Emergenza addio di Rossana Rossanda -
Antonio Negri rientra in Italia ai primi di luglio consegnandosi a una procura della repubblica. Tornerà in carcere. Arrestato il 7 aprile del 1979, vi si trovava ancora nel 1983 durante il processo detto appunto "7 aprile" di prima istanza, quando fu eletto deputato per iniziativa dei radicali ed alcuni di noi. Avrebbe potuto così difendere se stesso e i suoi compagni a piede libero e battersi sulle condizioni del carcere e per una "soluzione politica" degli anni di piombo. Ma la camera che negli anni '90 si sarebbe dimostrata così incerta nel concedere le autorizzazioni a procedere per gli imputati di Tangentopoli, non solo votò immediatamente l'autorizzazione a procedere contro di lui, abbastanza ovvia, ma chiese la carcerazione. Negri lo intuì o lo seppe e nelle poche ore di tempo che gli restavano si rifugiò in Francia.
Egli e i suoi compagni, generalmente provenienti da Potere operaio, erano stati accusati pressoché di tutto. Negri fu successivamente imputato di essere il leader delle Brigate rosse, di avere sequestrato e ucciso Moro, di aver messo in atto un'insurrezione armata contro i poteri dello stato, di aver promosso la rivolta del carcere di Trani, di avere fatto uccidere Alceste Campanile, di aver diretto "Rosso" a Milano, di essere alla testa di una "occulta" segreteria soggettiva a Milano e a Torino. Su di lui sono piovuti una serie di mandati a grappolo fino a tutto il 1989, e poi di nuovo un processo nel 1995, del quale tuttora non è stata scritta la sentenza. Fu assolto in 15 processi, a Padova da Palombarini, a Torino da Caselli, ad Ancona e altrove non ricordo da chi. Su di lui resta una condanna a 12 anni per avere aiutato a fuggire due ragazzi della sua area, che colti impreparati in non so più quale fatto dal maresciallo di polizia Lombardi nel paese di Argelato, avevano perduto la testa e spararono. Un colpo raggiunse Lombardi e lo uccise. "Concorso in omicidio" fu la condanna per Negri. Un omicidio che nessuno aveva organizzato e del quale nulla quindi avrebbe neanche potuto sapere.
Per qualche cosa bisognava condannarlo. La matassa del 7 aprile era stata tessuta tra la fine del 1978 e l'inizio del 1979 dal magistrato Pietro Calogero, oggi procuratore capo a Padova, con l'aiuto di Carlo Fioroni, ex potopista, primo e fantasioso di quella serie di pentiti che pochi mesi dopo sarebbero stati protetti da una legge speciale nel pacchetto di fine 1979. La tesi di Pietro Calogero - come si disse allora "il teorema" - era che Potere Operaio invece che sciogliersi si era costituito in struttura occulta, cervello ideologico del "partito armato". Il processo di primo grado si chiuse con i carichi maggiori caduti e alcune condanne poi quasi tutte liquidate in appello. Il reato anche moralmente più grave era il sequestro e l'uccisione di un compagno, l'ingegner Carlo Saronio, ma risultò commesso da un malavitoso maldestro ingaggiato per suo conto dal grande testimone di Calogero, Carlo Fioroni. Al quale fu permesso di sottrarsi al confronto in aula con coloro che accusava dal ministero degli interni e da quello degli esteri, che gli fornirono un passaporto e un incarico a Lilla; il capo della polizia Coronas e il ministro degli interni Scalfaro assicurarono rispettivamente la corte e il Parlamento che Fioroni era irreperibile.
Se quel processo si rivelò una vasta montatura e molti degli amici di Negri uscirono assolti con formula piena, molti - fra i quali il professor Luciano Ferrari Bravo, Mario Dalmaviva, Alberto Magnaghi - passarono da tre a cinque anni nei carceri speciali. Sul Corriere della Sera, a commento delle assoluzioni, Sabino Acquaviva commentava che era stata una giusta lezione. Erano stati "cattivi maestri". Si intende perché, espatriato in Francia, Negri fu lasciato tranquillo dai successivi governi di quel paese, da Mitterand a Chirac, pur non essendo affatto clandestino, giacché insegnava al "College international de philosofie" e lavorava per alcune municipalità di sinistra. L'opinione che lo stato francese, tutt'altro che di manica larga, si era fatta del clima e delle pratiche della magistratura italiana negli anni dell'emergenza, risulta evidente dall'ospitalità che a Negri fu consentita.Chi, come me, ritiene che egli sia stato oggetto di una persecuzione e mortificazione intollerabile, e tuttavia non approvò la sua fuga, trova utile il suo rientro. Sia per chiudere la sua posizione giudiziaria, sia per far riflettere il nostro paese sulla misteriosa incapacità di risolvere, con una misura ragionevole, la situazione di coloro - meno di 400 persone - che trascinano dagli anni dell'emergenza processi o condanne senza fine. Sono posizioni diverse tra chi prese le armi e chi no, ma la stessa legislazione e giurisprudenza li ha unificati in trattamenti straordinari inventati la prima volta espresamente per loro, come se fossere l'unica piaga d'Italia. Fecero strage il reato di opinione e quello associativo, ci fu l'uso straripante dell'associazione sovversiva e financo di banda armata, per incorrere nel quale non è occorso usare armi e neppure detenerle. Quelli e quelle di noi che in quegli anni tennero fermi il principio di una giustizia non speciale, di una garanzia per la difesa, di un processo rapido e giusto, si sono trovati e trovate in grande solitudine, di fronte a un sistema politico chiuso a riccio, incapace di valutare politicamente il fenomeno che aveva avuto di fronte e che con una mano difendeva a gran voce le istituzioni repubblicane, mentre con l'altra saccheggiava le casse dello stato. Fuori della torta, il Pci e il sindacato gareggiavano in severità antiestremista per timore di essere coinvolti e delegittimati. Di quegli anni anche il processo a Sofri è una coda avvelenata: bisognava condannare tutti coloro che avevano fatto parte di quel movimento, a qualsiasi costo, con prove e senza prove.
Non sarebbe l'ora di chiudere questo capitolo? Non lo hanno fatto i ministri del Caf, e si può capire, visto che a costruire l'emergenza erano stati loro. Non lo hanno fatto i governi degli anni '90, né il guardiasigilli Conso che pure è un uomo di principi, né Alfredo Biondi, che riserva la sua sensibilità garantista alla sua parte. Ma una responsabilità particolare cade sul Pds, per essere stato a suo tempo l'accusatore più accanito. Lo stesso si può dire per i popolari che hanno firmato tutti gli atti di repressione possibili e immaginabili, malgrado che la chiesa alle loro spalle sia assai più aperta di loro. Quanto ai democratici laici, pochi sono coloro che propongono non perdoni ma un giudizio politico serio, una ricostruzione storica che tutti i paesi civili e financo la Germania fanno seguire al delitto politico. La magistratura, che deve difendersi da tentativi di asservimento, meglio lo farebbe se esaminasse anche se stessa per quella stagione. Non lo ha tentato neppure Magistratura democratica.
E' augurabile che il ritorno di Negri riapra la questione. Paradossalmente egli è fra coloro che hanno relativamente meno bisogno di un indulto: se gli sarà dato quel che ogni cittadino dovrebbe avere, una conclusione decente delle sue vicende giudiziarie, unitamente agli anni già trascorsi in carcere, i benefici della legge Gozzini dovrebbero far si che né politici né burocrati se lo scordino per anni in galera. Ma un provvedimento generale sarebbe di semplice giustizia anche per lui, mentre è indispensabile per gli altri, colpevoli e non, sospesi fra ergastoli elargiti a tutto spiano salvo ai pentiti, condanne sovradimensionate e situazioni impossibili sia per chi è uscito dall'Italia, sia per chi vi è rimasto. Per questi ultimi, dopo anni passati in carcere a lavorare, studiare e fare studiare, dovrebbe essere attuata sul serio l'intenzione costituzionale di recupero, affrontando fra l'altro l'assurda regola che ne costringe gran parte a lavorare di giorno fuori e tornar dentro la notte e la domenica, sospesi fra tentativi di ricostruzione di vita professionale e affetttiva e ritorno quotidiano alla reclusione. Per quelli usciti dall'Italia, un indulto permetterebbe di affrontare il rientro e eventuali processi senza distruggere legami familiari e di lavoro faticosamente costruiti all'estero nel corso di oltre una decina di anni. Come rientrare, infatti, nella sovradeterminazione perdurante delle pene e di fronte a una giustizia lentissima? C'è in Negri un versante luciferino e una passione politica che gli consentono delle libertà con se stesso, galera inclusa, che altri non si possono permettere.
La storia di quella generazione sovvversiva, che ha commesso molti errori ma li ha pagati tutti, va guardata con attenzione e senso delle responsabilità. Le nostre classi dirigenti non avevano e non hanno le carte in regola per ergersi a custodi di una legalità inflessibile e puritana, per cui chi ha sbagliato o perduto, paghi o sia perduto per sempre. Guardando agli anni '70 e '80 come ci si vengono disvelando, bisogna dire che i più perfidi volantini di Potere operaio, movimentista disordinato, o le più eccessive teorizzazioni sullo stato delle multinazionali da parte delle Brigate rosse, nucleo organizzato di ferro, dipingono dell'avversario capitalista un'immagine spietata ma meno indecorosa di quella che fu davvero. Questo non giustifica gli errori, ma dovrebbe far riflettere coloro che fino ad oggi sembrano disposti a veder tutto fuorché un tempo di grandi speranze e grandi tragedie che da un pezzo è finito.