Il Manifesto - 18.12.97

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Un problema di giustizia

A TTORNO A UN TAVOLO, per un pomeriggio, due senatori, Ersilia Salvato di Rifondazione comunista e Cesare Salvi del Pds. Insieme con Rossana Rossanda, Michelangelo Notarianni per il manifesto, con Fabrizio Nizi, della Rete Sprigionare di Roma e Mauro Palma, dell'Associazione Antigone. A discutere di un argomento che sembra costantemente appeso a un elastico tra rimozione e impossibilità di fare i conti con la storia recente: gli anni 70 e la necessità di una soluzione politica per chi ha ancora addosso il peso del carcere. A Palma il compito di fornire le cifre, frutto di un laborioso lavoro di ricognizione.

Palma. Vedo due contraddizioni: il giudizio su una fase politica drammatica che tutti conveniamo debba terminare ma che poi non si riesce a chiudere e l'asssenza di memoria. Anche a sinistra non c'è una memoria in grado di esaminare e elaborare. E' ancora prevalente il rumore di manette cosicché il confronto politico non si libera. Ecco le cifre: il ministero classifica in 236 le persone in carcere con reati politici a cui vanno tolte 21 persone che o si sono politicizzati dopo l'arresto o che rispondono di reati comuni. Per cui il numero scende a 215 dai quali bisogna ulteriormente espungere chi ha commesso reati dopo l'89 (la legge sull'indulto riguarda fino a quella data). Ne restano 206: 95 sono ergastoli, 40 sono donne (25 con ergastolo), 102 in semilibertà o art.21. Quanto alla liberazione condizionale, per la maggior parte si va attorno al 2005 e comunque negli ultimi 10 anni la liberazione condizionale agli ergastolani è stata data solo in 27 casi. Un ultimo elemento, per i non ergastolani, è il rapporto tra pena comminata e pena scontata: ebbene, la maggior parte ha già compiuto attorno allo 0,6% della pena senza mai aver avuto benefici. Sono convinto che un provvedimento consistente e non discrezionale e risolutivo avrebbe un senso nel chiudere una fase ma riequilibrerebbe un rapporto reato-reo molto sbilanciato.

Salvato. Certo, il problema e politico e culturale: due questioni che rimandano immediatamente a un deficit della sinistra nel suo insieme che non è solo di non aver voluto fare i conti con quella stagione ma di aver mostrato una sorta di indifferenza. Un modo superficiale per dare soluzione a problemi che richiederebbero ben altro approfondimento. Soluzione significa interrogarsi attorno alle radici di una scelta che ha coinvolto alcune generazioni e su cui finora abbiamo ragionato soprattutto per prenderne le distanze. Non so se la sinistra oggi sia in grado di fare i conti politicamente. Molti hanno le risorse e l'intelligenza necessarie, ma nel complesso la sinistra non ha questa volontà. Sono molto pessimista su una soluzione in grado di sprigionare in parlamento ma soprattutto nel paese un dibattito culturale. Siamo in una stagione intrisa di elementi di autoritarismo e di normalizzazione.

Salvi. Anche io penso che non riusciremo ad approvare questa legge se non ci sarà un salto di qualità complessiva nel modo di affrontare questa vicenda. Come si sa, la legge ha bisogno dei due terzi dei voti favorevoli ed è evidente che questo quorum venne determinato da una scelta emergenziale perché non è previsto nemmeno per la revisione costituzionale. Ora, appena si parla di ridurre il quorum della metà più uno emerge il fantasma di tengentopoli. Il vero problema è che si è rotto un filo che si stava faticosamente costruendo tra memoria, storia e politica, in particolare a sinistra. C'è un uso strumentale della storia e della politica o meglio della tattica parlamentare, i Savoia o Salò lo dimostrano. Eravamo vicinissimi all'approvazione dell'indulto già nel '93. Si era costruita un'intesa sulla necessità di un riequilibrio delle pene anche partendo da giudizi diversi sugli anni 70 che però convergevano su un punto: vi fu allora un eccesso punitivo, ora deve essere eliminato. Oggi tutto questo è stato spazzato via perché c'è una nuova classe politica che non ha memoria storica e che ha determinato una caduta culturale della politica. Possiamo anche riconoscere che abbiamo fatto poco in questo anno e mezzo in cui siamo maggioranza sulla politica delle pene, vedi l'anomalia dell'ergastolo. Come si fa a superare queste barriere culturali e politiche? Ci vorrebbe un grande movimento nel paese in grado di rispondere alle domande principali che vengono dall'opinione pubblica: la prima è che il riequilibrio delle pene corrisponde a una esigenza di equità e che non deve coinvolgere, in una sorta di autorizzazione, le vittime perché sarebbe ingeneroso nei loro confronti; in secondo luogo, bisogna procedere verso l'accertamento della verità, a partire da piazza Fontana; in terzo luogo bisogna inserire questo ragionamento nella politica delle pene; infine, occorre distinguere questo problema da quello di amnistia e indulto per "mani pulite". Le stesse ragioni che spingono verso l'indulto per questi reati sarebbero inaccettabili per le vicende di corruzione.

Rossanda. Vorrei concentrare la mia attenzione sull'indulto e rilanciare la palla a Rifondazione e Pds. Salvi parla di un movimento nel paese che scuota gli equilibri politici del parmento. Ma tutto quel che si fa in parlamento è solo quel che viene deciso dai leader politici e dalla televisione. Nelle molte dichiarazioni che i vostri leader fanno in televisione, questo tema non c'è mai, non viene mai nominato, non è mai oggetto di iniziativa o trattativa politica. Il perché è chiaro: temono i giustizialisti in casa propria, temono la Repubblica, ecc. Risultato, anche le politiche carcerarie sono incastrate, e Toni Negri non riesce ad avere il permesso perché è antipatico agli italiani. Dipenderebbe solo da voi decidere di farne una battaglia forte, far sì che tra le cose che premono a D'Alema a Bertinotti e a Cossutta ci sia anche questa. Un'altra cosa vi chiederei: la proposta di togliere all'indulto il quorum dei due terzi, fatela prima della bicamerale. Fatela subito. E' vero che occorre distinguere i fatti di quella stagione da Tangentopoli, ma abbiamo fatto di Tangentopoli un fantasma, in realtà sono quattro i tangentisti in carcere. E poi non c'è un collegamento tra detenuti politici e Tangentopoli.

Salvi. Infatti, è un problema di opinione pubblica.

Rossanda. C'è un'opinione pubblica forcaiola in Italia e purtroppo non si riesce a riflettere sugli anni 70. Su quegli anni, in particolare, c'è da dire che la generazione che li ha vissuti si è divisa e non dice la verità. Che il movimento del '68 fosse fatto tutti di pacifici nonviolenti è falso. C'è stato un modo aspro nella politica di allora e c'erano le bombe fasciste. Non si è stattato di un gruppo di dementi sanguinari. E le divisioni si sentono anche ora. E' il momento di chiedersi se qualcosa non ha funzionato e spetta a noi aprire un discorso di verità. C'è stato un momento in cui la gente ha creduto in Italia che la rivoluzione fosse alle porte e per un momento il partito comunista non ha detestato chi lo pensava. Sono dispostissima a ripercorrere questa storia ma è così pesante, così aggrovigliata che ora la spinta a riflettere deve venire da qualche altra parte. Infine, a Cesare Salvi e a Ersilia Salvato chiedo: siete in grado di fare la proposta di abbassare il quorum per le legge sull'indulto?

Salvato. Potremmo presentare la proposta di legge e tentare di discuterla rapidamente. Se la camera è stata costretta e discutere dei Savoia potrà anche discutere di questo.

Palma. La nostra debolezza è stata quella di ridurre il problema a pura questione aritmetica, cioè il riequilibrio delle pene. Ora mi chiedo se non sia arrivato il momento di sposare la politicità dell'evento e dire che si discute di una vicenda politica.

Nizi. E'vero che dalla generazione e dalla sinistra che ha vissuto quella storia vengono spesso atteggiamenti contrastanti, come diceva Rossana. Ma un dato positivo e nuovo è che da tutt'altra storia riemerge una richiesta di conoscenza e di memoria. E di libertà. Quella storia richiama costantemente la realtà di oggi: perché i giovani si pongono il problema degli anni 70? Perché se lo trovano ogni giorno di fronte. Salvi prima diceva che le istituzioni sono più deboli se dietro non hanno una spinta. Ma come si può pretendere una spinta se è condizionata dal meccanismo generale che l'emergenza ha messo in piedi? E' un circolo vizioso che va sciolto e non solo per il carcere, ma le droghe, gli immigrati, le lotte sociali, quelle degli studenti. In realtà, non si vuole che ci sia la spinta dei movimenti. In un'Europa di Maastricht che si disegna sempre più atttraverso l'ottica dei privilegi anziché quella dei diritti è utile che ci sia un meccanismo di contenimento del conflitto e delle aspirazioni sociali.

Salvi. Fabrizio ha toccato un punto nevralgico: credo che si possa e si debba caratterizzare di più l'azione di governo di questa maggioranza sul terreno della politica dei diritti.

Salvato. E' indispensabile e urgente abbandonare il terreno finora sostenuto, quello dell'equilibrio delle pene, difensivo e debole. Dobbiamo tornare a ragionare di politica ragionando di quegli anni. Come? Parlando io con Bertinotti e Salvi con d'Alema? Dubito che avrebbe dei risultati. Quel che possiamo fare sul terreno parlamentare è riprendere la proposta di Rossanda, lanciandola con un ragionamento politico e con chiarezza.

Palma. Un argomento forte è che in generale un provvedimento di amnistia viene preso a situazione realmente chiusa e a vicende processuali definite. E questo distingue in modo netto la vicenda degli anni 70 da quella di Tangentopoli.

Salvi. La motivazione forte è che questi detenuti hanno avuto pene più elevate di quelle che corrispondevano al delitto.

Notarianni. Ho l'impressione che tutti siamo convinti che c'è stato un seppur necessario relativo minimalismo e un pragmatismo delle richieste e una, del resto comprensibile, ricerca dei risultati. Questo però ha portato a un certo livello di adeguamento alle logiche complessive del politico e un qualche minimalismo e anche una rinuncia a far uscire la vicenda dalle logiche di palazzo. Noi ci siamo mossi con argomenti ragionevoli seppure indeboliti da un certo grado di tecnicismo. Oggi questo paese discute della necessità di pacificarsi rispetto al 1943 dimenticando un particolare rilevante. E cioè che nel '46 gli esponenti dell'ala sconfitta della guerra civile furono amnistiati e immediatamente dopo costituirono un partito esplicitamente collegato a quella stessa ala. E' come se in parlamento ci fosse un partito che discute se è giusto o no collegarsi con le imprese delle Br. Tutto questo introduce un elemento di torbidità e di irrealismo dentro questa vicenda e indebolisce i nostri argomenti e la nostra capacità di presentarci a un'opinione pubblica ampia. Finché questa partita resterà solo giudiziaria, se non elaboreremo gli anni 70, mon capiremo cosa c'è da fare in Italia. Il risultato è che il repubblichino torturatore può essere segretario di un partito dell'arco costituzionale e uno della lotta armata degli anni 70 che ha chiuso con il proprio passato non vede riconosciuta la legittimità di essere un fatto storico-politico. Che ha cambiato i comportamenti: il Pci ha una storia che non si legge senza le Br. Credo che dobbiamo spingerci oltre.

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