Per Pasquale Abatangelo, ex Nap ed ex Br, gli "anni di piombo" finiranno nel 2006. Ha accumulato una pena di trentotto anni per una rapina, per le rivolte in carcere e per "concorso morale". Perché non si riesce a chiudere la sua storia e quella di altri 225 nelle stesse condizioni?
di ANNA PIZZO
SE È VERO, (e forse lo è), che ciascuno ha tante possibili vite davanti a sé anche se ne vive una sola, c'è anche chi, a 47 anni, di vite ne ha già vissute almeno tre. E non è finita. Pasquale Abatangelo è figlio di italiani trapiantati da generazioni in Grecia e tornati in Italia dopo la guerra. Campo profughi all'inizio poi, quando Pasquale ha solo cinque anni, il padre muore. Per Pasquale non resta che il collegio. Poi qualche lavoretto come tornitore del legno e una vero lavoro, a diciassette anni, in una fabbrica di stampaggio di materiale plastico.
Fin qui, la prima vita. Delle altre, parla lui stesso: "Nel '67 finisco per la prima volta in prigione per rissa. Ero minorenne e me la cavo con un paio di mesi. Quella è stata la svolta della mia vita. Ho conosciuto persone e frequentato ambienti per me impensabili. E ho cominciato a vivere di espedienti. Continuavo a lavorare, ma mi piaceva di più la mia vita 'parallela' che mi ha riportato dentro più e più volte: sempre per piccoli reati, al massimo undici mesi. Sono i primi anni '70, anni di carceri in ebollizione. Alle Murate conosco molti militanti della sinistra extraparlamentare arrestati per ragioni politiche. Nasce la commissione carceri di Lotta continua di cui fa parte Luca Mantini, che diventerà il mio migliore amico, in carcere per una manifestazione antifascista".
Il ribelle
"Così la mia, da vita di un ribelle, diventa lotta politica. Da quel momento, il carcere si fa più duro: botte, trasferimenti continui. E' il '73: in rottura con Lotta continua che rifuitava la lotta armata, io e Luca fondiamo il collettivo George Jakson, con chi il carcere lo viveva o lo aveva vissuto e sapeva quanta violenza c'era lì dentro. Stiamo parlando di prima della riforma del '75, quando la guardia la dovevi chiamare 'superiore' e le rivolte si concludevano a sparatorie contro i detenuti. Noi sapevamo bene cosa era la violenza ed eravamo certi di doverla combattere con la violenza. Il nostro collettivo aveva una faccia pubblica di movimento anticarceri e una clandestina più organizzata. Nel senso che compivamo rapine per autofinanziarci, e che la nostra 'giustizia proletaria' si spingeva fino a incendiare macchine o fare telefonate anonime".
"Questo il retroterra che prelude alla nascita dei Nap, nel '74. Quello stesso anno mi arrestano durante una rapina a mano armata in una banca in cui viene ucciso il mio amico Luca Mantini e Sergio Romeo, un altro ex militante di Lc entrato nei Nap. Mi danno quindici anni, il doppio della pena per questo reato; è la quinta volta che finisco dentro, ma ora è carcere vero, pesa il reato politico. Firenze, Pisa, Volterra, Porto Azzurro. Asinara. Non sono ancora 'ufficialmente' nati i carceri speciali, e già si aprono per me. Cinque anni lì, tre a Nuoro, poi Favignana, Novara, Trani. I Nap sono alla fine, entro nelle Br. Conclusa l'epoca di battaglie settoriali, lo scontro diventa generale. Faccio parte delle 'brigate di campo'. Altre rivolte in carcere, altri processi: 15 anni per la rivolta di Trani e 5 per 'concorso morale', nel processo Moro ter. Inutile spiegare una giustizia che per me ha funzionato in un modo e per altri in un altro. Inutile dire che un conto erano i pentiti, un altro i dissociati e un altro quelli come me".
Il semilibero
"Trentotto anni: questa in totale la mia pena. Con un condono e uno sconto per buona condotta, da due anni e mezzo sono in semilibertà: di giorno lavoro in una cooperativa che gestisce parcheggi e la sera torno in carcere, casa circondariale di Firenze. Quando ho cominciato a uscire, mi sembrava un'altra vita. Ora, che un'altra vita ho cominciato a viverla, sento il peso di una palla al piede: sono delegato sindacale ma non posso andare alle riunioni serali; sono vice presidente del Cral ma non posso partecipare alle iniziative che contribuisco a costruire. Non è solo una situazione pesante, la mia, è soprattutto senza senso: dove lavoro ho la fiducia di tutti, ma per lo stato resto un soggetto pericoloso. A casa c'è mia moglie, i miei due figli, ma non siamo ancora una famiglia".
"La mia pena finirà nel 2006 e per la condizionale se ne
parla nel 2001. Mi chiedi se mi pesa più la mancanza di una vita
'normale' o l'ingiustizia di un questa pena? Tutte e due, ma
l'ingiustizia di più. Perché non mi sono dissociato? Non ho
voluto rinunciare alla mia storia e fare mercato della mia vita.
Sono stati quelli come me ad aver pagato per tutti. Anche mia
moglie in passato è stata perseguitata, sospettata, arrestata e
poi rilasciata. Se avessi avuto l'ergastolo, sarei già fuori con
la condizionale. Solo un paese che non è in grado di affrontare
la propria storia può arrivare a tali paradossi".