TONI NEGRI è in carcere a Roma dal primo luglio 1997. Condannato a una pena definitiva di oltre 13 anni, senza contare un ultimo procedimento pendente in cassazione, rischia di rimanenere in carcere per lungo tempo. Esule in Francia dall'83, è rientrato in Italia di sua volontà, nell'intento di contribuire col suo gesto alla soluzione del problema degli esuli e degli inquisiti o condannati per fatti avvenuti durante gli "anni di piombo". Per quei fatti, circa 180 persone sono detenute nelle prigioni italiane; quanto agli esuli, in Francia ne restano circa 150.
Professore all'università di Padova e filosofo di fama mondiale, Toni Negri era stato arrestato il 7 aprile '79 con l'accusa di "insurrezione armata contro i poteri dello stato" e, per sostanziare l'enormità dell'imputazione, era stato presentato come il vero capo delle Brigate rosse, che avevevano sequestrato e assassinato Aldo Moro, presidente della Democrazia cristiana. Negri ha sempre negato questa accusa assurda, dalla quale è stato del resto formalmente assolto. Peraltro, la sua imputazione è stata più volte modificata. Dopo 4 anni e mezzo di carcerazione preventiva, venne eletto nelle liste del Partito radicale e uscì così di prigione. Quando la camera dei deputati votò a scarsa maggioranza l'abolizione della sua immunità parlamentare, si rifugiò in Francia. I procedimenti intentati contro di lui a seguito di numerose imputazioni, portarono alla sua condanna, segnatamente a Roma sulla base delle dichiarazioni di un "pentito", che fu spedito all'estero fin dall'apertura del processo. All'epoca, Amnesty international denunciò le gravi irregolarità giuridiche che avevano caratterizzato il suo processo e quello dei suoi colleghi dell'università di Padova. Durante l'esilio in Francia, Toni Negri ha insegnato all'università di Parigi VIII, al Collegio internazionale di filosofia e ha lavorato come ricercatore in scienze sociali. Inoltre, ha pubblicato numerose opere.
Per via della sua notorietà, Negri è diventato la figura emblematica dell'estrema sinistra italiana degli anni '70. A partire dall'autunno caldo del '69, s'era aperto in Italia un periodo di conflitti sociali esacerbati, segnati dal ruolo molto ambiguo di certi servizi segreti di stato in quella che è stata definita la "strategia della tensione", cioè nella manipolazione di gruppi neofascisti responsabili delle stragi di Piazza Fontana e dell'attentato particolarmente efferato alla stazione di Bologna. La radicalizzazione della sinistra extraparlamentare e del movimento sociale ha spinto una frangia importante di militanti sulla strada d'una violenza diffusa, e alcuni su quella della lotta armata. Tra il 1976 e il 1980, decine di migliaia di questi militanti sono stati inquisiti, e più di 7.000 persone arrestate. Centinaia di condanne pesantissime sono state comminate sulla base di diverse leggi eccezionali ancora in vigore, fra cui principalmente la legge detta dei "pentiti". Questa legge considera le dichiarazioni dei "pentiti" base sufficiente per condannare gli accusati, e consente la scarcerazione dei condannati per fatti di sangue e altre misure di "riabilitazione" da parte dello stato, come premio per la delazione. Un'altra legge emergenziale è la durata della carcerazione preventiva, che è stata portata, con procedura retroattiva, a dodici anni. Questa legislazione è totalmente incompatibile con i principi dello stato di diritto e con le regole fondamentali in materia di procedura penale quali sono definite dagli articoli 5 e 6 della Convenzione europea dei diritti dell'uomo, tutelati dalla Corte europea dei diritti dell'uomo. Si può ritenere che è in ragione del carattere decisamente contestabile di questa legislazione d'emergenza che le democrazie vicine - indipendentemente dalla maggioranza politica al potere - hanno nutrito serie riserve, al punto che il Regno unito e la Francia non hanno dato seguito, a parte qualche eccezione, a più di 70 domande di estradizione presentate dalle autorità italiane. Senza dubbio per la stessa ragione, i circa 500 rifugiati accolti in Francia nel corso di questi anni non sono mai stati inquisiti. Inseriti nella società francese attraverso una nuova vita famigliare o il lavoro, questi rifugiati non intendono compromettere il loro avvenire e la vita che si sono costruita per scontare pene vecchie di un quarto di secolo e pronunciate nelle condizioni che sappiamo.
Lo scopo del presente appello non può in alcun modo essere interpretato come una legittimazione retrospettiva del comportamento, reale o supposto, imputato alle persone inquisite o condannate per fatti di quegli anni di piombo. Al riguardo, l'attitudine e le dichiarazioni dei rifugiati o delle persone condannate in Italia sono prive di ambiguità. Secondo le loro dichiarazioni la "guerra" è finita. "Si tratta di una storia finita". Una democrazia degna di questo nome deve saper voltare pagina. Ora, tra esuli, detenuti, semiliberi, 400 persone sono attualmente escluse dalla vita civile. Un problema di questa dimensione non potrebbe essere risolto appropriatamente esaminando caso per caso. Per questo, nell'attesa d'una vera soluzione in Italia che non deve tardare oltremisura, i rifugiati devono vedere la loro situazione regolarizzata nel paese d'asilo.
Un progetto di indulto (riequilibrio delle pene approvato dal parlamento) depositato da 9 anni, non è ancora stato votato. Pur non essendo trascurabile, un tal progetto non risolverebbe comunque il problema degli esuli. La sola soluzione per Toni Negri e per i suoi compagni di sventura è una legge d'amnistia. Finora, la sola amnistia votata in Italia fu quella del 1946, per iniziativa di Togliatti e riguardò i fascisti. D'altronde, per i fatti legati alla guerra d'Algeria - e d'una gravità almeno equivalente a quella degli anni '70 in Italia - la Francia ha concesso l'amnistia ai disertori, ai "portatori di valige", ma anche ai membri dell'Oas.
Fedeli ai principi dello stato di diritto e al ristabilimento dei diritti dell'uomo dappertutto e per tutti coloro che ne sono stati privati, nel momento in cui l'Italia accede all'Europa di Schengen, noi chiediamo risolutamente ai parlamentari italiani di rispondere favorevolmente a questo appello alla clemenza, adottando a breve termine una legge d'amnistia. Invitiamo al contempo tutti i parlamentari dell'Unione europea ad avviare presso le autorità italiane competenti le necessarie pratiche per accelerare la liberazione di Toni Negri. Se egli è stato il simbolo di un'epoca, ora la sua libertà rappresenterebbe il simbolo di un'altra epoca, più felice e pacificata. Infine, abrogando un arsenale di leggi emergenziali incompatibili con la Convenzione europea dei diritti dell'uomo, l'Italia farebbe onore al suo accesso in Europa.
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