di ANDREA COLOMBO
D IFFICILE immaginare una legge dall'iter più tormentato di quella sull'indulto. Da sei anni rimpalla da una legislatura all'altra, stroncata sul nascere dallo scioglimento delle camere. Sulla proposta, del resto, grava sin dall'inizio la decisione di innalzare il tetto dei voti dalla maggioranza semplice a quella qualificata, cioè a due terzi degli aventi diritto. Una modifica introdotta alla chetichella, dopo la campagna per la grazia a Curcio combattuta e persa nell'estate del '90 dall'allora presidente Francesco Cossiga. Nella scorsa legislatura la legge, prima firmataria l'attuale ministro delle pari opportunità Anna Maria Finocchiaro, si arenò nelle secche della commissione giustizia, nonostante a presiederla fosse una sostenitrice dell'indulto come Tiziana Maiolo. Dopo le elezioni del 21 aprile le cose sembravano poter andare diversamente. Il nuovo presidente di commissione, Giuliano Pisapia, ha messo subito in calendario il progetto di cui è relatore Nichi Vendola. Soprattutto a proporre l'indulto c'erano anche esponenti del centro-destra. An aveva infatti presentato un suo disegno di legge, sostanzialmente identico a quello della sinistra, firmato dall'attuale portavoce del partito Adolfo Urso, da due colonnelli di Fini come Ignazio La Russa e Gianni Alemanno e dallo stesso responsabile della giustizia, Neri. Poco prima che il ddl arrivasse in commissione Fini, con un repentino voltafaccia, si è schierato contro il provvedimento, negando ai suoi anche la libertà di coscienza. Solo ai presentatori del ddl, Neri escluso, è stato consentito di non ritirarlo, ma a titolo solo individuale. Tra le altre forze politiche, il Ppi è diviso, contrario il segretario Bianco, favorevole il presidente Bianchi. Il Ccd-Cdu, legato a Cossiga, sembra chiedere un contestuale intervento per tangentopoli. Così tutto finisce per essere nelle mani di Forza Italia, dove l'umore di maggioranza è per ora contrario, ma con eccezioni significative come il capo dei deputati Pisanu. E dire che la proposta di legge è tutt'altro che di "manica larga", prevedendo la riduzione alla metà delle pene temporali e la commutazione dell'ergastolo in 21 anni. Sono interessati dal provvedimento meno di 300 detenuti, di cui poco più di 80 non hanno usufruito neppure della "legge Gozzini". Ma al di là di queste cifre, pesa sull'indulto l'inveterata abitudine della classe politica a giocare sul tema con le parole di 20 anni fa e l'occhio ai sondaggi del giorno dopo.