Giovanni Palombarini. Da tempo si dice: bisogna trovare una soluzione politica alle questioni aperte negli anni Settanta, ridurre a equità le pene scaturite dall'emergenza
L A PROSPETTIVA della grazia per Sofri, Bompressi e Pietrostefani sembra essersi definitivamente chiusa e le parole del presidente della Repubblica hanno riproposto la necessità di un intervento di carattere generale in relazione ai fatti di eversione degli anni '70. Per i tre condannati per l'omicidio del commissario Calabresi, che continuano a ribadire la propria innocenza, rimane ora da percorrere la strada della revisione del processo per ottenere la cancellazione di una sentenza da molti ritenuta ingiusta. A prescindere da ciò, e dalla valutazione delle ragioni del rifiuto della grazia (Rossana Rossanda e Luigi Ferraioli ne hanno già scritto), va detto che la sollecitazione rivolta da Scalfaro al parlamento appare quanto mai opportuna. Infatti, l'apertura della crisi di governo, le polemiche che hanno contrapposto le componenti della maggioranza e l'aspro atteggiamento assunto dal Polo dopo la ricomposizione del governo Prodi sembrano avere ulteriormente ridotto le già scarse possibilità di realizzare, sia pure con la modesta formula dell'indulto, una soluzione politica delle complesse vicende di quel decennio.
Va detto peraltro che una grave difficoltà aveva investito tale prospettiva già prima che la crisi si aprisse, come evidenziava lo stallo dei lavori parlamentari (e anche la spessa coltre di silenzio caduta d'improvviso su Antonio Negri, dopo il clamore che ne aveva accompagnato il rientro in Italia); e la circostanza non può essere dimenticata per effetto delle complicazioni ulteriormente intervenute.
Il fatto è che anche in questa legislatura, almeno fino a questo punto, pur dopo tante dichiarazioni d'intenti, non s'è concluso nulla; e la sensazione è che il parlamento non sia in grado di concludere nulla. Eppure fino a poco tempo fa a destra, al centro e a sinistra si diceva: per difendersi dal terrorismo lo Stato ha adottato un atteggiamento di forte severità, introducendo nel codice penale nuovi reati e aggravanti speciali, il ché ha prodotto - anche per il clima scarsamente garantista nella stessa magistratura - una serie di pesanti condanne, più dure di quelle pronunciate per fatti analoghi ma senza la finalità di eversione. Oggi, a distanza di tanto tempo e di fronte alla generale convinzione dell'impossibilità di una rinascita del terrorismo, è possibile e giusto ricondurre a equità le pene irrogate almeno verso chi ancora le sta scontando, appunto tramite l'indulto.
Sulla base di questo ragionamento sono stati elaborati dei testi, poi unificati in un disegno di legge unitario. Le incertezze, va detto, erano molte, nel senso che le ricorrenti proteste dei familiari delle vittime da un lato sembravano mettere in imbarazzo alcune forze della maggioranza e dall'altro venivano utilizzate dai settori della destra più disponibili alle strumentalizzazioni ritenute produttive di consensi elettorali; e tuttavia fino alla primavera un'ampia maggioranza parlamentare pareva determinata a portare a conclusione un lavoro impostato ormai da tempo. Poi la prospettiva è sembrata chiudersi, ancor prima dell'apertura della crisi. Come mai?
Vi è chi prospetta una spiegazione di questo genere. Appunto in primavera da qualche componente del Polo è stata avanzata la richiesta di affiancare all'indulto per i condannati per i fatti di terrorismo di vent'anni fa un'amnistia per i protagonisti di Tangentopoli, cioè di una vicenda di corruzione che ancora non s'è conclusa, neppure sotto il profilo dell'accertamento giudiziario delle responsabilità individuali delle violazioni della legalità, non di rado gravissime, già venute alla luce.
Se le cose stanno così, non v'è dubbio che costituiscano una ragione importante della crisi dell'iniziativa dell'indulto. A tacer d'altro, una soluzione in qualche misura politica dell'aspetto giudiziario della complessa, dolorosa vicenda degli anni '70 non può essere decentemente presentata come il risultato di uno scambio di quella natura; e in ogni caso al di fuori di un accordo con almeno qualche forza del centro-destra, tra l'altro numericamente necessaria, ai sostenitori dell'indulto la proposta verrebbe rinfacciata come atto di benevolenza nei confronti del terrorismo di sinistra. E' appena il caso di dire che considerazioni non dissimili si dovrebbero fare se, anziché con un'amnistia, il colpo di spugna sulla corruzione arrivasse da un'altra, più complessa via (abrogazione del delitto di falso in bilancio, ampliamento del patteggiamento con sospensione della pena fino a ricomprendervi tutti i reati di Tangentopoli, ecc.).
Dall'abbinamento delle due cose, l'inevitabile stallo: e la scarsa convinzione nella possibilità di una rapida approvazione del provvedimento emerge dalle parole del sottosegretario alla giustizia Franco Corleone, che ha detto di recente che o si fa l'indulto in questa legislatura oppure è meglio non parlarne più.
Forse le cose stanno davvero così. Ma appare più probabile, senza dover seguire complicate dietrologie, che incertezze e ripensamenti innumerevoli, e alla fine la difficoltà pratica di una soluzione politica, derivino da ragioni più profonde, le cui radici affondano nell'atteggiamento a suo tempo assunto dai partiti di sinistra di fronte agli avvenimenti dell'intero arco degli anni '70 (e della parte conclusiva del decennio precedente).
Il fatto è che anche sulla discussione decennale, in parlamento e fuori, in tema di forme per una soluzione politica, hanno pesato in modo costante l'intenzione o la tentazione di rimuovere un fenomeno sempre presentato come esclusivamente criminale, con le cause del quale era difficile misurarsi, e la preoccupazione di non legittimarlo né direttamente né indirettamente. Sono noti i limiti della proposta in discussione fino a non molto tempo fa e della quale il parlamento dovrebbe tornare a interessarsi in ossequio alla sollecitazione del presidente della Repubblica: non solo sono escluse dall'indulto le condanne per fatti di sangue, come se non fossero collocabili nel contesto di quel drammatico decennio, ma non è prevista alcuna facilitazione per il rientro di coloro che hanno evitato il carcere riparando all'estero. In un dibattito d'inizio di ottobre il responsabile del Pds per la giustizia, Pietro Folena, a proposito della lunga stagione dell'emergenza ha genericamente ammesso "gli errori anche a sinistra", lamentando l'immaturità di una parte della classe dirigente del tempo: troppo poco, sinceramente, per contrastare gli effetti della rimozione.
Ancora una volta, nonostante le ricorrenti parole sul primato della politica e sui rischi della supplenza giudiziaria, forse sarà la magistratura, questa volta quella di sorveglianza,che in assenza dell'indulto, con i pochi strumenti di umanizzazione della pena di cui dispone, dovrà gestire la parte conclusiva di un intervento repressivo durissimo, della cui attuale inutilità quasi tutti sono oggi convinti; con l'onere di dover periodicamente sopportare le polemiche che inevitabilmente scoppieranno ogni volta che un esponente delle Br o dell'Autonomia otterrà un permesso o l'autorizzazione al lavoro esterno.
Sempre in attesa che "l'indecente abbinamento" di cui sopra venga attuato, magari in occasione di una riforma della seconda parte della costituzione, con un'estesa amnistia di cui già si parla in questi giorni. Ma non vi sarà anche allora, nel 2000 (!), chi sosterrà che i tempi, ampiamente maturi per concussori e tangentisti degli anni '80 e '90, non lo siano ancora per gli eversori degli anni '70?