Il Manifesto - 08.05.97

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Quel divieto ha diviso le generazioni

di Luigi Manconi

PER molti, lungo questi anni, il nome di Giorgiana Masi è stato indissolubilmente legato alla battaglia per i referendum, anche perché i radicali, che di quell'appuntamento furono i promotori, rimasero poi unici testimoni politici a commemorare quella morte violenta; e a ricordare la responsabilità di chi - governo, ministro dell'interno e forze di polizia - di quella morte violenta fu all'origine. E, invece, non rimase sulla scena che per qualche mese il movimento che di quell'anno porta il nome; e che, quel 12 maggio, si convocò per aderire alla manifestazione, pagandone un così alto, e irreparabile, prezzo. Per questo tanti giovani del "movimento del '77", diventati adulti - e diversi, magari assai diversi, da ciò che furono - continuarono a ricordare Giorgiana Masi; ma non il fatto che Giorgiana Masi di quel movimento era partecipe e che aderì a quell'appuntamento anche per motivi diversi dalla campagna per i referendum. Vi aderì per sottrarsi al divieto di manifestare, decretato dal ministro degli Interni, che aveva fatto di Roma una città chiusa ai cortei e a ogni manifestazione pubblica. E vi aderì con la generosità (e l'ingenuità) di chi riteneva la convocazione da parte del Partito Radicale, nonviolento per vocazione e prassi, una garanzia nei confronti delle operazioni di polizia (fermi collettivi e blindati a presidiare l'università). Fatto sta che, in quell'occasione, i giovani del "movimento del '77" incontrarono, seppure con una certa diffidenza, il movimento e i temi dei diritti civili. E non è stato casuale che molti di quei giovani e di quei collettivi, un anno dopo, aderirono alla campagna referendaria per l'abrogazione della "legge Reale" e del finanziamento pubblico ai partiti.

Quel contributo è stato poi ingenerosamente dimenticato. Come è stata dimenticata la lacerazione che la morte di Giorgiana Masi provocò in quel movimento: e in quella parte di esso che aveva creduto di poter riprendere il filo della creatività innovativa e indocile dei primi giorni dell'occupazione. Chi oggi ama "contestualizzare" la storia, per attenuare antagonismi e responsabilità, non ha avuto attenzione (caso unico negli ultimi decenni) verso quel movimento e quell'anno. Eppure sta tutto lì, sta simbolicamente tutto lì - in quel divieto assoluto di manifestare, anche per raccogliere le firme dei referendum - e in quella morte violenta (in ciò che l'ha preceduta e che l'ha seguita), la cesura che ha separato quella generazione e quel movimento dalle generazioni e dai movimenti successivi. Un anno dopo, pochi di quei giovani e di quegli studenti andarono, senza convocazioni pubbliche e quasi alla spicciolata, a depositare un fiore a Ponte Garibaldi. E, negli anni successivi, quella parte di generazione entrò in un silenzio che rivelava risentimento e senso di spossessamento.

Anche per questo aderirò alla proposta di due consiglieri comunali di Roma di lasciare un fiore - la sera di lunedì 12 maggio - a Ponte Garibaldi, nel luogo in cui Giorgiana Masi trovò la morte.

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