Il Manifesto - 27.12.97
di Stefano Anastasia
D A TEMPO annunciate, lungamente attese, a coronamento del dì di festa sono giunte, al fine, le grazie offerte dal presidente della repubblica a sei detenuti per fatti di terrorismo. Tre uomini e tre donne, cinque bierre e un'avanguardia nazionale; quattro semiliberi, uno in lavoro esterno e un altro in libertà condizionata; tre condannati per fatti di sangue - quand'anche solo nella forma del concorso morale - e tre no: la selezione del presidente ha tentato di dare uno spaccato delle questioni aperte con la detenzione politica.
Come già avemmo occasione di dire quando qualche giornale presentò come cosa fatta una successione di provvedimenti ad personam per la soluzione politica degli anni settanta, la grazia non è uno strumento efficace per dare forma a tale soluzione. Strumento dell'indulgentia principis, resta in capo al presidente della repubblica come ultima delle prerogative della sovranità riservatele dalla moderna democrazia parlamentare. Semplicemente grottesco sarebbe pensare una processione di grazie totali o parziali che uno (o anche sei) alla volta tirasse fuori dalle galere quelle duecento persone che ancora le frequentano per ciò che avvenne a cavallo tra gli anni settanta e ottanta.
Altro è, invece, interpretare la decisione del presidente della repubblica, l'unica a sua disposizione, come un contributo ad una soluzione che da altri va portata a compimento. E' più di un anno ormai che Scalfaro richiama il parlamento alle sue responsabilità in ordine a quei fatti. Ha iniziato nel solenne discorso per il cinquantenario della repubblica nell'aula di Montecitorio, per continuare poi - meno propriamente - in occasione di altre grazie, concesse o negate. Con la cautela e le contraddizioni che sono dell'uomo e della funzione, ha più volte chiesto al parlamento di assumersi la responsabilità di una decisione politica di estrema rilevanza: sancire la fine della madre di tutte le emergenze, restituendo al giudizio storico e politico le scelte e i fatti di quegli anni. L'approvazione di una legge di amnistia e/o di indulto è lo strumento nelle mani del parlamento. Da dieci anni se ne discute ed ogni volta si ricomincia da capo. Se è questo che Scalfaro voleva sollecitare con le sei grazie dell'antivigilia di Natale gliene va reso merito.
La palla torna al parlamento, dove puntuali si riaffacciano gli speculatori di ogni emergenza e di ogni dolore, attenti a trasformare in sentimento di vendetta ogni perdita irrisarcibile. Qualcuno certo, di fronte al testo approvato dalla Commissione giustizia della camera nel luglio scorso, prometterà ferro e fuoco, ostruzionismo ad oltranza in nome dei caduti e dei congiunti. Anche così, purtroppo, si fa politica, di questi tempi. Ma se le tradizioni politiche radicate nella storia democratica di questo paese avranno il coraggio di guardare in faccia quegli anni, per scoprirvi anche qualche ragione delle crisi che hanno dovuto attraversare da allora fino ad oggi, perfino quell'invalicabile quorum (due terzi dei componenti su ogni articolo nella votazione finale) previsto dalla Costituzione per le leggi di amnistia/indulto potrà forse essere superato.