ROSSANA ROSSANDA
U NA VALANGA di firme, 595 provenienti dall'Unione europea e 185 dal resto del mondo, accompagna l'appello per l'amnistia o l'indulto per gli anni di piombo. E' partito dalla Francia, che avendo ospitato per un pezzo Antonio Negri, non si capacita che, dopo cinque anni in carcere, accusato di avere diretto ogni possibile eversione armata e non armata, e poi naturalmente assolto, debba scontare altro carcere per reati perfino difficili da definire. A partire dal suo caso, e da quello di quasi duecento rifugiati che ancora ospita, l'università e la cultura (e non solo francesi) ci parlano, da Pierre Bourdieu e J.D.Brédin a Pierre Boulez, da Suzanne de Brumnhoff a Vivian Forrester, da Susan George a Alan Lipietz, da Jean Pierre Vernant a Etienne Balibar a P.Vidal Naquet, da Paul Virilio a Immanuel Wallerstein - accanto a deputati, senatori, sindaci, membri del parlamento europeo o delle segreterie dei Verdi, dei socialisti, del Partito comunista francese.
Come ci vedono? Ci vedono incapaci di chiudere con una stagione finita. Un paese che si vanta di essere cambiato in tutto, si ostina nella vendetta verso un passato che, è vero, è costato anche sangue, ma ha fatto tremare più le coscienze che le istituzioni della repubblica. Ci vedono ancora terrorizzati da un'ondata di movimenti, la maggioranza dei quali ha manifestato, una parte ha praticato modeste illegalità e una frazione è ricorsa alle armi; e costoro hanno pagato già in media diciassette anni di carcere. Non c'è leader di armati e non armati che non dichiari chiusa quella fase, per non dire la breve e crudele guerra che oppose rivoltosi e stato. Neanche lo stato ci andò con i guanti. Nel 1979 inaugurava quelle leggi speciali, che non aveva instaurato contro i mafiosi né contro le stragi fasciste. E queste sovraccaricavano le pene, che tengono dentro alcune centinaia di persone, e ne mantengono con un filo alla zampa altre centinaia, dopo aver consumato quasi cinquemila procedimenti penali. Bloccano uomini e donne che non rappresentano alcun pericolo, ne sprecano cultura e risorse.
Quanti di noi sono in grado di indicare con qualche precisione di che cosa sia colpevole la grandissima parte di coloro che in nome del popolo italiano sono limitati o segregati? E perché si spediscano mandati di cattura a chi già si è consegnato in galera? E perché le Procure di Milano e Roma precipitano fra il tragico e il grottesco, condannando a ventidue anni tre leaders di Lotta continua per un omicidio compiuto da chissà chi, venticinque anni fa e inaugurando il sesto, dico sesto, processo Moro?
Ci vedono incomprensibili, e lo meritiamo. I firmatari dell'appello domandano un'amnistia, il nostro presidente della Repubblica ha invitato già due volte il parlamento all'indulto, per il quale esiste un progetto di legge, votato in commissione. Eppure nulla si muove. E' vero che occorrerà una maggioranza dei due terzi delle due camere, ma le forze di governo sono, più o meno calorosamente, d'accordo e se il centrodestra esita, nella speranza poco elegante di farne oggetto di scambio con Tangentopoli, nessuno però osa dire: questo indulto no, mai! Perché dunque altri non alzano la voce per dire: sí, adesso? Non si capisce. Né si capisce perché, se non per mantenere una piaga aperta, il governo non provveda davvero alle famiglie delle vittime.
Come possiamo essere presi sul serio dall'Europa? Un po' di coraggio, cari eletti del popolo. Guardate in faccia per una volta voi stessi e la generazione ribelle, tutti con i capelli bianchi, e chiudete. Con e per decenza.