di STEFANO ANASTASIA
C RISI DEL PROGETTO democratico e involuzione del sistema penale, è possibile leggere l'una nella lente dell'altra? Nel precipitare della prima repubblica, alle soglie di un nuovo patto, i mutamenti del sistema penale - da un ventennio a questa parte - cosa hanno da dirci? Il carcere e le battaglie antiautoritarie che vi sono state combattute, dentro o intorno, costituiscono una cifra comune di parti spesso lontane della sinistra italiana. Cruciale, certo, è stato il passaggio degli anni settanta e dei primi anni ottanta, quando a migliaia i militanti della nuova sinistra conobbero di persona l'istituzione penitenziaria, e quindi decisivo è partire di là per capire se tra quella vicenda e la crisi che ne è seguita vi sia una connessione tutt'ora dirimente.
Uno sforzo di questa natura è quello che ispira il volume scritto a sei mani da Giovanni Russo Spena, Mauro Palma e Germano Monti e titolato significativamente dalle edizioni Strategia della lumaca (Roma, 1996, pp. 190, L. .20.000) La metafora dell'emergenza . Il libro è l'esito di un comune work in progress , che l'anno scorso aveva già portato alle stampe un millelire dal titolo Democrazia e giustizialismo , per le edizioni Rfg. I tre saggi che compongono il volume (L'emergenzialismo del "pensiero unico del mercato" di Russo Spena, Eccezionalmente di Palma e Mentre il tempo passa... di Monti) costituiscono un percorso di approssimazione al tema delle connessioni tra crisi della democrazia e mutamento del sistema penale: se Russo Spena tenta una definizione di quadro, entro cui le emergenze penali - di cui è costellata la storia degli ultimi vent'anni del nostro Paese -riarticolano i loro significati contingenti alla luce di una battaglia materiale ed ideale sulla concezione dell'idea democratica, Palma ricostruisce i mutamenti delle questioni criminale, penale e penitenziaria nella evoluzione storico-politica degli ultimi due decenni; Germano Monti, infine, ripercorre tappe ed episodi di un conflitto non ancora sanato intorno alla concezione della democrazia, che portò migliaia di giovani alla lotta armata e poi in carcere.
Certo il "suggerimento" di ripartire dalla frattura degli anni settanta, come scrive Ersilia Salvato nella prefazione, ci può aiutare a ricostruire il filo di un discorso politico intorno alla sconfitta della sinistra negli anni ottanta e a "capire di più e meglio le ragioni del radicarsi di cultura e senso comune di destra". Certo è questa la ragione dell'attualità di un discorso sugli anni settanta e di un provvedimento di legge di indulto per i condannati per fatti di terrorismo. Ma per compiere un percorso di questa natura è necessario un lavoro di scavo nelle culture politiche che si sono espresse a sinistra nella crisi degli anni settanta.
Di queste cose si sarebbe potuto discutere a partire da quando, quasi dieci anni fa, alcuni tra i più autorevoli esponenti delle Brigate rosse lanciarono la "battaglia di libertà" e il "nuovo corso" del Pci sembrava preludere a un ripensamento della storia e delle categorie della parte più importante della sinistra italiana.
Ma in due mosse la partita si chiuse: prima la svolta del Pci impedì ogni seria riflessione sui limiti della cultura politica e istituzionale dei comunisti italiani, dividendoli tra quanti rimuovendo la propria storia ne conservavano prassi e cultura e quanti, volendo conservare una tradizione, ne accentuavano i limiti.
Poi venne Cossiga e la sua personale "soluzione politica", fatta di condoni per guerriglieri e gladiatori, condizioni amnistiali per la fine della prima repubblica. Così si è consumata la prima occasione per la soluzione della crisi degli anni settanta. Ma il tentativo di una rifondazione politico-culturale della sinistra in Italia non può prescindere da un ritorno e un ripensamento sulle sfide e gli errori di quegli anni.
Passaggio a cui giustamente ci invitano Russo Spena, Palma e Monti.