unaltra battaglia, un'altra storia. «Facciamo di questa conquista un grande terreno di iniziativa e di lotta, di cambiamento del lavoro e della vita del popolo italiano».
Il segretario di Rifondazione ha di fronte a se un mare di bandiere rosse. Se alza gli occhi vede scendere dal Pincio una bandiera immensa con il volto del "Che". Si rivolge a D'Alema: «Guarda questa piazza e vedrai che esiste la sinistra antagonista». A loro dice: «Questo popolo antagonista può aprire una grande stagione riformatrice. Lottiamo insieme, camminiamo insieme, senza diventare uguali: su la testa». Poi forse dice anche «avanti popolo». O forse è la piazza che ha cominciato già a cantare.