Il Manifesto - 22.05.1998
MORO
S e si voleva scommettere su una sentenza già scritta, che la corte di Cassazione avrebbe ratificato a scatola chiusa, questa era certamente quella che ci si attendeva per oggi su Germano Maccari. Reo confesso di essere stato uno dei quattro brigatisti di via Montalcini, la prigione di Moro durante i 55 giorni del sequestro, non si faceva probabilmente illusioni su quello che la Cassazione avrebbe deciso. Tanto più che solo pochi giorni fa la stessa corte aveva disposto per lui gli arresti domiciliari, per scongiurare "il pericolo di fuga", nonostante fosse rimasto per anni in Italia, passaporto in tasca, anche dopo la scarcerazione.
E invece il processo viene rispedito alla corte d'appello perché venga rideterminata l'entità della condanna. La corte non ha affatti messo in discussione l'accertamento delle responsabilità di Maccari (e quelle minori di Raimondo Etro, altro ex-brigatista, ora pentito). Il problema tecnico è sorto per l'accavallarsi di leggi e decreti al tempo del sequestro: Maccari e Etro erano stati condannati a 30 e 24 anni in virtù delle diposizioni di un decreto del governo varato prima del sequestro, ma convertito in legge soltanto dopo. Di qui la necessità di rivedere la condanna secondo quanto previsto dalla legge esistente prima del 16 marzo 1978. La decisione non sembra prestarsi ad alimentare polemiche. Lo stesso avvocato delle parti civili, Li Gotti, ne parla come di un fatto "tecnico", che non muta l'essenza del processo. La richiesta di revisione è venuta d'altra parte dal rappresentante dell'accusa, il pg Giovanni Palombarini, ex segretario di Magistratura Democratica. Il processo in questione è denominato "Moro-quater", anche se in realtà è il terzo. Nei primi due ben 32 brigatisti sono stati condannati all'ergastolo in relazione a via Fani e al sequestro di Aldo Moro. Numerosi altri furono condannati all'ergastolo e a pene "minori" (dai 10 ai 30 anni di carcere) per le altre azioni delle Br tra il '76 e l'82.
La disposizione che aveva posto Germano Maccari agli arresti domiciliari era stata accolta da più parti, e anche da questo giornale, con forti perplessità. Negli stessi giorni, le fughe di Licio Gelli e Pasquale Cuntrera, di due sequestratori sardi e, ultima ma forse ancora più importante, la fuga in Colombia di Martino Siciliano - il principale teste per la strage di Piazza Fontana - avevano reso evidente l'operare di due pesi e due misure. La sentenza di oggi ratifica questa impressione e suona vagamente ironica: avevano arrestato l'unico che non aveva né intenzione né urgenza di fuggire.