Il Manifesto - 04.09.96

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Indulto, la prima volta

Arrivare finalmente a una legge ci aiuterebbe anche a riaprire un dibattito serio sugli anni Settanta

di STEFANO ANASTASIA

P OTREBBE apparire paradossale, questo ripetuto animarsi festivaliero del dibattito intorno alle proposte di indulto per i condannati per fatti di terrorismo. Dopo l'irruzione di Scalzone a Cannes e la conseguente video-lettera di Locarno, eccoci a Venezia: altro film e nuova verve per il nostro tema. Potrebbe apparire paradossale se non fosse, a modo suo, un segno di vitalità della cultura e della coscienza civile di questo paese.

Quanti hanno patito gli effetti delle leggi d'emergenza hanno ormai scontato gran parte delle loro sproporzionate pene. Quasi da un decennio si discute di una soluzione politica e/o giudiziaria degli anni '70. Si parla di amnistie, indulti e grazie, sulla scorta della "battaglia di libertà" che alcuni dei più autorevoli esponenti delle Brigate rosse lanciarono nella seconda metà degli anni '80, convinti che quella storia di passioni e di lutti si potesse chiudere senza abiure né vendette.

Se ne parla da quando nel lontano 1989 Laura Balbo depositò per la prima volta in parlamento la proposta di legge di indulto elaborata da Antigone. Sono passate tre legislature: l'indulto non è ancora legge e le proposte si sono moltiplicate, qualcuna tiene anche conto del tempo ulteriormente passato da quando se ne è cominciato a discutere e traccia un sentiero per consentire ai tanti che si sono rifugiati all'estero di tornare in Italia.

Negli anni scorsi, nello scorrere del tempo, nel ripetersi del dibattito, ci siamo però trovati sempre più soli: Antigone , il manifesto, i centri sociali e qualche vecchio "compagno di movimento". Dalle istituzioni ripetuti stop and go: dichiarazioni di sofferte/entusiastiche adesioni alternate ad inerzie legislative, ovvero inframezzate da improbabili intrusioni quirinalesche, con l'inquilino del sommo colle tentato dal beau geste di clemenza, come i sovrani di un tempo.

Oggi il cinema prende la parola, e non è senza significato. Non è senza significato che una generazione che ha vissuto in prima persona quelle vicende senta il bisogno di raccontarsi e ricostruire la propria storia.

Non è senza significato - a me pare - che la nostra storia si racconti attraverso film come La seconda volta o La mia generazione: cruciale resta, nella memoria di quegli anni, l'epilogo blindato di una stagione di speranze, ed il suo carico di lutti e di galera.

Chissà, se fosse partito da questa memoria, dal vissuto di uomini e donne, dove sarebbe potuta arrivare la riflessione del presidente della camera sugli anni '70 e il compromesso storico. Certo un po' più in là di qualche sconfessione estiva e quella parabola sul maggioritario ritardato. Ma forse è proprio questo il punto: Calopresti e Labate parlano di noi, delle nostre vite, di passioni e di tragedie che ci è capitato di vivere e che ci fanno - nel bene e nel male - come siamo; Luciano Violante, che pure da protagonista ha vissuto la storia nazionale dagli anni '70 in poi, la ricostruisce attento più alle contingenze di oggi che al vissuto di ieri, anche se questo riemerge costantemente, mentre quelle saranno dimenticate al termine della stagione.

Il clamore di due film riuscirà forse a far precipitare il dibattito sulla soluzione politica degli anni '70 in parlamento, riuscirà a rendere rilevante nell'agenda politica quotidiana una ferita aperta ormai da troppo tempo. A cominciare dalla prossima settimana quando la commissione giustizia di Montecitorio discuterà le proposte di legge. E' un'occasione per chiudere una fase della nostra storia nazionale. Torna senza le ambiguità e i doppi fini che furono di Cossiga, ansioso - a suo tempo - di condonare guerriglieri e gladiatori, per seppellire la prima repubblica e cancellare le responsabilità di tutto quanto ci fu di occulto nel governo dello stato.

Occorre fare attenzione a non sciuparla, questa occasione. L'approvazione della proposta di indulto può consentire a molte donne e a molti uomini di uscire definitivamente dal carcere, di liberarsi da quell'ossessione che li ha impietriti in un gesto, in un atto, di troppi anni addietro, impedendogli di pensare un'altra vita fuori dalla violenza del passato.

L'approvazione della proposta di indulto può consentire a questo paese di riprendersi un pezzo cruciale della propria storia e tornare ad affrontarlo fuori dagli schemi del passato.

Non è poco, ma tutto ciò è possibile ad alcune condizioni: che si discuta di un provvedimento di carattere generale, che non accetti esclusioni soggettive, per atteggiamento processuale, condizione detentiva o tipo di reato; che si approvi un provvedimento di giustizia, che cancelli ogni sovrapenalizzazione e tutti i reati senza vittima; che si tratti di un provvedimento coraggioso, capace di aprire le porte a quanti si sono rifugiati all'estero.

Una legge di questo genere, lungi dal riaprire stanche dispute sulle ragioni e sui torti di vent'anni fa, potrebbe forse aiutarci a riaprire un dibattito davvero serio sugli anni Settanta e sulle vicende che riguardano tutta la sinistra italiana.

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