CONVEGNI
PAOLO GRISERI
"S IGNOR procuratore, non crede siano troppi quelli che ancora oggi chiedono la libertà per i terroristi? In fondo, lasciarli liberi significa ammettere che avevano ragione". Giancarlo Caselli osserva con perplessità la signora torinese che lo ferma per avere una risposta: "Cara signora - replica - si possono avere opinioni diverse sulle proposte di indulto. Ma penso che, qualsiasi soluzione venga adottata, finirà per rafforzare le idee di chi il terrorismo lo ha combattuto". Lo scambio di battute avviene al teatro Regio di Torino, in una pausa della giornata in ricordo di Carlo Casalegno, il vicedirettore della Stampa assassinato dalle Br vent'anni fa. Caselli, oggi procuratore a Palermo, era uno dei magistrati più esposti nella battaglia contro il terrorismo. Uomo di sinistra, aveva raccolto le confessioni del primo pentito della storia giudiziaria italiana, quel Patrizio Peci che aveva organizzato l'assassinio di Casalegno. Oggi, vent'anni dopo, la sua risposta alla signora del pubblico è forse l'episodio-simbolo della fine dell'emergenza.
Un'emergenza che fu sociale e culturale prima di rappresentare la motivazione di un eccezionale giro di vite giudiziario. Giampaolo Pansa ha ricordato il clima che si respirava a Torino in quegli anni, l'indifferenza per le azioni delle Br. "Rischiava di passare il convincimento - ha sintetizzato Luciano Violante - che la violenza era tollerabile quando si riversava contro un avversario politico e quindi che l'omicidio era un possibile mezzo di lotta politica. L'equivoco era sulla violenza e sulla democrazia: le Br potevano passare proprio attraverso questa aberrazione".
La vicenda dell'assassinio di Casalegno fu, sotto questo aspetto, esemplare. Il vicedirettore de La Stampa era un giornalista che esprimeva posizioni moderate ed era fautore della linea dura non solo nei confronti del terrorismo ma anche verso quell'area della sinistra che "esprime le stesse radici politiche, la stessa radice ideologica", l'area di Autonomia. Salutò con favore la legge dell'agosto '77 che permetteva di "togliere l'acqua ai pesci", come si diceva allora, chiudendo le sedi dei gruppi autonomi in diverse città. Insomma, per molta parte della sinistra radicale era certamente un avversario politico. Il suo assassinio da parte delle Br non scosse la città. Una città in cui, ha ricordato Caselli, "le assemblee organizzate nei quartieri sul terrorismo andavano deserte e i partecipanti preferivano formulare le loro domande su bigliettini anonimi da far pervenire al tavolo della presidenza per paura di esporsi". Una città che "viveva sotto la cappa del terrorismo come nessun'altra città italiana" (Ezio Mauro). Ci vorrà del tempo, ci vorranno morti meno "logiche", come quella del sindacalista Guido Rossa nel gennaio '79, per aprire un'autentica discussione a sinistra. Ma già in quel novembre '77 c'era chi viveva la lacerante contraddizione di militare nella sinistra e di venire duramente colpito dalle azioni delle Br. Il 19 novembre Lotta Continua pubblicò un'importante intervista ad Andrea Casalegno, figlio della vittima e militante della sinistra torinese: "E' chiaro che mio padre è un uomo fondamentalmente di destra ma sulla sua indipendenza intellettuale, sua sua onestà io non posso avere dubbi. Perché allora dovremmo ridurre gli uomini a simboli comodi, senza capire che dietro di loro vi è una storia e determinate concezioni intellettuali, come quella liberale, ancora esistenti?". Sono passati vent'anni e si è tornati a ricordare quei fatti e quel clima in una Torino un po' distratta. La ricostruzione di quegli anni è ormai demandata agli storici più che ai cronisti. Sarà perché l'emergenza è finita davvero.